Fine spiegato semplice.
di Alessandro Bianchi
Molti degli elettori che hanno scelto Giorgia Meloni alle scorse elezioni non si sarebbero certo aspettati una politica estera più draghiana di Draghi, più atlantista del direttore di Repubblica Molinari o più filo Zelensky di un’Ursula qualunque. Eppure, l’ultimo viaggio a Kiev da presidente di turno del G7 del nostro premier nella capitale ucraina ha sciolto tutti i dubbi rimasti. L’accordo decennale con cui la Meloni, senza nessun passaggio parlamentare, ha legato il paese al regime di Kiev rimane il lato più oscuro e inquietante.
Nessuno più del generale Fabio Mini, autore di “L’Europa in guerra” (Paper First, 2023) e della premessa al nuovo libro di Giuseppe Monestarolo “Ucraina, Europa mondo” (Asterios, 2024) può aiutarci a fare luce, individurare i dettagli e scenari futuri. Mini è una delle voci più coerenti e forti nel denunciare i rischi connessi all’atteggiamento europeo verso il conflitto in corso. Con i suoi articoli su Limes e il Fatto Quotidiano, è riuscito a rompere la propaganda dominante. Quella propaganda che, come abilmente preannunciato dallo stesso generale, sta portando il nostro continente ad un passo da un baratro sempre più visibile.
Abbiamo chiesto al generale Fabio Mini di aiutarci a sciogliere diversi dubbi per “Egemonia”.
L’Intervista
L’assenza di Macron e Scholz accanto alla Meloni a Kiev merita una necessaria premessa Generale.
«Le assenze parlano molto di più delle presenze. L’assenza è uno strumento diplomatico e politico e paesi navigati come Francia e Germania lo sanno bene. Se non hanno mandato i propri leader un motivo politico-diplomatico c’è, ma non credo riguardi una via d’uscita dal conflitto con la Russia. Mi sembra più probabile che si siano sottratti agli sbaciucchiamenti di Zelensky sacrificando anche quelli delle due signore o che non condividano in questo periodo né il decisionismo dei singoli stati né le mire accentratrici proprio della von der Leyen della gestione del riarmo europeo e degli aiuti a Kiev.»
Generale ci aiuta a inquadrare la portata dell’accordo militare siglato dal premier italiano a Kiev. Cosa prevede?
«Si tratta di misure di cooperazione militare e civile con l’Ucraina, già dichiarate alla Nato, nell’ambito dell’Unione europea e in tutte le altre sedi internazionali nelle quali il nostro governo è stato presente. Si ribadisce in pratica del sostegno militare all’Ucraina in caso di futuri attacchi e sin da ora per respingere la Russia entro i propri confini e perfino oltre».
Tutti i membri del governo hanno voluto ribadire che non siamo parte attiva del conflitto. E’ così?
«Nell’accordo vengono ribadite le misure già assunte contro Mosca come le sanzioni, il congelamento e la confisca di beni di privati cittadini russi all’estero e l’addebito dei danni di guerra – compresi quelli causati dai bombardamenti ucraini nel Donbass che è la zona che ha subito i danni più gravi. Il nostro governo insiste a dire che “non siamo in guerra con la Russia” e sa benissimo che la maggioranza dei cittadini italiani, diversamente da quella parlamentare e di governo, non vuole questa o altra guerra. Ma l’accordo prevede aiuti e cooperazione a senso unico in campo militare, industriale, commerciale e politico. Allontana, dunque, la possibilità di un negoziato»
Negoziato in vista di un accordo. Accordo che è noto come era già stato raggiunto da ucraini e russi a poche settimane dall’inizio delle operazioni, nel marzo del 2022 a Istanbul. Questa decisione del governo italiano lo rende sempre più complicato?
«Promette tutto ciò che l’Ucraina chiede e che le serve per continuare la guerra. Non si avventura in nessuna considerazione o proposta che favorisca la cessazione del conflitto. Anzi sostenendo il cosiddetto piano di pace ucraino in 10 punti, che nega qualsiasi negoziato sui confini con la Russia, viene esclusa ogni via d’uscita diversa dalla sconfitta sul campo, russa o ucraina.»
Ci sono clausole specifiche che rendono il nostro coinvolgimento nel conflitto maggiore?
«No, e non sono necessarie. L’intero documento è dedicato a rendere esplicita e a rafforzare, almeno a parole, lo schieramento politico e militare a fianco dell’Ucraina e contro la Russia. Non esiste alcun cenno d’incoraggiamento all’azione diplomatica verso la pace o la sospensione del conflitto. Lo scopo essenziale di questa cooperazione non è una pace duratura e giusta, né una maggiore sicurezza dell’Ucraina e della stessa Europa. Di fatto l’Italia partecipa e collabora alla guerra contro la Russia consapevole che ciò significa la continuazione e il peggioramento del conflitto».
Generale nell’accordo si dice di difendere la sovranità e la democrazia ucraina ma non si fa alcun riferimento alle garanzie che dovrebbero essere date alle popolazioni della stessa Ucraina che tornerebbero sotto la sua sovranità…
«Ciò significa esattamente cancellare i dieci anni di soprusi e massacri passati e autorizzare quelli futuri. Significa dimenticare cosa veramente deve garantire la democrazia. Quella ucraina e quella nostra. Non credo che il documento in sé comporti una sorpresa per la Russia o un cruccio in più. Semmai il tono e le parole, copiate e incollate da analoghi documenti americani e inglesi, possono aver irritato perché provenienti da un governo che rappresenta una popolazione e una cultura che la Russia rispetta. O rispettava.»
Altro che sovranismo, insomma. La deriva iniziata con il governo Draghi prosegue, si intesifica e l’Italia ha perso definitivamente il suo ruolo tradizionale di mediazione. Siamo più a rischio oggi?
«Non rischiamo oggi più di quanto non rischiavamo ieri, ma questo non è di consolazione perché non credo che ci sia la giusta percezione di quanto la situazione sia grave per tutta l’Europa. E di quanto i nostri piloti stiano rischiando nelle operazioni di controllo dei confini dei paesi baltici. L’inasprimento delle relazioni o soltanto l’irritazione possono essere sufficienti a far cadere qualsiasi remora nelle reazioni a eventuali sconfinamenti anche se involontari. E’ l’approccio generale ad essere debole e pericoloso. L’Italia sta scommettendo sulla vittoria ucraina, su una rapida conclusione del conflitto e sulla fetta di torta che ne può derivare con le forniture di armi e con la ricostruzione. Nessuna delle tre cose è sicura e anzi le probabilità che si verifichino stanno diminuendo. Sta scommettendo sul riarmo europeo che la von der Leyen vorrebbe coordinare e gestire a nome di tutta l’Europa non si sa bene se per fare un favore alla Germania o agli Stati Uniti costituendo un polo unico per le importazioni. Esattamente come successo per i farmaci del Covid che lei stessa porta a modello per le forniture belliche. Si sta proseguendo sulla linea del conflitto globale seguendo passivamente le mire e i metodi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna in Europa contro la Russia e nel mondo contro la Cina».
A due anni dall’inizio dell’operazione russa, le sue previsioni sul Fatto Quotidiano e su Limes si sono avverate praticamente tutte e quelle, ottusamente filo NATO, portate avanti dai giornali dei gruppi mediatici dominanti in Italia smentite (come al solito). Generale cosa aspettarsi ora dal 2024? Vivremo una nuova escalation?
«Cerco di essere realista e non ipocritamente ottimista. Non vedo per quest’anno nessuna volontà internazionale di terminare il conflitto con un negoziato. Vedo invece lo sbocco verso il negoziato come conseguenza delle operazioni militari. Tutto il mondo è alla ricerca di un compromesso onorevole per salvare l’Ucraina ma è proprio essa a non voler essere salvata e anzi pretende di sacrificarsi per salvare tutti noi. Finché si ricorre a questa retorica non si arriva a niente».
L’opzione d’inviare altre armi e perfino uomini – come ha recentemente dichiarato il presidente francese Macron – a combattere contro la Russia dove può portarci?
«E’ esattamente quello che la Russia si aspetta per passare all’opzione nucleare. Ma ha ancora bisogno dell’assicurazione statunitense che il ricorso al nucleare tattico non inneschi quello strategico. Con l’attuale presidente americano un’assicurazione in questo senso non avrebbe significato. Dovrebbe essere un gentlemen agreement e finora non si è visto nulla che caratterizzi un gentiluomo. Nel giro di pochi mesi sarà comunque azzoppato e il nuovo presidente, chiunque esso o essa sia, avrebbe il compito di sbrogliare la matassa. Considerando che un presidente americano ci mette almeno sei mesi prima di diventare operativo – anche se esperto o rieletto- per via dei compromessi che ha dovuto tessere per essere eletto e dei mutamenti della situazione internazionale – ritengo che questo tipo di accordo tacito o segreto non sia possibile prima della metà del 2025».
E quindi nel frattempo?
«Nel frattempo alla Russia conviene tirare la guerra per lunghe incrementando l’attrito sulle forze ucraine e cercare di ottenere un buon compromesso proprio dallo sfinimento di Kiev. Non è una cosa di breve termine perché proprio gli aiuti tendono a prolungare l’agonia, piuttosto che passare all’eutanasia. Finché c’è guerra c’è speranza di affari e profitti. Una soluzione meno cruenta potrebbe venire da un colpo di stato a Mosca o Kiev che eliminando i principali interlocutori consenta il passaggio ai compromessi. La vedo difficile in Russia e più probabile in Ucraina, ma sempre aleatoria: non è detto che i successori siano sempre migliori dei predecessori.»
La portata del suicidio europeo e dell’abisso che accordi come quello siglato dalla Meloni a Kiev è ora, forse, più chiaro.
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EGEMONIA: INDICE
Nasce “Egemonia” di Alessandro Bianchi
“Egemonia” (1). I responsabili del massacro a Gaza: quale ruolo per la diplomazia e il diritto internazionale? – Alberto Bradanini
“Egemonia” (2). “L’Afghanistan dei talebani: quello che non vi raccontano” – Pino Arlacchi
“Egemonia” (3). Gaza e non solo: “L’Italia della Meloni ultima pedina del carro” – Elena Basile
Egemonia (4). Dove è finita la classe dirigente europea? – Alberto Bradanini
Egemonia (5). Linea rossa Taiwan – Laura Ruggeri
Egemonia (6). Hamas e le menzogne su Gaza – Patrizia Cecconi (PRIMA PARTE)
Egemonia (7). Hamas, il 7 ottobre e la profezia dello sceicco Yassin – Patrizia Cecconi (SECONDA PARTE)
Egemonia (8). Come il neoliberismo si è impossessato delle nostre menti – Ernesto Limia DíazE
Egemonia (9). Il genocidio a Gaza e il collasso della propaganda occidentale – Patrick Lawrence
Egemonia (10). Denazificazione e Memoria storica – Vito Petrocelli
Egemonia (11). “Politici ai domiciliari” e subalternità ad Israele – Alberto Negri
Fonte: lantidiplomatico.it