Mussolini agente britannico? Il libro di Fasanella e Cereghino apre molti scenari interessanti

 

Spiegato semplice

Questo è un riassunto di un libro chiamato “Nero di Londra” che parla di come l’Inghilterra abbia influenzato la storia italiana durante la PrimaMondiale e l’ascesa del fascismo. Il libro si basa su documenti trovati nell’archivio di un uomo chiamato Sir Samuel Hoare, che era un importante agente segreto inglese. Questi documenti mostrano che c’erano forti legami tra Mussolini, che sarebbe diventato il leader dell’Italia, e imilitari inglesi.

Nel 1917, l’Italia era in guerra da due anni e le cose non stavano andando bene. L’Inghilterra temeva che l’Italia potesse decidere di uscire dalla guerra, quindi Hoare fu incaricato di fare in modo che l’Italia rimanesse nel conflitto. Per farlo, lavorò con gruppi in Italia che sostenevano la guerra, tra cui un gruppo chiamato Fascio italiano per la difesa nazionale, che includeva Mussolini.

Secondo il libro, senza l’aiuto dell’Inghilterra, Mussolini non sarebbe mai diventato così potente. Ma questo non significa che l’Inghilterra voleva che Mussolini diventasse un dittatore. Piuttosto, volevano solo che l’Italia rimanesse nella guerra. Alla fine, l’Inghilterra non mantenne le promesse fatte all’Italia per farla entrare in guerra, il che causò molta rabbia in Italia.

Fine spiegato semplice.

di Paolo Arigotti

Per buona parte di quel che vi racconteremo oggi siamo fortemente in debito con le ricerche condotte da Mario Josè Cereghino (saggista ed esperto di archivi britannici) e Giovanni Fasanella (giornalista e ricercatore), raccolte nel volume Nero di Londra, pubblicato lo scorso anno.

È stato grazie a questo lavoro di studio e ricerca, condotto in particolare sull’archivio privato di un personaggio sconosciuto ai più, Sir Samuel Hoare, che è stato possibile far tornare alla ribalta una serie di fatti non di dominio pubblico, per quanto non si possa affermare che non se fosse parlato in precedenza. L’archivio di Hoare è custodito, per volontà dell’interessato, presso la biblioteca universitaria di Cambridge: la sua desecretazione a inizio secolo ha permesso a diversi ricercatori – tra i quali lo storico prof. Peter Martland – di consultarlo e avere accesso a una serie di preziose informazioni.

Per quel che ci interessa più da vicino, le carte fanno emergere nuovi scenari, in parte inediti, che riguardano la storia italiana durante la Grande guerra e nella fase dell’ascesa del fascismo. In sostanza, sulla base dei documenti, emergerebbero importanti legami, anche finanziari, tra il futuro Duce e i servizi segreti militari inglesi operanti in Italia, al cui vertice in quegli anni c’era proprio Samuel Hoare.

Per capire bene di cosa parliamo occorre tornare indietro nel tempo. Siamo nel 1917 e l’Italia è in guerra da circa due anni. Infatti, dopo aver ripudiato la Triplice alleanza e aver aderito all’Intesa, il blocco capeggiato da inglesi, francesi e russi, il nostro paese era entrato ufficialmente nel conflitto nel maggio del 1915. Ma le cose non stavano andando affatto bene. Il problema era che l’Italia era entrata in guerra senza un’adeguata preparazione tecnica e militare, secondo un copione che si ripeterà negli anni Quaranta. I britannici, dopo avere a lungo “corteggiato” l’Italia, promettendole “mari e monti”, erano ugualmente riusciti a indurre i governanti a firmare il cosiddetto(1915), che in cambio dell’adesione di Roma all’Intesa, aveva promesso una serie di concessioni territoriali, promesse che in buona parte poi non saranno onorate.

Con questo, non si deve pensare che a Londra si facesse grande affidamento sulle capacità militari del nuovo alleato. In realtà, il più grande impero mondiale dell’epoca, che controllava direttamente o indirettamente circa un quarto delle terre emerse, voleva garantirsi una cerniera nel bacino del Mediterraneo, strategica per i propri interessi, con un importante collegamento tra il mare nostrum e il Medioriente. La decisione della discesa nel campo di battaglia era stata presa in contrasto con gli orientamenti prevalenti nell’opinione pubblica e nella maggioranza parlamentare – ammesso che contassero veramente qualcosa, ora come allora -, ma la Corona e il Governo erano riusciti ugualmente a trascinare il paese in guerra. Il problema, però, è che quando le cose cominciarono ad andare molto male, cosa ampiamente prevedibile del resto, i sentimenti contrari all’avventura bellica si fecero nuovamente forti nel paese, tanto tra la gente comune, che all’interno di quelle forze (socialisti, clericali, liberali giolittiani) che avevano sempre contrastato l’infausta decisione.

In un clima del genere, gli inglesi avevano molte ragioni per temere che il fronte neutralista potesse prevalere sulla scia della crisi: c’era il precedente della Russia, un altro alleato travolto dalla guerra, che nel mese di marzo aveva condotto all’abdicazione di Nicola II e alla caduta del regime zarista. Senza voler arrivare a tanto, il timore a Londra era che il malessere sempre più diffuso potesse spingere l’Italia a uscire in anticipo dalla guerra, siglando una pace separata con gli imperi centrali. E la fazione pacifista, come dicevamo, era molto forte nel paese, contando tra le sue fila personaggi del calibro di Giovanni Giolitti, l’uomo che più di tutti aveva rappresentato, nel bene e nel male, il punto di riferimento per la politica italiana degli ultimi lustri, o lo stessoBenedetto XV, che più volte avevano condannato il conflitto, arrivando a definirlo una “inutile strage”.

Per contrastare il crescente movimento che si opponeva alla prosecuzione dell’esperienza bellica era necessario attuare un’azione strategica della quale si sarebbe incaricato per lo più Samuel Hoare, in servizio a Roma dal 1917, in veste di responsabile del Directorate of Military Intelligence (Dmi), organismo inquadrato nei servizi segreti militari di Sua Maestà.

Samuel John Gourney Hoare (1880-1959) proveniva da una famiglia aristocratica di origini irlandesi, con importanti trascorsi negli ambienti del commercio e delle banche. In un certo senso era figlio d’arte, suo padre era stato parlamentare conservatore. Samuel ne seguirà le orme: dopo la laurea in Storia a Oxford, sempre nelle fila dei tories, divenne segretario presso il ministero delle Colonie e quindi membro dell’assemblea della contea di Londra. La vera svolta arrivò nel 1908, quando, neanche trentenne, aderì alla Anti Socialist Union (Asu), movimento dichiaratamente reazionario (cioè fortemente conservatore), che non escludeva il ricorso alla violenza come strumento di lotta politica; in tal senso, non può possono sorprendere la futura simpatia della Asu verso ile i movimenti fiancheggiatori britannici, come quello di Oswald Mosley. Fu anche grazie alla militanza attiva nell’ASU, che nel 1910 Hoare entrò alla Camera dei comuni, seggio che avrebbe conservato per molti anni.

Quando scoppiò la Grande guerra si arruolò nel corpo dei Dragoni reali, ma problemi di salute gli impedirono di andare al fronte. Per questa ragione, stando alle sue memorie, venne adibito a compiti di spionaggio militare. Il primo incarico all’estero fu nella Russia zarista, che assieme aeera il fulcro dell’Intesa, in contrapposizione con gli imperi centrali (Austria-Ungheria, Germania e Turchia). Nonostante il crollo della monarchia zarista nel corso della sua prima missione, si pensò nuovamente a lui quando si dové individuare il responsabile di una nuova operazione segreta: scongiurare l’uscita dell’Italia dalla guerra.

Prima di continuare è opportuno fare una premessa. Per quanto resti difficile valutare la portata e le ripercussioni della missione di Hoare a Roma, la rilevanza del suo contributo è indubitabile: come scrivono nell’introduzione dii due autori: “il modello Hoare ha fatto scuola in altre epoche temporalmente più vicine a noi e in contesti del tutto diversi.” Il che non solo, a nostro avviso, la dice lunga sull’importanza della missione che gli era stata affidata, ma ci rivela – se mai ce ne fosse bisogno – come la vicenda italiana non fosse un caso isolato, destinato a ripetersi, divenendo, per l’appunto, una sorta di modello di riferimento, dal quale trarranno importanti insegnamenti gli Stati Uniti, specie nel momento in cui, finita la Seconda guerra mondiale, prenderanno il posto del Regno Unito come potenza politica e militare di riferimento del cosiddetto Occidente.

Gli stessi autori, attraverso una serie di ricostruzioni che vedremo, arrivano alla conclusione che, in difetto dell’appoggio britannico (o, meglio, dell’intelligence britannica), Mussolini non sarebbe mai potuto emergere. Ovviamente con ciò non possiamo arrivare a dire che senza Hoare il fascismo non sarebbe mai divenuto un regime, anche perché è molto probabile che all’epoca nessuno pensasse a questo, presumibilmente neanche lo stesso Mussolini.

Per quanto possa suonare un paradosso che possano essere stati i britannici a favorire l’ascesa del futuro duce, colui che dichiarerà loro guerra il 10 giugno 1940, scendendo in campo a fianco della Germania nazista, la contraddizione è solo apparente.  Più correttamente, è necessario analizzare i fatti calandoli nel giusto contesto storico, il che ci consente di dipanare molte apparenti contraddizioni. Anche perché, se volessimo veramente cogliere tutte le incoerenze insite nei rapporti tra mondo anglosassone e fascismo, allora dovremmo parlare – come dimostrato dagli studi di molti storici autorevoli, come Enzo Colotti o William Shirer – delle simpatie per i regimi di Mussolini e Hitler che, specie negli anni Trenta, erano forti all’interno di importanti circoli britannici, che li consideravano come un sicuro argine contro il pericolo dell’avanzata del comunismo, incarnato dall’Unione Sovietica. Ma questa è un’altra storia, magari ne parleremo in un’altra occasione.

Tornando al 1917, l’andamento negativo della guerra, culminato nella disfatta di Caporetto dell’ottobre del 1917, diede la stura all’iniziativa di Hoare: in una serie di missive inviate ai suoi capi a Londra, egli rivendicava per sé il compito di scongiurare una uscita dell’Italia dal conflitto, consapevole dell’importanza delle forze favorevoli a una pace separata; inoltre, sempre a suo dire, insarebbero radicate delle cellule germaniche operanti in questa direzione.

Addirittura, in un lungo resoconto, lo stesso Hoare arriverà a paventare lo scenario di una disfatta di Caporetto orchestrata dai vertici militari e dalla burocrazia corrotta, per favorire il nemico austro tedesco e conservare così intatti i propri interessi economici legati alla Germania; è chiaro che non abbiamo elementi per valutare la fondatezza o meno di una simile asserzione. Quel che è certo è che per Hoare c’erano in quel momento tutti i presupposti affinché in Italia si verificassero scenari tipo Russia, dove molti soldati avevano iniziato a disertare, col pericolo di rivolte popolari e di una crisi istituzionale, che avrebbe potuto preludere all’abbandono del campo di battaglia. Tra gli altri timori espressi da Hoare, quello che se l’Italia avesse abbandonato la partita, il mar Adriatico sarebbe potuto cadere nelle mani degli imperi centrali (leggi Germania), mettendo in pericolo la supremazia della marina inglese nel mediterraneo, prospettiva inaccettabile per la talassocrazia dell’epoca.

Per il momento, venivano valutati positivamente i cambiamenti dei vertici politici e militari – con Paolo Boselli sostituito alla guida del governo da Vittorio Emanuele Orlando e Luigi Cadorna, comandante in capo delle forze armate, esautorato in favore di Armando Diaz – non foss’altro perché veniva lanciato un messaggio rassicurante all’opinione pubblica, purché naturalmente, (secondo i desiderata di Londra) non venisse messa in discussione la partecipazione al conflitto.

Per scongiurare questo scenario, l’intelligence doveva fare leva sulle giuste forze. Non si poteva fare affidamento sulla maggioranza parlamentare, in buona parte di orientamento pacifista, ed era pertanto necessario ricorrere ad altri soggetti, come le associazioni, a cominciare da quelle degli arditi e dei mutilati, e al cosiddetto Fascio italiano per la difesa nazionale, un’organizzazione patriottica che poteva contare sul sostegno di un centinaio circa di parlamentari, con un’importante sponda nel Governo rappresentata da Sidney Sonnino, fervente interventista, che aveva conservato la poltrona di ministro degli Esteri nel governo Orlando.

Tra i promotori del fascio troviamo un certo Giovanni Battista Pirolini, ex agitatore di sinistra, interventista della prima ora, da sempre ostile alla Germania, il quale oltretutto disponeva di una stamperia per diffondere materiale di propaganda. Nell’entourage di questo ultimo figurava, tra gli altri, un ex socialista e direttore del Popolo d’Italia, Benito Mussolini, e un medico repubblicano di nome Luigi Resnati, con importanti contatti nellafrancese: sarebbe stato lui – secondo quanto riportato da Fasanella e Cereghino – a procurare finanziamenti in favore del quotidiano fondato dal futuro Duce. Lo stesso Mussolini sarebbe stato stipendiato dai servizi segreti inglesi con la cifra di cento sterline alla settimana, oltre seimila euro al cambio attuale, pagatigli per almeno un anno.

L’attività di questi gruppi, fomentati da Hoare, si sarebbe rivelata estremamente importante. A fungere da canale di collegamento tra i gruppi predetti e i servizi segreti britannici sarebbe stato un certo William Kidston McClure, corrispondente da Roma per The Times. Curiosamente, gli uffici romani dell’intelligence inglese, la residenza di McClure e quella di(che alloggerà in via Rasella fino al 1929, quando si trasferirà definitivamente a Villa Torlonia) erano molto vicini, situati in alcune centralissime vie della capitale.

In sostanza, secondo la ricostruzione proposta, sarebbe stato proprio questo patto d’unità d’azione, siglato col fascio di difesa nazionale, con l’obiettivo di dare vita a una rete diantigermanica e filoinglese, a consentire di tenere l’Italia nel conflitto, col coinvolgimento diretto del futuro Duce, con tanto di nome in codice attribuito dall’intelligence britannica (“The count”).

Hoare era consapevole della forte influenza tedesca nel paese, risalente alla stipula della Triplice alleanza (1882), incentrata su una fitta rete di rapporti finanziari facenti capo alla Deutsche Bank e su una serie di importanti attività economiche e industriali, nella quale erano coinvolti diversi uomini politici liberali. Facendo leva su queste relazioni, sarebbero stato gli stessi tedeschi, secondo la tesi della spia inglese, ad infiltrare propri agenti in ogni ambito, e questo non solo per favorire le tesi pacifiste, ma soprattutto per conservare la propria influenza nella penisola. In questo senso, è possibile affermare che l’obiettivo Hoare si proponeva era duplice: non solo quello di osteggiare l’influenza germanica riguardo la guerra, ma pure di sostituirla con quella inglese sul lungo periodo sul versante economico.

Finita la guerra, gli inglesi non terranno fede al patto di Londra del 1915, mentre gli statunitensi, entrati in guerra quasi all’ultimo, non si dichiareranno vincolati a intese che non avevano sottoscritto, il che per una volta era vero. Il voltafaccia britannico al tavolo della pace, che darà origine al mito della “vittoria mutilata”, verrà stigmatizzato dalla stampa nostrana, provocando nel paese una forte sentimento antibritannico. Nella primavera del 1919 il Governo italiano decise di abbandonare il tavolo della pace, mentre quasi contemporaneamente, a Milano, Mussolini fondava i Fasci italiani di combattimento, un coacervo di arditi, mutilati, ex combattenti, interventisti e antisocialisti. Quando Orlando decise di tornare sui suoi passi, dovrà accontentarsi delle “briciole”: all’Italia verranno riconosciuti i territori irredenti (Trentino, Alto Adige e Trieste), assieme alle isole del Dodecaneso, ma niente di più. Lo scontento provocherà la caduta del Governo, sostituito nel giugno del 1919 da Francesco Saverio Nitti, che però – nei piani dell’intelligence inglese – avrebbe dovuto essere una sorta di governo ponte, in attesa di un nuovo esecutivo filo britannico, pronto a fare dell’Italia un paese fiancheggiatore dei piani egemonici di Londra nel Mediterraneo.

E l’uomo giusto per realizzare questo disegno Hoare lo aveva già in mente: si chiamava Benito Mussolini. Pare che l’uomo dei servizi fosse talmente sicuro della rete da lui costruita, che poco dopo l’insediamento del governo Nitti decise di tornarsene a Londra, da dove continuerà a dirigere le operazioni. Per la cronaca Hoare intraprenderà negli anni a venire una brillante carriera politica, che gli permetterà di ricoprire diversi incarichi governativi, compreso il ministero degli Esteri; sarà tra i più ferventi sostenitori della politica di appeasement, linea che poi sarà fortemente criticata in un libello, intitolato Guilty Men (I colpevoli), uscito nel 1940, a guerra già iniziata. Esiste un’altra pubblicazione, uscita circa tre anni più tardi, intitolata The Trial of Mussolini (Processo a Mussolini), uscita in Italia solo nel 1946, nel quale si parlerà ancora di Hoare. Il libro immaginava un processo contro Mussolini, celebrato a guerra conclusa, nel corso del quale l’ex spia veniva chiamata a deporre in qualità di testimone, in qualità di ministro degli Esteri in carica nel 1935, che avrebbe dato nella sostanza e non ufficialmente luce verde alla guerra d’Abissinia.

Tornando ai fatti del 1919, il nuovo presidente del Consiglio Nitti, tra i primi provvedimenti, istituì la Guardia regia di pubblica sicurezza, nella quale confluirono molte delle milizie private a suo tempo inserite dalla rete di Hoare, ufficialmente con il compito di contrastare le agitazioni sociali. Questa e altre misure vennero indicate da Giovanni Giolitti come la prova del tentativo di mutare in senso autoritario l’assetto politico italiano. Fondate o meno che fossero le denunce del politico liberale, i fattori di preoccupazione non mancavano. Soprattutto perché alle elezioni generali del 1919, le prime del dopoguerra, a trionfare fu il partito socialista, che ottenne da solo circa un terzo dei voti, seguito a distanza dal partito popolare di ispirazione cattolica (20 per cento). Per effetto della disfatta elettorale, Nitti fu costretto a lasciare e a tornare alla guida del governo fu, per l’ultima volta, Giovanni Giolitti.

Tuttavia, le fortune dell’anziano uomo politico erano al tramonto: il nuovo Esecutivo ebbe vita breve, costretto alle dimissioni a giugno 1921 per via del clima di forte instabilità politica e sociale, fomentato dalla violenza squadristica fascista, culminata nei tragici fatti di palazzo d’Accursio a Bologna (21 novembre 1920) e del teatro Diana di Milano (23 marzo 1921). Quali che fossero le cause dei disordini, questi fecero il gioco degli inglesi, consentendo loro di togliere di mezzo definitivamente l’arcinemico Giolitti, fiero avversario di ogni progetto egemonico inglese nella penisola. I due governi che si insediarono dopo la caduta di Giolitti, entrambi guidati dal liberale Luigi Facta, si rivelarono del tutto inadeguati a gestire la situazione.

Nel frattempo, si andava attenuando il clima antibritannico in Italia: come scrisse il nuovo ambasciatore inglese a Roma, sir Ronald Graham, stava tornando lentamente in auge la convinzione che gli interessi italo inglesi avessero molti punti di convergenza. Quel che accadde nei mesi successivi è risaputo. Il movimento di Mussolini, trasformato in partito a novembre del 1921, nello stesso anno fece il suo ingresso in Parlamento, grazie all’alleanza con liberali e nazionalisti, segnando una nuova tappa del processo che avrebbe condotto il capo del fascismo al governo a ottobre del ‘22.

Per quanto la marcia su Roma, un evento che ancora oggi conserva una forte valenza simbolica nell’immaginario collettivo, e che continuerà ad essere celebrato durante il ventennio come l’inizio della cosiddetta rivoluzione fascista, abbia contato poco e nulla nella presa del potere, resta da dire che fu Romeo Adriano Gallega Stuart, liberale umbro e da anni agente di Hoare, ad ospitare a Perugia i vertici del movimento mussoliniano, nei giorni che precedettero la famosa calata sulla capitale.

Quando il 30 ottobre 1922 Mussolini ricevette dal re Vittorio Emanuele III l’incarico di formare il nuovo governo, Cecil Dormer, diplomatico presso la legazione britannica accreditata presso la Santa sede, otteneva la rassicurazione che la Chiesa non avrebbe mosso alcuna obiezione, né sollevato accuse contro (presunte) ingerenze straniere. L’ambasciatore britannico a Roma fu tra i primi a incontrarsi con Mussolini nella sua nuova veste di capo del governo.

Sulla falsariga della guardia regia voluta da Nitti, fu istituita a gennaio del 1923 la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, unico corpo armato non chiamato in un primo momento a giurare di fedeltà al Sovrano, bensì al capo del Governo, nel quale confluirono molti appartenenti alle milizie fasciste.

Tra il 1924 e il 1925 sarebbero maturati i passaggi storici e istituzionali che avrebbero portato il fascismo a farsi regime.

Buona parte di quel che vi abbiamo raccontato, e che ritroviamo nel volume di Fasanella e Cereghino, trova riscontro in duedi memorie, pubblicati da Hoare dopo la Seconda guerra mondiale. Il primo, uscito nel 1946, era intitolato Ambassador on special mission, cui seguì nel 1954 Nine troubled years. In questi volumi Hoare ripercorreva la sua esperienza di spia, prima ine poi in Italia, rivelando una serie di contatti con futuro Duce, compresi i famosi finanziamenti, il tutto col beneplacito dei vertici politici e militari del suo paese.

Abbiamo già detto che Hoare fece ritorno a Londra ben prima dell’instaurazione del regime, precisamente nel 1919, ma non per questo egli interruppe i contatti con l’Italia fascista, per esempio durante l’affare Matteotti, l’ultima seria crisi che precedette l’instaurazione della dittatura. Ci sarebbe molto da dire anche su questi aspetti, ma rischieremmo di allargare troppo il discorso, e preferiamo rinviare alla lettura di Nero di Londra. Se c’è, una cosa, però, che potrebbe e dovrebbe insegnarci questa vicenda è che molti fatti, rivisti alla luce di una serie di eventi e circostanze successivi, possono aprire molti scenari, spesso assai distanti dalla storia ufficiale che ci viene tramandata.

Il problema è che spesso l’analisi storica viene condotta a posteriori, con la logica del “senno di poi”, senza valutare il contesto storico e gli interessi contingenti. Pensiamo solo al presunto e controverso carteggio tra Mussolini e Churchill, che pure espresse a suo tempo tutta la sua stima e ammirazione per il dittatore italiano: per quanto anche questo possa suonare a posteriori un paradosso, lo diventa assai meno se viene calato nel momento storico nel quale ebbe (o avrebbe avuto) luogo.

Nel 1954 Samuel Hoare – divenuto nel frattempo Lord Templewood – scrisse di aver ricevuto dal futuro Duce questa risposta alla sua offerta di collaborazione in funzione antigermanica e antipacifista: “Lasci fare a me […] Mobiliterò i mutilati di Milano, che spaccheranno la testa a ogni pacifista che tentasse di tenere una manifestazione di strada contro la guerra. E fu di parola, i fasci neutralizzarono davvero i pacifisti milanesi”. Il che non significa affatto che Hoare nutrisse piena fiducia nei confronti dell’ex leader socialista, avanzando invece una serie di riserve circa il denaro dispensato dall’intelligence britannica: “L’investimento rese, anche se non so se Mussolini usasse i soldi per il giornale: viste le sue inclinazioni, ritengo probabile che abbia speso quei soldi per le sue amiche”.

Per correttezza e completezza, ricordiamo che la tesi che Mussolini fosse stato foraggiato dagli inglesi, perfino agevolato nella presa del potere, non è condivisa da tutti. A parte la nipote del Duce, Alessandra Mussolini, che bolla certe ricostruzioni come l’ennesimo tentativo di mettere il nonno “ancora in mezzo”, citiamo l’autore Maurizio Barozzi, che dopo aver fatto una serie di considerazioni di realpolitik e di cambi di strategia che hanno caratterizzato molti personaggi storici (a cominciare dallo stesso Mussolini), così si esprime circa il presunto approccio filo britannico del Duce: “… chi sa leggere la Storia non solo attraverso i “documenti”, sempre parziali, di parte e mai esaustivi, ma anche nelle sue linee geopolitiche”, non può non concludere che Mussolini fu uno statista antibritannico, attento agli interessi geopolitici dell’Italia.

A nostro parere, è molto significativa una previsione fatta da George Orwell, il quale recensendo il libro “Processo a Mussolini” augurava: “a Churchill e ai politici conservatori del sua cerchia (e dunque anche a Sir Samuel Hoare) che il dittatore italiano tiri rapidamente le cuoia, magari per mano degli stessi italiani” aggiungendo, come leggiamo su Nero di Londra, come “Non vi è infatti alcuna furfanteria commessa da Mussolini tra il 1922 e il 1940 che non sia stata oltremodo glorificata dalle medesime persone che propongono adesso di portarlo alla sbarra”, sbagliando grandemente tutti i calcoli politici che avevano giustificato quella scelta.

In pratica, se è difficile esprimersi circa il carattere determinante o meno dell’appoggio e sostegno britannico al futuro Duce, che probabilmente ci fu, resta un dato di fatto da considerare, che rappresenta il confine tra l’analisi storica e il “cospirazionismo” di bassa lega: non sempre le persone e i processi storici sono prevedibili, specie quando accompagnati da una buona dose di opportunismo e calcolo politico. Potrebbe essere proprio quel che è avvenuto in questa vicenda.

Fonte: lantidiplomatico.it

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