Fine spiegato semplice.
Di Raffaele Varvara, per ComeDonChisciotte.org
Nei nostri ospedali si parlerà sempre più latino. Non la lingua degli antichi romani ma il latino-americano: per sopperire alle carenze d’organico, il SSN continua a imbarcare personale sanitario proveniente dal sud America. La regione Lombardia rende noto che da circa un mese, in ASST Sette Laghi, sono in servizio sanitari provenienti da Paraguay e Argentina.
L’assessore al Welfare Bertolaso e il commissario di ASST Micale, hanno sbandierato con successo il progetto “Magellano” che prevede lo sbarco di personale sanitario straniero da immettere nel Servizio Sanitario Regionale, per rispondere ai bisogni di salute della comunità lombarda. Al Palazzo Pirelli di Milano, in occasione della presentazione del progetto, l’assessore ha sottolineato il valore del coinvolgimento dei migranti che arrivano nel nostro paese: «Se, al posto di chiuderli nei recinti, li coinvolgessimo in attività lavorative richieste dal nostro sistema, avremmo più benefici e non rischieremmo di aumentare la manovalanza della criminalità» (1). Una dichiarazione da far impallidire la Boldrini dei tempi migliori, contraria rispetto ai principi politici cardine su cui si è imperniata la seconda amministrazione Fontana (Lega). Così il governatore che doveva difendere l’interesse regionale è il primo ad approfittare del decreto milleproroghe (Il decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni in L. 24 febbraio 2023, n. 14, con l’art. 4ter) che ha prorogato fino al 2025 la possibilità per le regioni di assumere personale sanitario straniero in deroga alle verifiche sulla conoscenza della lingua italiana e alla conoscenza delle principali procedure diagnostico-terapeutiche. Su questo aspetto il fronte degli ordini degli infermieri è spaccato: da un lato le parole di Aurelio Filippini, dipendente della Sette Laghi e presidente dell’Ordine degli infermieri di Varese, il quale accoglie positivamente l’acquisizione di personale straniero e sottolinea che é un primo passo, che necessita di un percorso ben definito perché sia di garanzia per la salute dei cittadini: « Sarà comunque necessario strutturare percorsi valorizzanti per i professionisti compresi quelli in arrivo»(1).
A Filippini risponde una voce critica, quella di Ivan Bufalo, presidente di OPI (Ordine Professioni Infermieristiche) Torino, che sul proprio sito, riporta: «Tutto nasce nel 2020 con la legge 183 del 21 dicembre – Si tratta del decreto Covid o Milleproroghe, che per la prima volta permette di aumentare la consistenza del personale sanitario, per fronteggiare l’emergenza covid reclutando personale in deroga». Il decreto, che sarebbe andato in scadenza con la fine dell’emergenza sanitaria è stato prorogato ulteriormente fino al 2025, ma anziché dare respiro al sistema sanitario sta creando, come spiega Bufalo, un danno a professionisti iscritti agli ordini e ai cittadini: «Anziché rispondere a un’emergenza, ne sta creando un’altra – motiva il Presidente Opi Torino – La carenza di infermieri sta assumendo dimensioni drammatiche su tutto il territorio nazionale. Lo Stato attraverso il Decreto Bollette ha voluto dare risposta prolungando quanto introdotto dai Decreti Covid del 2020 consentendo alle strutture sanitarie di utilizzare “in deroga” fino al 31/12/2025 personale sanitario (infermieri, medici, ecc.) che ha conseguito il titolo in paesi esteri». Cosa prevede la legge? «Prima del decreto la norma rendeva possibile l’esercizio delle professioni sanitarie in Italia, a quelli che hanno conseguito il titolo all’estero dopo la verifica da parte del Ministero della Salute che il percorso didattico fosse conforme o semi conforme a quello italiano – spiega Bufalo – Se non era conforme, il professionista era tenuto a sostenere degli esami per compensare. Ora è sufficiente che il richiedente presenti una copia autenticata del titolo conseguito all’estero e del certificato di iscrizione al corrispettivo del loro Ordine Professionale e lo presenti presso un Ufficio Regionale per vedersi automaticamente concessa la possibilità di poter esercitare la delicata Professione Sanitaria sul nostro territorio». Il secondo punto riguarda l’esame di accertamento linguistico, che la deroga ha tolto: «Questo veniva svolto direttamente negli ordini professionali ed era essenziale per garantire la corretta comunicazioni tra personale sanitario e paziente – sottolinea Bufalo – Se non sai comunicare col paziente è un problema, peggio ancora se non sai interpretare le prescrizioni e le informazioni condivise dall’equipe di cura». Aspetti che con questa deroga vengono meno e mettono a rischio il lavoro del professionista e la salute del cittadino (2).
Ma com’è la situazione della dotazione organici all’interno dei nostri ospedali? A rivelarcelo è lo studio internazionale RN4CAST (3)che riporta come il rapporto ideale infermiere: paziente dovrebbe essere di 1:6. Se aumenta questo rapporto, anche solo di un paziente in capo ad un infermiere, aumenta esponenzialmente del 7% il rischio di mortalità. Il rapporto medio in Italia infermiere: paziente è esattamente il doppio, 1:12; praticamente un’ assistenza infermieristica che espone i suoi pazienti ad un rischio di mortalità elevato del 42%.
Strano come la politica abbia seguito pedissequamente le raccomandazioni della scienza su tutto, tranne che nei parametri di dotazione degli organici. Gli ospedali infatti sono regolamentati, per quanto concerne la dotazione organica, dall’ancora vigente DPR 128/1969 “Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”. Questo provvedimento è noto per aver stabilito i minuti di assistenza/die nei vari servizi ospedalieri. Medici e infermieri hanno un tetto massimo da dedicare a ogni singolo paziente, proprio come in una catena di montaggio di stampo tayloristico, con la differenza che in ospedale le “linee di produzione” non sono macchine ma persone! Ad oggi permane questo l’unico parametro per la quantificazione del numero di personale per garantire la copertura della domanda di assistenza sanitaria. È facile ipotizzare l’ inadeguatezza di una normativa di mezzo secolo fa che ormai non fa più presa su una realtà profondamente mutata. Infatti la normativa, in materia di determinazione del fabbisogno del personale d’assistenza, non ha tenuto conto delle modificazioni dei bisogni di salute della popolazione, delle modificazioni tecnologiche e dell’ evoluzione della professioni sanitarie. Negli ultimi anni si sono affermate metodologie scientifiche di misurazione delle attività assistenziali che sostengono l’importanza di una congrua definizione dello staffing delle unità operative, ma, guardacaso, sempre snobbate dalla politica.
Questi studi stanno aprendo il vaso di Pandora sull’ impatto di un altro inquietante fenomeno: il razionamento delle cure; siamo abituati a considerare gli errori di commissione in sanità, cioè quello che si fa sbagliando (intervento eseguito sulla gamba destra anzichè sulla sinistra), ma altrettanto dannosi sono gli errori di omissione, cioè quello che si dovrebbe fare ma che non si fa per mancanza di tempo (e di personale). I sanitari devono scegliere se essere puntuali nella somministrare delle terapie o se dare da mangiare a una persona. I farmaci delle multinazionali vengono sempre dati in orario mentre viene sacrificata l’assistenza di base: tutti i giorni c’è sempre una signora che rimarrà a digiuno perchè c’è nessuno per assisterla ai pasti, rimarrà a letto per ore nelle sue deiezioni perchè c’è nessuno che la possa mobilizzare per garantirle un ambiente pulito e asciutto. Sul fenomeno delle cure mancate, clamoroso quanto registrato all’ospedale Manzoni di Lecco. Ad ottobre 23, quattro donne si contendevano un posto letto per un intervento chirurgico; a decidere chi rispedire a casa non è stato però il medico, ma le pazienti stesse, a cui il primario, evidentemente molto abile nel “lavaggio delle mani”, aveva chiesto di scegliere chi tra loro fosse disponibile a rimandare l’intervento, come in una sorta di lotteria della salute.
Proprio a causa dello scoppio del fenomeno delle “curemancate”(2), le regioni hanno pensato di correre ai ripari, rimpiazzando i buchi d’organico con “terapie” mai volte a curare la causa del problema, ma sempre e solo rivolte a mettere una pezza al “sintomo”. La vera causa che sta riducendo gli organici non più all’osso, ormai al midollo osseo, è l’emorragia di personale sanitario, dovuto al dilagare del burnout. Uno studio dell’ Università di Genova sul benessere dei professionisti, riporta che il 45,2% si dichiara pronto a lasciare l’ospedale per “insoddisfazione lavorativa” dovuta a basse retribuzioni, mancanza di carriera e carenza di personale. Il 38.3% ha dichiarato insoddisfazione lavorativa per svariati motivi: principalmente, a causa dello stipendio (77.9%) e della mancanza di opportunità di avanzamento professionale (65.2%). Il 43.4% ha descritto il proprio ambiente di lavoro come frenetico e caotico. Solo il 3.2% percepisce come “eccellente” la sicurezza del paziente nel proprio ospedale (5).
Il fenomeno delle dimissioni di massa di medici e infermieri è dilagante sempre in Lombardia: sempre al Manzoni di Lecco, si contano 1,6 abbandoni al giorno a gennaio 2022, 1,5 a febbraio 2022, riferisce Francesco Scorzelli, 63 anni, infermiere da 37, dirigente sindacale Usb e delegato nella Rsu dell’ospedale di Lecco, che ha spulciato una per una tutte le delibere e le determine per tirare la somma della conta delle defezioni. Nel 2021 gli “abbandoni” sono stati 321 e il trend del 2022 è addirittura superiore. “I concorsi di ogni ordine e grado vengono banditi, non solo per i tecnici di radiologia, anche per infermieri, medici, tecnici di laboratorio, amministrativi, ma rapidamente le graduatorie vengono consumate – prosegue il sindacalista -. Per quanto riguarda quello degli infermieri, in pochi mesi, siamo già arrivati alla 400ª posizione in graduatoria”. Significa che non si riesce a rimpiazzare chi se ne va perché i nuovi arrivi spesso durano poco e non vogliono terminare nemmeno il periodo di prova. “E’ da tempo che denunciamo la scarsissima volontà di rendere “appetibile“ lavorare nelle strutture sanitarie pubbliche della nostra provincia”, spiega il dirigente dell’Usb dell’ospedale di Lecco(6).
In conclusione, dopo decenni di tagli, con l’introduzione delle logiche competitive tra i professionisti sanitari italiani e stranieri, si sta consumando la soluzione finale del nostro SSN. Svuotarlo delle eccellenze italiane, in termini di competenze stratificate in decenni di esperienza clinica e riempire i buchi d’organico con manodopera a basso costo proveniente dall’estero, equivale a un attentato alla salute pubblica. I morti sui fronti di guerra, sono gli stessi della nostra sanità pubblica al collasso: per mano dello stesso carnefice neoliberista.
In attesa di far tornare l’Italia di nuovo protagonista nel panorama delle contestazioni internazionali, al fianco di Francia e Germania, sabato 20 gennaio dalle ore 10.00 alle ore 13.00, in contemporanea sotto l’ospedale Molinette di Torino, l’ospedale Manzoni di Lecco, l’ospedale San Bortolo di Vicenza, l’ospedale Borgo Trento di Verona, l’ospedale San Giovanni di Roma e in piazza Garibaldi a Cagliari dispiegheremo le nostre forze per pretendere che “La sanità non si vende, si difende”.
Di Raffaele Varvara, per ComeDonChisciotte.org
17.01.2024
NOTE
- https://www.varesenews.it/2023/11/lasst-sette-laghi-argina-la-carenza-degli-infermieri-con-personale-qualificato-di-paraguay-e-argentina/1782344/
- https://opi.torino.it/index.php/infermieri-in-deroga-ci-vogliono-piu-controlli
-
Sermeus W, Aiken L. et all, “Nurse forecasting in Europe (RN4CAST): Rationale, design and methodology” BMC Nursing, vol 10: 6 (2011).
-
Kalisch B. et all, “Missed nursing care: a concept analysis” JAN, vol 65:7 (2009).
- https://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=119028
- https://www.ilgiorno.it/lecco/cronaca/operatori-sanitari-in-fuga-appena-arrivati-gia-se-ne-vanno-5d7b9135
Fonte: comedonchisciotte.org