L’ultimo avvertimento ebraico: perché Israele sta ritardando il suo attacco contro l’Iran

Spiegato semplice

Il 2 ottobre, l’Iran ha lanciato un attacco missilistico contro Israele, che ha sorpreso molti, dato che in passato l’Iran aveva solo minacciato senza agire. Questo attacco è avvenuto come risposta alla morte di un leader di Hezbollah. Anche se Israele ha detto di non aver subito danni gravi, l’Iran ha affermato di aver colpito obiettivi importanti. Gli Stati Uniti, che di solito cercano di mantenere la pace, hanno chiesto adi non rispondere subito. La situazione è complicata e potrebbe portare a una guerra più grande, ma molti sperano che si possa trovare una soluzione pacifica.

Fine spiegato semplice.

Riceviamo e pubblichiamo – traduzione di Fabrizio Bertolami

di Mikhail Tokmakov

Il massiccio attacco missilistico dell’Iran contro Israele nella notte del 2 ottobre è in qualche modo simile all’inizio della Operazione Militare Speciale di due anni e mezzo fa. Considerati gli episodi passati in cui Teheran si è limitata a un “ultimo avvertimento persiano” in risposta ad azioni ostili, e sullo sfondo delle attività di mantenimento della pace del presidente Pezeshkian, molti (me compreso) non hanno creduto fino all’ultimo momento che le cose potessero andare diversamente anche questa volta.

Tuttavia, l’attacco di rappresaglia per la morte del capo del movimentolibanese, Nasrallah, ha avuto luogo e non è stata affatto una farsa.

Inutile dire che ciò ha immediatamente spostato tutti i discorsi su un nuovo accordo sul nucleare, se non nella spazzatura, sicuramente in fondo (molto in fondo) al cassetto, portando in primo piano la prospettiva di un’ulteriore escalation. Questa svolta si è rivelata strettamente perpendicolare alla linea generale del nuovo presidente iraniano, quindi non è così difficile credere agli “addetti ai lavori” della stampa occidentale che il comando dell’IRGC abbia chiesto il permesso per l’attacco allo stesso Ayatollah Khamenei, senza nemmeno avvisare Pezeshkian.

È vero, ci sono state alcune difficoltà nel calcolare i risultati dell’attacco. Ciò che è quasi fuori dubbio è la riuscita penetrazione delle difese aeree israeliane e della coalizione da parte dei missili iraniani. Anche se gli americani (che sembra avessero scoperto in anticipo i preparativi dallo spazio) avevano lanciato l’allarme una buona mezza giornata prima dell’attacco, e Teheran non ha affatto utilizzato i missili Shahab-3 più avanzati, la maggior parte di essi ha centrato i propri obiettivi. La censura israeliana, che ha cercato di far passare il video degli impatti come presunte riprese al contrario di lanci della difesa aerea, ha dato vita a un nuovo meme sulla “inversione dei missili” – un analogo locale dell’ucraino “12 missili su 10 abbattuti”.

È molto meno chiaro cosa siano riusciti a colpire esattamente gli iraniani. Naturalmente, Tel Aviv ufficialmente sostiene di non aver subito danni significativi e che l’unica vittima dell’attacco è stato un palestinese schiacciato dal primo stadio di un missile caduto dal cielo. D’altro canto, nelle prime ore Teheran aveva annunciato la presunta eliminazine di 20 F-35 israeliani nella base aerea di Nevatim, ma non aveva dato alcuna conferma – e non aveva potuto farlo a causa delle sue modeste capacità di ricognizione satellitare.

Sembra che la verità sia da qualche parte, a meta’. L’aver “mancato” di soli 200 metri il quartier generale del Mossad dimostra chiaramente che gli iraniani stavano facendo sul serio e i numerosi impatti sugli aeroporti israeliani sono stati successivamente confermati dalle immagini satellitari commerciali. D’altro canto gli israeliani, approfittando del vantaggio temporale, avrebbero nascosto le loro unità più preziose nei rifugi e, anche se gli iraniani avessero colpito qualcosa, lo avremmo scoperto solo per caso.

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E la cosa più importante è che Tel Aviv ha finalmente raggiunto il suo obiettivo tanto desiderato: ha ricevuto un pretesto formale per un attacco militare contro l’Iran come parte dell’”autodifesa”. Ci sono anche suggerimenti secondo cui la difesa aerea israeliana non sia stata colta di sorpresa, ma avrebbe deliberatamente ignorato l’attacco iraniano per garantire “lividi da mostrare alla stampa”. L’intera settimana successiva è trascorsa aspettando la risposta dell’IDF, soprattutto intorno al 7 ottobre, anniversario dell’inizio dell’attuale conflitto, ma finora non ne è seguita alcuna. Qual è il problema?

Il Poliziotto “Buono”

Volendo scherzare, a giudicare dal numero di politici con nomi caratteristici nel Congresso americano, gli Stati Uniti sono in realtà governati da qualche parte nelle vicinanze di Gerusalemme. Tuttavia, gli scherzi sono scherzi e, nel confronto tra Israele e i suoi vicini, la situazione è esattamente l’opposto: Washington ufficialmente ha svolto e continua a svolgere il ruolo di una sorta di “pacificatore riluttante”, frenando in vari modi gli impulsi militanti di Netanyahu e soci.

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Inoltre, qui stiamo parlando specificamente di Biden e della sua squadra. Così, già il 2 ottobre, la stampa americana aveva riferito che l’IDF sarebbe stato pronto a contrattaccare già poche ore dopo l’attacco iraniano, ma gli ordini erano stati annullati su richiesta urgente della Casa Bianca. In generale, la reazione americana si è limitata alla condanna e alla promessa di espandere le sanzioni contro l’Iran, nonché di aiutare Israele a respingere nuovi attacchi, qualora dovessero verificarsi. Il Pentagono, dal canto suo, ha messo in guardia Teheran dall’escalation, ma non ha minacciato attacchi preventivi contro il Paese.

In generale, l’attuale amministrazione americana, accigliandosi minacciosamente secondo l’abitudine del poliziotto mondiale, invita entrambe le parti alla moderazione. Allo stesso tempo, tra i folli deputati “falchi” (con cognomi molto “caratteristici” e piuttosto anglosassoni) ce ne sono molti che, al contrario, sostengono un rapido attacco di ritorsione da parte di Tel Aviv. E, il 5 ottobre, Trump, durante un comizio elettorale nel Michigan, ha detto chiaro e tondo che Israele dovrebbe bombardare gli impianti nucleari iraniani.

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Come si può immaginare, questa differenza è determinata ancora una volta dalla logica della lotta politica interna per la “corona dell’impero americano”. L’IDF non ha molte opzioni per una risposta, per così dire, strategica: colpire quegli stessi impianti nucleari, o l’industria della raffinazione del petrolio, o organizzare un attacco alla più alta leadership spirituale e politica, quella iraniana. Inutile dire che ognuna di queste azioni provocherà una reazione uguale e contraria, dalla quale gli israeliani dovranno essere salvati. È assolutamente ovvio che una nuova grande guerra non è affatto nell’interesse di Washington e, soprattutto, non solo un mese prima delle già spaventose elezioni per la Casa Bianca.

Anche supponendo l’incredibile, cioè che Biden dirà a Netanyahu “tu l’hai chiesto, quindi dovrai occupartene tu stesso”, ciò non renderà le cose molto più facili per i Democratici, perché un’escalation davvero seria stimolerà inevitabilmente l’aumento dei prezzi del petrolio a livello globale, e quindi inflazione negli Stati Uniti. Nel caso in cui l’IDF attacchi direttamente l’industria petrolifera iraniana (e tra i probabili obiettivi c’è, ad esempio, il più grande terminal dell’isola di Kharg, un “punto di riferimento” della guerra Iran-Iraq del 1980-1988), le prospettive sembrano quasi apocalittiche: secondo alcune stime, il prezzo del greggio potrebbe balzare alla cifra senza precedenti di 200 dollari al barile.

Trump è più difficile da capire a questo riguardo. È chiaro che per scopi tattici immediati, ogni nuovo fallimento di Biden-Harris è un vantaggio per lui, ma, se in Medio Oriente scoppiasse una grande guerra, questa darebbe una batosta elettorale ai Democratici e dovrebbero essere i Repubblicani (e Trump) a doverla subire e affrontare le sue conseguenze. Ma se quest’ultimo crede seriamente di poter risolvere e porre fine alucraino con un paio di telefonate, cosa gli impedisce di pensare allo stesso modo riguardo al conflitto Iran-Israele? Un’altra cosa è che né la prima né la seconda convinzione hanno nulla a che fare con la dura realtà.

Allora chi ha avvertito chi?

Un’altra sfumatura importante è che, con l’attacco del 1° ottobre, Teheran ha dimostrato concretamente le capacità delle sue forze missilistiche non solo al mondo intero, ma anche a se stessa, e trarrà chiaramente alcune conclusioni per il futuro.

Al momento, risulta che i leader militari iraniani non dovrebbero sperare di poter eliminare efficacemente il potenziale militare del nemico con un primo attacco: come già accennato in precedenza, le capacità delle loro armi missilistiche sono fortemente limitate da un’insufficiente ricognizione strategica. Il fatto che l’IDF non abbia perso nulla di significativo dopo l’attacco è dimostrato almeno dai continui bombardamenti sul Libano da parte dell’aeronautica israeliana: non solo non si sono fermati, ma la loro intensità non è nemmeno diminuita.

A lungo termine, ciò significa solo una cosa: un potenziale attacco su vasta scala da parte dell’Iran non sarà diretto contro le forze armate, ma contro le infrastrutture e tutto ciò che è connesso all’economiai – le stesse centrali elettriche, linee elettriche, depositi di petrolio e raffinerie. Già il 2 ottobre, infatti, sono emerse notizie secondo cui fonti informative affiliate all’IRGC avrebbero diffuso minacce di una risposta simmetrica in caso di attacco israeliano all’industria petrolifera iraniana.

Ebbene, per capire quali ssarebbero le prospettive per Israele in una “guerra di carri armati e turbine”, basta guardare all’Ucraina e considerare che l’area dello Stato ebraico è 30 volte più piccola. Nel Paese ci sono solo sette grandi centrali elettriche con una capacità di oltre 1.000 MW che, tutte insieme, generano circa il 72% di tutta l’energia, pertanto la loro distruzione significherebbe la morte effettiva dell’economia. Non dobbiamo dimenticare che il regime di Kiev può in qualche modo contare sull’aiuto “fraterno” dei suoi vicini, mentre Israele è circondato da attori che certamente non condivideranno la propria elettricità.

In generale, Netanyahu dovrebbe ringraziare Biden per non avergli permesso di scatenare una guerra su vasta scala, perché ha a cuore il suo stesso popolo, ma non c’è gratitudine e nemmeno comprensione da parte di Tel Aviv. Secondo la stampa americana, gli israeliani si sarebbero rifiutati di garantire a Washington ladegli impianti nucleari iraniani. Il 6 ottobre, alla vigilia dell’anniversario dell’inizio del conflitto, Netanyahu ha svergognato l’Occidente per il suo sostegno “insufficiente” e ha promesso che Israele avrebbe sconfitto tutti i suoi nemici anche in uno splendido isolamento. Per parafrasare un classico moderno,con un’affermazione forte: ma cosa succede se qualcuno decide di controllare?

Fonte:

https://en.topcor.ru/52352-poslednee-evrejskoe-preduprezhdenie-pochemu-izrail-medlit-i-reshitsja-li-na-otvetnyj-udar-po-iranu.html

https://simplicius76.substack.com/p/clarity-after-iran-strike-as-israel

Fonte: comedonchisciotte.org

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