Fine spiegato semplice.
Giovedì 8 febbraio in Pakistan si sono svolte le elezioni parlamentari per scegliere i nuovi deputati dell’Assemblea Nazionale, la camera bassa del Parlamento, che eleggeranno poi il nuovo primo ministro: nonostante la feroce repressione che i partiti di opposizione e il potente esercito del Paese hanno messo in atto contro il partito dell’ex primo ministro Imran Khan – il Movimento per la giustizia del Pakistan (PTI) – i candidati indipendenti legati all’ex capo politico hanno superato le aspettative ottenendo la quota maggiore in Parlamento. Secondo l’ultimo conteggio, i candidati indipendenti da lui sostenuti hanno ottenuto almeno 99 seggi. La Lega musulmana pakistana (PML-N) di Nawaz Sharif, sostenuto dall’esercito e, secondo alcuni osservatori, dagli Stati Uniti, ha ottenuto 71 seggi. Tuttavia, entrambi gli ex primi ministri, Khan e Sharif, hanno dichiarato la vittoria venerdì, secondo quanto riferito dall’agenzia britannica Reuters: con ogni probabilità si formerà un governo di coalizione. Anche Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione europea hanno espresso separatamente preoccupazioni sul processo elettorale del Pakistan, affermando che le denunce di irregolarità, interferenze e frodi dovrebbero essere oggetto di un’indagine approfondita.
Il partito di Khan era stato escluso dalle schede elettorali dopo che il politico pakistano, ex giocatore di cricket, è stato condannato per corruzione e violazione di segreti di Stato. La lentezza con cui si è svolto lo spoglio, insieme alla decisione di sospendere tutti i servizi di telefonia mobile nel Paese, hanno alimentato i sospetti di brogli per danneggiare i candidati indipendenti legati a Khan. Nonostante ciò, risulta ancora il politico più popolare del Paese, anche per via della sua indipendenza dalle ingerenze straniere – specialmente americane – che gli permette di mettere in primo piano gli interessi del Paese. L’ex campione di cricket, ora in carcere, ha rivendicato una «vittoria schiacciante» attraverso un messaggio pubblicato sul suo profilo X (Twitter), generato con l’intelligenza artificiale.
Le elezioni si sono svolte in un contesto instabile caratterizzato da una profonda crisi politica, economica e giudiziaria: a causa di due attentati dinamitardi verificatisi alla vigilia del voto provocando 26 morti, il ministero dell’Interno ha disposto, per ragioni di sicurezza, la sospensione temporanea dei servizi di telefonia mobile in tutto il Paese e la chiusura dei confini con l’Iran e l’Afghanistan. Una decisione che ha suscitato il disappunto di buona parte degli elettori e in particolare dei sostenitori di Khan, destituito con un voto di sfiducia nel 2022 e sostituito dal suo rivale Sharif. I suoi sostenitori ritengono che il reale obiettivo del governo pakistano fosse quello di impedire a Khan di comunicare con i membri e gli elettori del suo partito. Il tutto non fa altro che esasperare le tensioni sociali, legate soprattutto alla persecuzione politica e giudiziaria del capo del PTI e alla sua destituzione nel 2022, dietro la quale potrebbe esserci la mano degli Stati Uniti e dei militari del Paese. Tesi sostenuta dallo stesso Khan e avvalorata da un cablogramma segreto ottenuto e divulgato dal giornale online The Intercept, allo stesso tempo sempre smentita dagli USA: disponibile ad una collaborazione politica e commerciale con Russia e Cina ed equidistante rispetto alla crisi ucraina, il politico pakistano minacciava – agli occhi di Washington – la storica alleanza del Pakistan con la potenza a stelle e strisce.
In seguito alla sua rimozione, partecipate manifestazioni hanno messo a ferro e fuoco il Pakistan sfociando in proteste violente. Lo stesso capo del PTI aveva organizzato una “lunga marcia” dalla città di Lahore verso Islamabad per chiedere elezioni anticipate, durante la quale era stato ferito in un attentato. A causa delle sua politica non allineata Khan si era inimicato l’esercito che, direttamente e indirettamente, domina la nazione dotata di armi nucleari fin da prima della sua indipendenza nel 1947. Secondo l’editorialista Abbas Nasir, citato da Reuters, «Il fattore decisivo è da che parte stanno i potenti militari e le loro agenzie di sicurezza. Solo un’enorme affluenza alle urne a favore del PTI (di Khan) può cambiare le sorti». Cosa che si è effettivamente verificata, sebbene i candidati indipendenti non potranno governare da soli.
Al momento, l’ipotesi più accreditata, considerati i risultati del voto, è quella di un governo di coalizione: Sharif, che aveva dichiarato di voler ottenere una maggioranza propria, è ora costretto a tenere colloqui con altri partiti, incluso l’ex presidente Asif Ali Zardari del Partito Popolare Pakistano (PPP). Un assistente senior di Khan ha detto, invece, che i leader del PTI terranno colloqui tra loro e incontreranno Khan in prigione sabato per discutere i risultati. Secondo gli analisti un governo di coalizione farà fatica ad affrontare le molteplici sfide che si trova di fronte il Paese, tra cui la ricerca di un nuovo programma di salvataggio da parte del Fondo monetario internazionale (FMI) dopo la scadenza dell’attuale accordo tra tre settimane. Le elezioni, dunque, piuttosto che aiutare a risolvere la crisi che sta affrontando Islamabad, hanno aumentato le tensioni sociali e la polarizzazione dei cittadini, anche a causa dello svolgimento sospetto del voto e, soprattutto, per via dell’estromissione del politico più acclamato dalla nazione, aumentando così l’instabilità e l’incertezza in un Paese importante per gli equilibri geopolitici internazionali.
[di Giorgia Audiello]
Fonte: lindipendente.online