Fine spiegato semplice.
di Alessandro Bianchi
Viviamo tempi drammatici, con pochi punti di riferimento e molti improvvisatori di professione, consapevoli o sul libro paga, che di solito aiutano a perdersi per strada, non certo a capire quel che succede. Quando il Papa nel suo viaggio all’Avana nel settembre del 2015 aveva parlato di “terza guerra mondiale a pezzetti”, in pochi avevano dato il giusto peso alle sue parole. E oggi, storditi da un regime mediatico megafono delle guerre della Nato, abbiamo un disperato bisogno di una bussola per comprendere, analizzare e approfondire.
La morte del presidente Raisi, le possibili conseguenze per il Medio Oriente allargato in un momento in cui il mondo assiste impotente e complice al genocidio di una popolazione, quella palestinese, il consolidarsi del sud globale come alternativa al sistema delle “regole” occidentali e il futuro dell’Europa. Di tutto questo ci siamo confrontati nuovamente per “Egemonia” con l’ex ambasciatore a Pechino e Teheran, Alberto Bradanini, una delle voci più coraggiose, chiare e competenti nel definire i contorni delle relazioni internazionali attuali.
Una delle principali bussole per l’AntiDiplomatico.
Sulla morte di Raisi e la possibile “destabilizzazione” dell’Iran come scrivono (o meglio si augurano) in queste ore i giornali italiani, l’Ambasciatore ha pochi dubbi nel rispondere ai nostri quesiti: “Non è in vista alcun orizzonte di destabilizzazione”. Gli israeliani, ci spiega Bradanini, hanno escluso un loro coinvolgimento: “noi non c’entriamo” e Teheran ha sposato questa ipotesi (non per convenienza, secondo il giudizio di tutti gli osservatori, compresi quelli indipendenti). Non v’è dunque alcuna ragione di temere un’escalation tra Iran e Israele. Al momento, dunque, a meno che non emergano altri elementi, la tesi dell’incidente resta la sola accreditabile. “Del resto, pur non conoscendo la causa precisa della tragedia, sappiamo che nella zona gravava in quelle ore una fitta nebbia, che insieme al pessimo tempo atmosferico sembra aver avuto la meglio su un velivolo tecnologicamente arretrato come quello schiantatosi al suolo con a bordo presidente e ministro degli esteri iraniani.”.
Sul piano interno, poi, prosegue l’ex Ambasciatore italiano a Teheran, la Costituzione della Repubblica islamica dell’Iran è chiara: il primo vicepresidente, Mohammad Mokhber, subentrerà ad interim nelle funzioni di presidente, in attesa delle nuove elezioni che si terranno entra il prossimo mese di giugno. Nessuna destabilizzazione istituzionale dunque. “Quanto al merito delle elezioni, è verosimile che la Guida Suprema Ali Khamenei, che insieme al Corpo dei Guardiani della Rivoluzione detiene il potere ultimo in Iran, spinga affinché il successore di Raisi sia anche lui un conservatore come il predecessore. I candidati in Iran devono passare il vaglio del sistema giudiziario e della Guida e dunque in questa fase storica critica, difficilmente Khamenei prenderà il rischio di far eleggere una personalità che disponga (seppure esistesse) di caratteristiche d’indipendenza. La transizione dunque avverrà, non c’è da dubitarne, all’insegna della piena continuità politica e istituzionale”.
Sull’incidente aereo che ha portato alla morte del presidente Raisi e del ministro degli esteri Amir-Abdollahian, una delle voci più autorevoli dell’ala “riformista” iraniana, l’ex ministro Zarif ha accusato formalmente gli Stati Uniti e l’embargo imposto al suo paese. “E’ una visione condivisibile perché le sanzioni colpiscono il sistema dell’aviazione iraniano e l’elicottero su cui viaggiava il presidente e il ministro degli esteri era quanto mai obsoleto”, ci risponde Bradanini.
La leadership israeliana non ha mai escluso un conflitto con l’Iran. È oggi uno scenario più vicino? Incalziamo. “Ripeto, alla luce di quanto è dato sapere il coinvolgimento israeliano non è un’ipotesi accreditata dalle autorità iraniane. La riflessione sarebbe diversa, se fossero emerse altre responsabilità. Va detto, d’altra parte, che Stati Uniti ed Israele – diversamente che in passato – hanno oggi interessi e posizioni distinte su quanto avviene in Medio Oriente, in particolare a partire dal 7 ottobre 2023. Washington non ha interesse a farsi trascinare in un conflitto con Teheran, e dunque non asseconda operazioni avventate contro l’Iran che potrebbero spingere quest’ultimo a reagire in forma tale da rendere inevitabile il coinvolgimento americano. Questa è invece parte la strategia israeliana”.
Nel suo primo commento del disastro aereo iraniano, il noto commentatore Pepe Escobar sottolineava come l’integrazione dell’Eurasia e la spinta verso il multipolarismo siano condotte fondamentalmente da tre grandi attori: Russia, Cina e Iran. Ricordava poi come, subito dopo la notizia dell’incidente che coinvolto Raisi, il presidente russo Vladimir Putin invitava l’ambasciatore iraniano in Russia, Jalali, a una riunione con le principali autorità militari russe. Interconnessi sempre di più a livello bilaterale, l’appartenenza ai BRICS e alla SCO, e dopo l’incontro Putin-Xi a Pechino della scorsa settimana, secondo Escobar nessuno dei tre paesi permetterà che gli altri partner siano destabilizzati dall’Occidente. In questa visione si starebbe formalizzando qualcosa nel Sud globale che va oltre le organizzazioni informali, per avvicinarsi ad alleanze simili a quelle costruite dall’occidente negli ultimi decenni. “Nel Sud globale i paesi si trovano in un momento storico di forte vicinanza questo è indubbio”, ci conferma Bradanini. “Per esempio, Iran e Russia, che hanno rafforzato le relazioni reciproche essendo entrambi bersagli americani, sono spinti a darsi una mano. Tale aspetto coinvolge anche la Cina, sebbene Pechino non ami presentarsi come nemico degli Stati Uniti avendo ingenti interessi economici e commerciali da tutelare”. La Cina, prosegue Bradanini, persegue un suo progetto storico di sviluppo, dialogando con il Sud Globale ma anche beninteso con l’Occidente a guida Usa (un rapporto reciprocamente essenziale in un mondo interconnesso), come del resto fanno Brasile, India, Arabia Saudita e le altre nazioni Brics e non Brics (si pensi a Venezuela, Cuba, Vietnam etc …). “I Brics non si presentano in chiave antagonista rispetto al mondo a guida americana, ma tendono a difendere i loro interessi sulla base del principio di indipendenza e sovranità. Il loro messaggio è ormai palese: abbiamo nostre caratteristiche, una storia specifica, sensibilità, caratteristiche istituzionali, ideologiche, finanche religiose, e dunque abbiamo le nostre priorità e chiediamo rispetto. Il Washington consensus (vale a dire la via neoliberista a guida Usa di uscita dalla povertà) è una trappola, che, in cambio di sottomissione politica e militare, promette ma non mantiene. Non siamo più disposti a piegarci”.
Dopo la morte di Raisi, il Sud globale, dunque, sembra aver fatto quadrato per garantire una transizione morbida evitando ogni rischio di destabilizzazione di un membro dei Brics, l’Iran, che è anche cruciale nella strategia cinese della Nuova Via della Seta, lungo il corridoio Nord-Sud che coinvolge Russia, Azerbajan e India. “D’altra parte, la destabilizzazione del Medio Oriente non sembra essere un obiettivo neanche per gli Stati Uniti (almeno non in questo momento) poiché essi, diversamente da Israele, verrebbero danneggiati da un coinvolgimento in un conflitto dai contorni quanto mai indefiniti, in specie in un anno elettorale. Per Washington l’Iran deve continuare a giocare il ruolo di paese nemico, ma non essere distrutto”, ci specifica Bradanini. All’ombra di tutto ciò troviamo ancora una volta l’Unione europea, attore ormai ancorato al ruolo di maggiordomo. Alcuni giornali e politici del vecchio continente “alla luce d un’inesistente destabilizzazione dell’Iran” (argomento quanto mai pretestuoso, oltre che fallace) hanno ri-evocato la necessitò di formare quanto prima un esercito europeo in grado di affrontare le sfide attuali. Netto il pensiero di Bradanini sull’argomento. “L’esercito europeo presuppone l’esistenza di un governo vero e proprio, un Parlamento che faccia davvero le leggi e di una banca centrale che risponda a istituzioni democratiche. Nulla di tutto ciò esiste nelle attuali istituzioni antidemocratiche europee. Da chi verrebbe guidato, d’altra parte, tale ipotetico esercito? Esso in ogni caso, non verrebbe consentito dagli gli Stati Uniti (che oggi controllano il continente con la Nato), anche se tale ipotesi dovesse superare l’opposizione delle oligarchie tedesche e francesi, mentre le esternazioni di politici del week end, molto diffusi nel paesi del Sud Europa, contano come la carta straccia”. E ancora: “un governo, un parlamento vero e una banca centrale degna di questo nome, comunque, non ci saranno mai perché gli Stati Uniti d’Europa sono solo una mistificazione per spiriti semplici e sprovveduti, che si lasciano depauperare in attesa di un traguardo che mai sarà raggiunto, non solo perché esso non è contenuto in nessun documento dalla Conferenza di Messina del 1955 ai Trattati di Maastricht, di Lisbona e via dicendo, perché nessun leader politico nei paesi che decidono (Germania e Francia) li ha mai evocati, ma anche perché manca il sottostante, vale a dire il popolo europeo, il quale è solo un’entità lessicale, non fattuale. Esistono tante nazioni, ognuna con la sua storia, lingua, religione, sensibilità, economia, cultura e dunque manca un valore indispensabile per la costruzione di un’entità unitaria, il principio di solidarietà…”
I paesi più ricchi, prosegue nella sua analisi Bradanini, dovrebbero accettare di trasferire una parte della loro ricchezza ai paesi arretrati – quel che succede in Italia, dove la ricchezza prodotta nel centro nord viene distribuita anche nel sud. Ma in Europa tale principio verrebbe mai attuato? “Impossibile immaginare un partito che in Germania, Olanda o Finlandia – paesi che praticano, notoriamente, virtù etiche superiori! – possa accettare di trasferire una parte della ricchezza ai popoli meridionali, notoriamente pigri, sfaccendati e corrotti …” Il mito della costruzione degli Stati Uniti d’Europa, prosegue l’Ambasciatore, viene venduto “agli sprovveduti” in particolare in Italia, dove i poveri, negli ultimi dieci anni, sono passati da sei a dieci milioni e dove la ricchezza sociale costruito nei trent’anni gloriosi (dal 1945 al 1975) si va ora dissolvendo, grazie alle istituzioni europei, all’eurozona e all’asservimento delle nostre classi dirigenti negli ultimi quarant’anni circa. “Un degrado, quello che umilia il nostro Paese, che è insieme politico, istituzionale, ed etico, dal momento che o spirito di solidarietà, il collante indispensabile di ogni collettività, va dileguando drammaticamente. Il pessimismo attanaglia dunque il nostro spirito, prosegue Bradanini, alla luce della disgregazione culturale e valoriale della popolazione, che ha sposato l’ideologia dell’immodificabilità. “La società è un dato e non può essere modificata. Certo, in assenza di un collante filosofico e di valori, la sola reazione può sintetizzarsi in un duplice livello di reazione: testimonianza (mai accetteremo un potere corrotto e distruttore) e resistenza (mai ci piegheremo).”,
Tuttavia, la capacità sociale di reagire e organizzare una risposta politica è oggi pressoché inesistente, gli facciamo notare. “Fa difetto la consapevolezza, mancano anticorpi e spazi d’aggregazione, mentre il disagio, pur anche profondo e diffuso, resta inconsapevole, generando deficit di movimentazione politica…” E quindi? “Quindi occorre piegarsi e accettare un realistico pessimismo, guardando al tempo lungo della storia, oltre l’orizzonte immediato. Nel frattempo, beninteso, qualche reazione resta praticabile. Ad esempio, colgo l’occasione per rilevare, gli spiriti indomiti potrebbero volgere lo sguardo a esperienze coraggiose, seppur di margine, come l’AntiDiplomatico. Nonostante l’inevitabilità di fare i conti con l’ottimismo dell’incoscienza, tale esperienza punta a costruire preziosi spazi di autocoscienza, confidando che, come i semi del contadino, le sue punture d’avanguardia politica e culturale possano mettere radici e germogliare. Le due stelle polari saranno dunque, in questa fase storica, la testimonianza prima e la resistenza poi, un binomio il cui contributo diverrà più visibile quando le condizioni storiche consentiranno di scorgere sulla linea d’orizzonte quel mondo più giusto, più libero e solidale che dà senso alla nostra esistenza. Oggi, il nostro compito è quello di prepararci all’appuntamento”.
Fonte: lantidiplomatico.it