Libri di Bruno Mautone
Trascrizione dell’intervista di Fabio Frabetti a Bruno Mautone per la trasmissione radiofonica “Border Nights” del 28/3/2017
In questi mesi sei andato avanti in queste ricerche, soprattutto nell’ambito di ricostruire in che modo Rino Gaetano sia venuto a conoscenza di particolari relativi anche a pagine oscure del nostro paese che poi ha introdotto, secondo la tua ricostruzione, in diversi suoi brani. Cosa hai scoperto?
Cominciamo col dire che oramai la concezione legata ai testi di Rino Gaetano, secondo cui possono definirsi null’altro che un mero nonsense è definitivamente tramontata. Poiché basta rapportare tanti contenuti, tante rime, tante strofe delle sue canzoni con giornali, con libri, con cronache contemporanee al geniale crotonese e ci si rende conto dei tantissimi riferimenti a fatti anche di politica, di storia, di giornalismo e di cronaca.
Ho scoperto, e già questo lo scrivevo nel secondo libro, che Rino Gaetano non poteva avere una palla di vetro, naturalmente, né era un indovino o un veggente; quindi avevo ipotizzato nel primo saggio che lui doveva necessariamente avere delle fonti informative di cognizione su tanti fatti che racconta. Infatti, nel secondo libro, già uscito come tu accennavi (parlavi di saggi al plurale), ho scoperto che l’amico più caro di Rino Gaetano era un agente che lavorava presso l’ambasciata americana di Roma, presso uffici diplomatici di Roma. Questo amico si chiamava Enrico Carnevali, e ne parlo al passato perché pure lui, come Rino Gaetano, muore, ahimè, prematuramente a seguito di un incidente stradale.
Tutto quello che racconta Rino, in tutte le canzoni dei vari album, è collegato allo strapotere degli Stati Uniti, la potenza del mondo occidentale che dominava e fondamentalmente domina il mondo da un punto di vista economico e anche dal punto di vista, se vogliamo, culturale con le influenze, da un punto di vista militare. E Rino Gaetano racconta fatti proprio collegati al ruolo politico dell’Italia rapportata agli Stati Uniti, una sorta di piccola o grande colonia degli Stati Uniti. […]
Altra cosa sottolineata nel libro è che questo amico di Rino Gaetano viene seppellito vicino all’artista e poi viene disseppellito senza motivo dopo pochissime settimane da Cesare Carnevali [padre di Enrico]. E anche Cesare Carnevali è un nome storico dello spionaggio italiano; no del SISMI o del SISDE o del SID, che erano i servizi segreti ufficiali, ma addirittura di un organismo iper segreto ribattezzato dalla magistratura in maniera molto ironica “Noto servizio segreto”, ma era tutto fuori che noto.
E addirittura vedete quindi che attorno a Rino Gaetano ho scoperto, col secondo libro, c’erano personaggi che gravitavano nell’ambito della diplomazia e dei servizi segreti. Con il terzo, che si profila, ho un’integrazione del secondo, e qua ci sono le novità; magari ne parliamo dopo.
Penso si riferisca a Mino Pecorelli.
Allora, in effetti già nel primo come nel secondo saggio, io ho sottolineato che i fatti che racconta R.G. venivano raccontati anche da Mino Pecorelli, come sappiamo, un coraggiosissimo giornalista, purtroppo ucciso il 20 marzo del 1979 da killer rimasti ignoti. E Mino Pecorelli era così informato e così scomodo per il potere che venne ucciso, ribadisco, da killer rimasti ignoti, a pistolettate. Ebbene, nessuno mai aveva inquadrato potenziali o eventuali contatti tra queste due persone: R.G. e Mino Pecorelli.
Innanzitutto, ribadisco, trattano delle tematiche che li assimilano. Per esempio, nella “Berta filava” R.G. parla di Mario, di Gino e Berta, ed è una palese raffigurazione dello scandalo Lockheed. E contemporaneamente, su “Ordine pubblico” [Osservatore Politico], Mino Pecorelli parla di Mario, di Berto e di Gino e parla esplicitamente dello scandalo Lockheed. R.G. parla di antilopi e giaguari e Mino Pecorelli su O.P. parla di Antilopi, brigate delle antilopi, parla insomma di argomentazioni che l’artista crotonese molto, molto coraggiosamente mette tra le righe.
Ebbene, ho scoperto, e questo sarà, diciamo, un’integrazione di un ulteriore libro, che il manager (non ne farò il nome) di R.G., un grande manager dell’ambiente discografico italiano, oltre che organizzatore di spettacoli musicali con R.G. e anche di sue apparizioni televisive, era molto amico di Mino Pecorelli e addirittura questo manager finanziava Mino Pecorelli. Quindi vedete che vi era un contatto, assolutamente non dico personale di conoscenza, perché questo non si può dire, ma sicuramente vi era un contatto strettissimo tra R.G. e Mino Pecorelli. Due testimoni scomodi, anche diversi: R.G. adamantino, coraggioso, chiaro, Pecorelli più chiacchierato ma ugualmente coraggioso. E, ribadisco, Mino Pecorelli e R.G. esprimono ed espongono delle tematiche molto molto particolari e molto pericolose per il potere.
Questo manager di R.G., non solo era amico di Mino Pecorelli e addirittura lo finanziava, ma, sempre in un’orbita – chiamiamola di poteri, di servizi segreti e di logge massoniche – era amicissimo anche di Flavio Carboni. Flavio carboni, tuttora alle ribalte della cronaca, era un altissimo esponente della P2, molto amico e stretto collaboratore di Licio Gelli. E addirittura venne condannato a sette anni di prigione per lo scandalo della Banca Ambrosiana e per maneggi bancari irregolari risalenti all’epoca.
Quello che è interessante sapere, e già l’avevo scritto nel libro “Chi ha ucciso Rino Gaetano?”, è che R.G. aveva tra le persone più care, più vicine a lui, Elisabetta Ponti, una giornalista musicale che ha una prerogativa molto singolare, considerando le tematiche e gli argomenti che stiamo affrontando. Elisabetta Ponti, possiamo definirla la più cara amica di R.G, era la figlia del medico personale di Licio Gelli. Questo ancora per sottolineare come attorno all’artista gravitavano delle persone “particolari”. […]
Il manager e amico di R.G., per ritornare a Mino Pecorelli, finanziava anche la sua rivista [agenzia stampa].
È esatto. Ma questo che sto dicendo non è il frutto di un’interpretazione o magari di una mera valutazione di un ricercatore quale sono. In realtà, è un dossier in mano alla magistratura, alla procura di Roma. E sono documenti che stranamente mai nessuno ha ritenuto di consultare o di portare alla luce. Eppure su R.G. sono stati scritti oramai una trentina di libri, migliaia di articoli di giornale e centinaia di programmi televisivi.
Io, già nel secondo libro, evidenziavo che, tra le altre cose, nessun giornale, nessun autore, nessun ricercatore aveva evidenziato che sulla morte di R.G. addirittura era stata avanzata un’interrogazione parlamentare, per iscritto e urgente, al governo dell’epoca, al governo Forlani. Questo l’ho scoperto io e l’ho portato alla luce. Pure questo è decisamente sconcertante come circostanza, se vogliamo.
E poi so che c’è un brano in cui sarebbe rivelata la sede segreta della P2.
Bravo! E, tra l’altro, a me piace sottolineare che, dopo che ho scritto i due saggi su R.G., tanti lettori mi scrivono e mi offrono pure delle chiavi di lettura, quasi che pure loro fanno delle ricerche e delle valutazioni, delle raffigurazioni sui testi Gaetaniani. E questo mi piace, è una cosa bella e coinvolgente, ed è anche gratificante.
In una canzone, proprio “La zappa, il rastrello, il tridente”, R.G. parla, e sembra un riferimento senza senso, a una mansarda in via Condotti. è una canzone del 76. Ebbene, nel 2008 Licio Gelli, in alcune interviste rilasciate a Repubblica e a delle televisioni locali di Roma, confessa per la prima volta che la sede segreta della P2, la tentacolare loggia massonica, era proprio in una mansarda all’ultimo piano in via Condotti. Un altro caso? Beh, ma sono tutti casi, allora!
Vediamo il manager che frequenta personaggi altissimi della P2, come Flavio Carboni. L’amica più cara di R.G. che è la figlia che è a più stretto contatto, dicevo prima in osmosi, col gran maestro della P2 Licio Gelli.
Ma vi è di più. Altra cosa che ho scoperto, sempre con riferimento alla canzone “Berta filava”: oltre a Mario, Gino e Berta, che poi sono gli stessi nomi che fa Mino Pecorelli per lo scandalo Lockheed, vi è un’altra locuzione molto misteriosa che nessuno mai ha decifrato. E anche questa locuzione in maniera documentale ci porta ad ambienti massonici potentissimi, alla loggia P2.
E spiego. Nella “Berta filava”, R.G. parla del santo vestito d’amianto. Ebbene, il “santo vestito d’amianto” non è una locuzione a caso o una frase senza senso. Perché nel 72 uscì un libro: “Questo è Cefis”. Questo libro era talmente pericoloso nel contenuto che venne pubblicato e scritto da un autore sconosciuto o forse da autori sconosciuti: Giorgio Steimetz è l’autore del libro, ma è uno pseudonimo. Taluni sostengono che era un’équipe di personaggi legati ai servizi segreti.
Eugenio Cefis era uno degli uomini in assoluto più potenti d’Italia. Assieme ad Andreotti e a Licio Gelli, era forse l’uomo più potente d’Italia. Ex presidente, prima dell’ENI e poi della Montedison. Parliamo di un uomo che gestiva un patrimonio di centinaia e centinaia di miliardi e centocinquantamila dipendenti, il mondo energetico, petrolifero, della chimica, della plastica. Insomma Eugenio Cefis in questo libro, appunto, “Questo è Cefis” viene definito “santo vestito d’amianto”.
Siccome però era un libro pericoloso per il potere e per Cefis, la Montedison che fa? Compra a tappeto tutte le copie di questo libro, è praticamente scomparso. Tra le pochissime copie sopravvissute, Pasolini ne utilizzò una sola in fotocopia per scrivere “Petrolio”. E purtroppo Pasolini, come sappiamo, venne ucciso tragicamente. E, presumibilmente, uno dei pochissimi libri venne letto pure da R.G. o comunque R.G. lo conosceva perché in questo libro si parla di santo vestito d’amianto. Cefis, per la cronaca, venne da ambienti dei servizi segreti deviati, addirittura fu definito il vero capo della loggia P2.
Quindi questo dimostra, ancora una volta, come R.G. conosceva fatti incredibili della storia, della politica, della cronaca d’Italia che contava. Ribadisco che R.G. ha tra gli amici Enrico Carnevali, che lavora presso uffici diplomatici della potenza americana in Italia. E tutti questi personaggi, questi avvenimenti ruotavano attorno a finanziamenti americani alla CIA e al ruolo di fedele alleato che l’Italia doveva tenere nei confronti degli Stati Uniti.
Questa citazione del libro direi è che pazzesca.
Lo dico per la prima volta, quindi abbiamo il piacere di dirlo nella tua trasmissione.
A parte questo – ti ringrazio – però è pazzesco che ci sia, cioè rende il tutto ancora più palese, no?
Ancora più palese perché, ribadisco, l’espressione “santo vestito d’amianto” era un’espressione conosciuta da pochissimi e contenuta in un libro che venne fatto scomparire da Cefis, dai dirigenti della Montedison e dal potere politico con un metodo efficace, molto semplice: comprano a tappeto tutte le copie del libro.
Tra le altre cose – particolare inquietante, pure curioso – all’epoca le copie dei libri venivano depositate anche presso la Biblioteca nazionale di Roma e presso la Biblioteca nazionale di Firenze. Ebbene, nei registri di queste librerie, nei registri di entrata, vi sono delle copie di “Questo è Cefis” ma poi, in realtà, non se ne trova neppure una. Cioè fecero scomparire pure le copie nelle biblioteche nazionali.
Una di queste copie rarissime, tra l’altro, venne utilizzata dal giudice Calìa che indagò sulla morte di Enrico Mattei. E R.G. parla della morte di Enrico Mattei in taluni suoi componimenti, per esempio, in nel brano “Spendi spandi effendi”. Comunque, dicevo, il giudice Calìa, praticamente, tra le righe, fa capire che Cefis era il gran manovratore, il gran burattinaio che presumibilmente trasse vantaggio dalla morte di Enrico Mattei. E addirittura era a conoscenza che la morte del presidente dell’ENI non era accidentale. Muore Enrico Mattei, viene nominato presidente dell’ENI proprio Eugenio Cefis.
Tra le altre cose, per dimostrare ancora una volta che le mie non sono ricerche – come dire – basate su mere valutazioni, lo stesso R.G. in un’intervista di tipo musicale, ma che poi si rivela non essere affatto di tipo musicale, a “Nuovo sound” parla della Montedison. Parla di Bastogi, che era una società collegata alla Montedison ed era amministrata da Cazzaniga che R.G. nomina, manco a farlo apposta, in “Nuntereggae più”. Quindi R.G., in maniera esplicita, in talune interviste musicali, invece di parlare di musica, parla di Montedison e di Bastogi.
Rino quindi inseriva questi messaggi in testi che apparentemente non erano collegati.
Esattamente! Quella è la sua genialità. Anche perché, se incentrava il testo di una canzone in maniera precipua, continua e determinata sui fatti che voleva narrare, è chiaro che veniva individuato, veniva neutralizzato. Invece lui, in maniera geniale, trasfondeva questi significati incredibili in maniera molto, molto particolare, se vogliamo molto intelligente. Del resto, quando provò a fare dei nomi pure per altre vicende – per esempio, in “Standard” fa apertamente i nomi dei politici (Andreotti, Fanfani, Aldo Moro) – la canzone veniva censurata. Allora lui utilizza un’altra metodologia: quella di inserire delle strofe chiave nei testi delle sue canzoni.
Secondo te, la sua finalità era: “guardate che io so”, come una specie di affronto? Sapendo che comunque, alla fine, questi messaggi sarebbero stati colti, almeno in quell’epoca, da pochissimi…
Anche se però lui dice: “poi, in futuro, le future generazioni capiranno”. La finalità è quella di una denuncia e, a furia di insistere e ripetere questi messaggi nel corso degli anni, è chiaro che la gente si poneva i problemi, cominciava a chiedersi “ma R.G. cosa vuole dire?”. Il potere però era andato nel panico. I poteri occulti, i poteri veri, quelli che agivano nell’ombra, si rendono conto che R.G. dice troppe cose e troppe cose pericolose. Quindi il suo ruolo era quello di una sorta di guerriero coraggioso contro il potere.
Rino Gaetano non amava il denaro, non lo faceva per denaro. Era uno ricco, ebbe successo e regalava soldi agli amici. Era un generoso. Addirittura […] due suoi cari amici, che ho avuto la fortuna di conoscere, mi hanno detto che era un personaggio generosissimo. Quando si andava nei ristoranti offriva sempre lui. Quando c’erano gli incassi, […] gli facevano il resoconto e R.G. diceva: “non mi interessa, non mi frega niente”.
Quindi la sua non era una finalità, chiamiamola di vanagloria o di denaro, ma di coraggio. Un artista coraggioso che si scagliava contro il potere.
Vorrei tornare anche alla morte di R.G., della quale abbiamo parlato le volte scorse. Ora che sono passati degli anni da quando hai iniziato, appunto, a fare questa tua ricerca, che viaggia su due binari. Da una parte, se sostanzialmente è stato ucciso. Dall’altra, quello che sapeva e quello che poi ha lasciato nelle canzoni. Ricordiamo: morto in uno strano incidente stradale in attesa di trovare un ospedale che lo curasse e come aveva raccontato in una canzone (anche questo particolare sembra un contrappasso). Ecco, che idea ti sei fatto tu?
Al contrario dei suoi amici più cari (che comunque non c’erano) che non pensano sia stato vittima di un incidente congegnato, di una macchinazione, io invece sono convinto che R.G. sia stato ucciso. Tra le altre cose, questo non è neppure completamente vero che tutti gli amici di R.G., quelli più stretti, parlo di cinque, sei persone. Per esempio, Bruno Franceschelli, purtroppo recentemente scomparso, ha sempre sostenuto che R.G. sia stato ucciso e che quello non fu un incidente legato al caso.
Anche per questo Bruno Franceschelli ebbe poi dei rapporti freddi con Anna Gaetano, la sorella. Però – attenzione – la stessa sorella Anna ha raccontato in alcune interviste che, subito dopo la morte del fratello, ricevette varie telefonate di persone, che chiaramente che non si qualificavano, che la mettevano in guardia e sottolineavano che non era un incidente legato al caso e che il fratello era stato assassinato.
Tra l’altro – aggiungo – la sorella ha fatto capire – la cosa non è chiarissima – che furono fatte svolgere delle indagini sulla macchina. Ora, il fatto che sono state fatte svolgere delle analisi sulla macchina dimostra che qualche dubbio c’è. E, in ogni caso, i giornali dissero delle falsità palesi.
Non è vero che fu uno scontro frontale, né è vero, presumibilmente, che la macchina di Rino Gaetano andrò contro il camion. Sembra il contrario. Perché? Perché i danni localizzati sulla Volvo di R.G. incidono sullo spigolo anteriore destro e sulla fiancata laterale anteriore destra. La macchina di Rino, come qualsiasi veicolo, non poteva camminare di lato e quindi è presumibile che il camion andò a impattare contro la macchina di R.G. e non il contrario. Inoltre rimase squassato un albero di platano, quindi la Volvo o il camion o anche tutti e due, a seguito di uno scontro frontale, che non fu frontale, come ci hanno detto in realtà, quindi a seguito di uno scontro non frontale, possiamo dire andarono anche a impattare in maniera violenta contro un albero di platano del luogo dell’incidente.
E qua vi è un’altra cosa incredibile. Abbiamo detto che l’amico di R.G., che lavora presso uffici diplomatici consolari americani, morì in un incidente stradale. Abbiamo detto che Cesare Carnevali diseppellisce senza motivo Enrico e lo porta in un altro cimitero, sottraendolo a una comunità di intenti con Rino, perché Enrico venne seppellito vicino a Rino, al Verano. Viene disseppellito, venne portato in un altro cimitero da Cesare Carnevali, espressione storica dello spionaggio deviato, possiamo definirlo del “noto servizio segreto”. Ebbene, il noto servizio segreto aveva una specialità (con atti sequestrati dalla magistratura): di uccidere le persone con incidenti stradali.
È inquietante ma, ancora più inquietante, è che gli incidenti stradali procurati dal noto servizio segreto avvenivano all’ombra del platano e – guardate un po’ – R.G. muore sulla via Nomentana, all’ombra del platano. Infatti, nel secondo libro, su tutti i nomi, che riporto tranquillamente, tra le vittime del noto servizio segreto con incidente stradale vi era l’onorevole Eugenio Dugoni, amico di Enrico Mattei, sindaco di Mantova. Muore schiantandosi col proprio veicolo contro un albero di platano. Fatto curioso – i carabinieri non ci badano: dicono sarà stata una guida distratta, la strada fatta male e la strada sdrucciolevole – un mese dopo, il segretario personale dell’onorevole Eugenio Dugoni muore con un incidente stradale, schiantandosi contro lo stesso albero di Platano dove qualche settimana prima era morto l’onorevole Dugoni. E anche il segretario dell’onorevole è tra le carte, indicato come vittima del servizio detto noto servizio segreto.
Quindi, come vedete, addirittura vi è anche l’aspetto simbolico esoterico della tipologia caratterizzante l’incidente di R.G.: la presenza del platano.
Mino Pecorelli, che venne ucciso il 20 marzo del 79, scriveva su O.P.: “In Italia le persone scomode vengono uccise da servizi segreti o con un camionista distratto o con incidenti stradali procurati tramite radio comandi”. Questo lo scriveva Mino Pecorelli, che era informatissimo. Talmente informato e pericoloso che viene ucciso. E che succedeva, però? Che, quando si uccideva qualcuno con la tecnica del radiocomando, dovevano intervenire i tecnici per asportare dalla macchina incidentata quel marchingegno che a un certo punto ti rendeva inguidabile il veicolo.
E – guarda un po’ – con l’incidente di R.G. non interviene un’ambulanza, non intervengono dei medici, ma interviene misteriosamente un veicolo di tecnici, no di sanitari, di vigili del fuoco. E quando – ribadisco – c’erano incidenti del noto servizio segreto, non arrivavano dei medici, arrivano dei tecnici che dovevano immediatamente asportare dal veicolo incidentato il marchingegno del radiocomando, insomma. E nella tipologia dell’incidente di R.G. tutto questo si riscontra.
Vengono in mente, poi, i riferimenti a rose, Rosite e via dicendo. Ma questi, chiaramente, sono riferimenti più difficili, immagino, su cui avere un riscontro, da verificare.
Sì, però, in fondo, si inquadrano considerando gli amici che lui aveva. Quindi questo manager e Licio Gelli, due filoamericani, considerando l’amico che lavora agli uffici diplomatici di Roma.
In realtà in quegli anni, proprio quando Rino Gaetano incide quelle canzoni che tu dici fanno riferimento alla rosa, in Italia, collegata al noto servizio segreto, manco a farlo apposta, e ai servizi segreti italiani deviati, operava la “Rosa dei venti” che era un’associazione segreta filo americana che faceva il bello e il cattivo tempo: incidenti con macchine, attentati ai treni e attentati esplosivi.
Quindi, a ben riflettere, quando R.G. mette in guardia da una rosa (che poi è zia Rosina), si inquadra perfettamente in quell’ottica di notizie di fatti che lui trasfonde in tante canzoni nel corso, se vogliamo, di pochi anni, perché viene soppresso, ahimè, dopo sei anni di carriera discografica. Quindi anche la rosa che, in maniera molto interessante, Paolo Franceschetti collegava ad ambienti esoterici. Diciamo, sì: che vi è l’aspetto esoterico, ma vi è anche un aspetto più concreto, militare, poliziesco di servizi segreti filo americani: sempre in quell’ambito, poi alla fine, approdiamo.
Tieni presente che queste agenzie di investigazione segreta al soldo degli americani erano molto allettanti, infatti lui parla di carriera e di soldi. Avevano dei budget illimitati e facevano il bello e il cattivo tempo perché l’Italia era troppo importante per restare nell’orbita filo americana. All’epoca vi era ancora la guerra fredda. Negli anni 70 l’Italia era una terra di frontiera, vi era il confine, appena al di là della Jugoslavia, di orbita comunista (anche se poi Tito cercò di emanciparsi), una portaerei naturale nel Mediterraneo. I paesi caldi, l’industria petrolifera, i giacimenti di petrolio del Medio Oriente. Quindi l’Italia è la nazione assolutamente fondamentale negli equilibri e R.G. in tantissime occasioni irride gli americani.
E, tra l’altro, questo discorso – ci tengo a sottolinearlo – che collega testi, ambientazioni e riferimenti di R.G. agli Stati Uniti e alla P2, alla massoneria, nasce addirittura il giorno della morte. Il 3 giugno dell’81, su La Stampa di Torino (che è uno dei giornali più diffusi e più importanti d’Italia, tra l’altro, diretto dagli Agnelli che sono notoriamente massoni, club di Roma, Bilderberg, ecc. ecc.) esce un articolo stranissimo, molto interessante (questo pure lo sottolineo nel mio libro “Chi ha ucciso Rino Gaetano?”). In questo articolo, in maniera esplicita, addirittura si paragonano i testi di R.G. a fatti della P2.
Quindi, vedete cari ascoltatori, vedi caro Fabio, addirittura già il giorno della morte, il 3 giugno dell’81, su uno dei giornali più importanti, tra l’altro etero diretto da massoni di altissimo livello e di logiche trasversali, si paragonavano i testi di R.G. a fatti della P2. Il che è veramente incredibile!
Poi combacia con tutta quest’ottica interpretativa ma anche documentale. Perché prima parlavamo, all’inizio della puntata, di contatti e di persone che non sono ricostruzioni giornalistiche ma sono addirittura dossier della magistratura. E questo mi pare molto interessante.
Secondo te è casuale che è sparito – anche se non so se è stato recuperato – un video, che prima era facile trovare, con una scena emblematica: cioè quando Rino Gaetano va ospite da Maurizio Costanzo e canta “Nuntereggae più”? Lo sguardo di Costanzo scocciato (per essere buoni, no?)… Ma era talmente percepibile, proprio a pelle, che c’era qualcosa che non andava…
Io ho il piacere, insomma, di avere a che fare con un giornalista e autore di razza quale sei tu.
Ma, addirittura, questo articolo misterioso della stampa di Torino va sottolineato: è un articolo misterioso ed insolito. Insolito perché accosta R.G. ai testi della P2, parla di “Nuntereggae più” (è un giornale degli Agnelli) e, guarda un po’, nel 78, nella puntata di “Acquario”, diretta da Maurizio Costanzo, vi è Susanna Agnelli. Quindi vi sono gli Agnelli, R.G. che canta “Nuntereggae più” e Maurizio Costanzo che è un piduista. Attenzione, lo sappiamo: Costanzo è un piduista, tra l’altro affiliato alla sede di via Condotti. Silvio Berlusconi e Maurizio Costanzo vengono affiliati alla P2 proprio alla sede romana di via Condotti, all’ultimo piano.
E questo articolo della stampa è firmato MC. Io ho chiesto alla stampa di Torino: “scusatemi, chi è il giornalista che ha scritto questo articolo?”. [Articolo] un po’ insolito, dove è vero che si accostano i testi di R.G. alla P2 ma, allo stesso tempo, si ride pure di R.G., ma in fondo si conclude che scrive cose senza senso. Come? Prima si dice nell’articolo che parla di fatti della P2 e poi si dice che sono cose senza senso? Ebbene, La Stampa non ha saputo, non ha voluto dire chi è quel giornalista misterioso, l’autore dell’articolo. Quell’articolo era firmato MC: potrebbe essere Maurizio Costanzo, cosa assolutamente plausibile perché lui all’epoca, manco a farlo apposta, fondò, proprio nei primi anni 80, un giornale che, guardate un po’, si chiamava “L’occhio”. Quindi simbolo massonico. Ma, al di là del termine occhio, la testata, il logo di questo giornale diretto da Maurizio Costanzo, era un triangolo con un occhio in mezzo. Quindi proprio l’icona emblematica, classica, “sacra” della massoneria.
Quindi quel filmato non si trova con facilità. Spesso viene oscurato, spesso uno che s’avvia a vedere le immagini se lo trova fermo quel video.
Senti Bruno, come proseguirà? Ovviamente, non credo che tu voglia fermarti qui.
Io, innanzitutto, ho già presentato delle documentazioni alla procura di Roma. Alla luce delle ultime scoperte, farò ulteriore esposto molto particolareggiato con tutti gli allegati, le documentazioni, con tutti i riscontri documentali. E spero che facciano delle indagini sulla morte di R.G., sulla morte di Enrico Carnevali. Verificare pure il ruolo di Cesare Carnevali, che è un noto esponente – come dicevo – storico dello spionaggio chiamiamolo alternativo ma – ahimè – molto pericoloso del noto servizio segreto.
Enrico Carnevali è un’altra vittima coraggiosa perché, secondo me, pure lui, vivendo in quegli ambienti, si rende conto, che, in pratica, c’erano cose che non andavano e si confidava con Rino Gaetano.
Un’altra fonte sicuramente è stata il manager. Aggiungo che sul manager è interessante dire che, oltre a essere addirittura finanziatore di Mino Pecorelli e amico di Flavio Carboni, addirittura ricevette personalmente da Andreotti soldi tramite assegni. E proprio questi assegni, ricevuti dal manager musicale di R.G., portarono Andreotti ad essere condannato in secondo grado per la morte di Mino Pecorelli. Guardate un po’ che intrecci! Poi, come sappiamo, la cassazione assolse Andreotti. Però in corte d’appello, a Perugia, Andreotti venne condannato per la morte di Mino Pecorelli. Mino Pecorelli viene finanziato da questo manager e, a sua volta, il manager riceveva personalmente soldi da Andreotti.