Il tributo della resistenza palestinese al sacrificio di Aaron Bushnell

Spiegato semplice

Un uomo di nome Aaron, che lavorava come ingegnere per l’esercito degli Stati Uniti, si è fatto molto male da solo con il fuoco davanti all’ambasciata dialtro paese per mostrare che non era d’accordo con alcune cose brutte che il suostava facendo. Ha fatto questo perché non voleva essere parte di azioni che facevano soffrire altre persone lontane. Anche se era molto giovane e aveva un buon lavoro, ha deciso di fare questo per dire a tutti che quello che stava succedendo non era giusto. Molte persone in altri paesi hanno detto che era molto coraggioso, ma nel suo paese non tutti hanno capito perché lo ha fatto e alcuni hanno detto cose cattive su di lui. Aaron voleva che tutti sapessero che non era giusto far del male agli altri e ha fatto qualcosa di molto pericoloso per mostrare quanto fosse importante per lui.

Fine spiegato semplice.

di Leonardo Sinigaglia

Aaron Bushnell, ingegnere informatico dell’aeronautica militare statunitense, si è dato fuoco la scorsa domenica davanti all’ambasciata israeliana di Washington D.C. in protesta contro il supporto del suo governo allaterroristica e genocida condotta dall’esercito sionista a Gaza, azioni delle quali lui non voleva più sentirsi complice. Durante i 44 secondi in cui è riuscito a stare in piedi avvolto dalle fiamme è riuscito a gridare per ben sei volte “Palestina libera”, nonostante l’atroce sofferenza e mentre una guardia didell’ambasciata, al posto di tentare il soccorso, gli puntava contro una pistola. Ricoverato per le ustioni subite, è morto poche ore dopo. Aveva venticinque anni, ed era uno dei tanti giovani statunitensi che, in assenza di prospettive lavorative e di sicurezza economica, trovano “rifugio” nell’esercito di Washington, spesso senza condividerne ideologicamente la funzione internazionale.

Un gesto potente e coraggioso, per di più avvenuto nel cuore di quell’Occidente in cui l’indifferenza e il cinismo sembrano essere diventati delle virtù. Un gesto che ha in pochissime ore travalicato i confini nazionali, e che ha fortemente commosso gli animi die yemeniti quanto di tutti coloro che nel mondo lottano contro l’imperialismo. Le forze della resistenza palestinese hanno subito tributato al soldato immolatosi parole colme d’ammirazione. Leggiamo dal comunicato diramato da Harakat al-Muqawama al-Islamiyya:

“Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze e piena allae agli amici del pilota americano Aaron Bushnell, che ha immortalato il suo nome come difensore dei valori umani e del popolo palestinese, che è oppresso dall’amministrazione americana e dalle sue politiche ingiuste. […] L’amministrazione Biden ha la piena responsabilità della morte di Bushnell a causa delle sue politiche che sostengono l’entità sionista nazista nella suadicontro il nostro popolo palestinese”. Similmente si è espresso il Fronte Popolare per ladella Palestina: “”Il sacrificio di un soldato americano per il bene dellaè la più alta forma di sacrificio, una medaglia e un potente messaggio all’amministrazione americana affinché cessi il suo coinvolgimento nell’aggressione ‘israeliana’.”Dallo Yemen, Ansarullah ha reso noto che durante la manifestazione di questo venerdì adellae contro l’aggressione occidentale saranno portate inanche effigi del militare.

Se il mondo arabo, dai partiti politici ai media, passando per le formazioni militari, ha voluto commemorare il sacrificio di questo giovane americano, non è stata così generosanostrana. Il silenzio è stato pressoché totale, con l’eccezione di un piccolo editoriale de Il Manifesto e due brevi trafiletti su Il Sole 24 Ore e Il Fatto Quotidiano. A Bushnell in patria è andata forse anche peggio: se ihanno dato notizia della sua immolazione, hanno accuratamente evitato di spiegarne le motivazione o si sono sforzate di occultarle il più possibile, chiamando in causa piuttosto “disagi psichici” ementali. Una tesi ripresa in queste ore dai settori più ferocemente filo-sionisti, che tentano così di delegittimare il gesto di Bushnell, spesso accompagnando ciò con insulti e derisioni. Basta infatti un rapido giro su X, il vecchio Twitter, per essere sommersi dai “meme” sul giovane soldato che spesso riprendono, in tutto o in parte, l’angosciantedella sua autoimmolazione.

Tutto ciò non è certo un qualcosa di nuovo. Cinismo e spregiudicatezza, deumanizzazione dell’avversario e diffusione globale del web hanno soprattutto negli ultimi anni ad abbattere qualsiasi rimasuglio di pietas, rendendo la morte non più un mistero capace di atterrire e di incutere rispetto, ma unicamente l’appiglio per nuovi sfottò e umiliazioni. D’altronde, proprio nel civile occidente abbondano i video dei miliziani neonazisti ucraini intenti a falciare a colpi di mitra irussi, o ledei soldati sionisti che, tra una risata e l’altra, massacrano idi giovani palestinesi. Azioni caratteristiche dell’ideologia suprematista chei pedoni dell’egemonia statunitense a ogni latitudine, e che vediamo riproposta, dalla vigliacca distanza data da internet, anche nei confronti di Aaron Bushnell.

Ma gli insulti e le scomuniche non provengono solo dallaliberale. Anche la “sinistra” a stelle e strisce, almeno nei suoi settori più “disobbedienti”, ha mostrato la medesima caratura. Mentre centinaia di persone hanno manifestato la propria solidarietà a Bushnell con veglie e picchetti, molti hanno preferito guardare con disprezzo il sacrificio di chi “era comunque un militare”. “Ero convinto che ACAB valesse anche per i soldati…”, si lamenta un attivista “antifascista” sempre su X. “Rest in Power vale solo per i neri!”, incalzano altri della galassia Black Lives Matter, lamentandosi per l’associazione del militare a figure distatunitensi salutati allo stesso modo.

Sicuramente molto può essere discusso sull’utilitàdi un “suicidio rivoluzionario”, sul suo impatto pratico e sulla sua efficacia in rapporto ai costi umani, ma tali considerazioni non possono in alcun modo lasciare spazio alla denigrazione dio al ridimensionamento del suo gesto. Immolandosi, egli ha dimostrato non solo un coraggio innegabile, ma anche unadifficilmente rintracciabile persino negli ambienti più “rivoluzionari” e radicali della contestazione politica. Bushnell aveva venticinque anni, ottime possibilità di carriera e un curriculum già invidiabile: ha scelto di sacrificare tutto quanto per affermare la propria dignità davanti a un sistema disumano e disumanizzante, che avrebbe voluto renderlo complice delle sue barbarie. Un gesto che brilla per potenza e coraggio, oggi pi che mai.

“Non sarò più complice del genocidio. Sto per intraprendere un atto di protesta estremo, ma, rispetto a quello che le persone hanno vissuto in Palestina per mano dei loro colonizzatori, non è affatto estremo. Questo è ciò che la nostra classe dirigente ha deciso sarà normale.’”

Fonte: lantidiplomatico.it

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