“Dizionario Politico Minimo”: da Antifascismo a Zeitgeist, che stiamo dicendo?

Spiegato semplice

Un signore di nome Luciano Canfora ha scritto un libro che si chiama “Dizionario Politico Minimo”, e un altro signore, Antonio di Siena, ha aiutato a farlo. Questo libro è come un piccolo dizionario che spiega parole importanti che a volte le persone dimenticano cosa significano davvero, come “democrazia” e “scienza”. Il libro vuole aiutare le persone a capire meglio queste parole così che possano pensare di più alla politica e a come le cose funzionano nel mondo.

Antonio di Siena ha studiato con Luciano Canfora e per lui è stato un sogno lavorare con lui su questo libro. Parlano anche di un posto chiamato Palestina e di come è stato creato lo stato di Israele, e di come molte persone e paesi hanno avuto un ruolo in questo, anche se non sempre ne parlano.

Il libro dice che la storia è piena di conflitti e guerre, ma che a volte queste situazioni difficili hanno portato le persone a inventare cose nuove e importanti. Parla anche di come l’Unione Europea ha preso alcuni poteri dai paesi e questo ha reso difficile per i politici di sinistra aiutare le persone con problemi come il lavoro e la salute.

Antonio di Siena vorrebbe aggiungere altre parole al dizionario, come “biopolitica”, che parla di come i governi possono controllare le persone con la scienza e la medicina, e “femminismo”, che è importante ma a volte le persone non capiscono bene cosa significa davvero.

In generale, il libro vuole che le persone pensino di più alle parole che usano e a come queste parole possono cambiare il modo in cui vediamo il mondo.

Fine spiegato semplice.

di Giulia Bertotto per L’Antidiplomatico

“Dizionario Politico Minimo” di Luciano Canfora a cura di(Fazi 2024). L’impresa che sottende le 230 pagine è epica, il libro agile: rivivificare parole apparentemente agonizzanti, riontologizzare definizioni prive di consistenza, valorizzare termini caduti in disgrazia lessicale. Recuperare la profondità del linguaggio per rifocillare il pensiero e ricostruire una partecipazione politica alla questione sociale. Da Antifascismo a Zeitgeist, passando per Democrazia, Progresso e Scienza, quello che Di Siena definisce un “Sintetico distillato del Canfora-pensiero” è un flusso di intervista, un dialogo socratico, un vocabolario che si apre con la poesia, citando Bertold Brecht “dall’ignoranza politica nasce la prostituta, il bambino abbandonato, il ladro il peggiore di tutti i banditi: il politico imbroglione, corrotto lacchè delle imprese nazionali e multinazionali”.

In una specie di gioco del telefono semantico, l’AntiDiplomatico ha intervistato Antonio di Siena che ha intervistato Luciano Canfora.

L’INTERVISTA AD ANTONIO DI SIENA

Innanzitutto complimenti per questa nuova uscita editoriale. Di Siena, come è nato il “Dizionario Politico Minimo”?

All’inizio avrebbe dovuto essere un libro-intervista, ha poi assunto la veste del dizionario perché si tratta di una forma di comunicazione che abbiamo ritenuto più incisiva. Catalogare le parole aiuta a far emergere uno dei principali problemi del nostro tempo: quello dello svuotamento e della banalizzazione delle parole. Le parole vengono oggi deliberatamente impoverite di tutti quei significati che non sono adeguati a reggere e diffondere la narrazione dominante. Pertanto “Democrazia” diventa “liberaldemocrazia”, “populismo” diventa la reductio ad Hitlerum di chi critica una determinata direzione politica. Mi si conceda anche una risposta sentimentale: ho studiato sui libri del professor Canfora e nei suoi corsi, per me è un sogno che si realizza! È stato emozionante, prezioso, foriero di stimoli e spunti ascoltare e conversare per molte ore con il professore.


Sfogliamo il Dizionario. A 76 anni da una Nakba mai finita non si può non parlare di “Palestina”. Nel vostro libro viene apertamente espresso anche il ruolo e la responsabilità storica dell’URSS, la quale viene spesso taciuta rispetto a quella degli stati d’Europa occidentale e degli Usa.

Spesso dimentichiamo che il processo che ha portato alla nascita dello Stato diha visto nell’Unione Sovietica uno dei principali attori, in virtù delle condizioni concrete di quel preciso periodo storico. Non a caso – così come ricorda correttamente Canfora nel dizionario – l’organizzazione del nascente Stato di Israele con i suoi kibbutz ricordava per certi versi le esperienze di autogestione della Jugoslavia titina. Credo che in quel momento storico per gli ebrei fosse necessario cercare la tutela nazionale sotto uno stato confessionale. Se ci si cala nella loro condizione, in quel frangente storico, si può comprendere il terrore ed empatizzare con il bisogno di sicurezza. Solo uno stato ebraico, dal loro punto di vista, poteva garantire che non si ripetessero le atrocità della Shoah. Non si tratta però di dare la caccia ai colpevoli a posteriori, e a proposito di parole, forse “responsabilità” non mi convince.


Responsabilità vuol dire anche etimologicamente rispondere di ciò che si è agito, non significa colpa. È
molto interessante questo, comunichiamo con le parole e comunichiamo sulle parole.

Oltre agli Usa e a diversi paesi europei come Inghilterra e Francia, leggendo ciò che dice Canfora, emergono grandi responsabilità – nel senso deteriore del termine – in capo ai paesi arabi per la situazione attuale; è vero, ci sono stati dei tentativi bellici da parte delle nazioni mediorientali ma i palestinesi sono stati ripetutamente traditi e a lungo abbandonati, dalla Giordania innanzitutto. La questione palestinese è intricatissima e stratificata e vede tantissime responsabilità in ballo, perché c’erano e ci sono tanti interessi in gioco. Sempre sulla pelle dei civili palestinesi. Mi trovo d’accordo con questa analisi del professore. Ogni tanto dovremmo ricordarci che in nessuna vicenda storica esistono buoni o cattivi, si tratta di rappresentazioni utili alle fazioni: incensare se stessi e demonizzare il nemico. Ciò non toglie che le politiche espansionistiche israeliane, che con le colonie sta occupando abusivamente un territorio non suo, sono illegali e contrarie al diritto internazionale. E che quanto accade a Gaza da mesi è un vero genocidio, una mattanza atroce e criminale di cui non si può tacere.

In molte pagine vediamo che Canfora descrive la Storia come conflitto (ad esempio p.203 e p. 148). Secondo il suo interlocutore non ci sarà storia senza guerra, del resto lo pensava anche Freud che lo dice in quell’intenso carteggio con Einstein, nel quale lo scienziato esperto di profondità cosmiche chiede all’esperto di profondità interiori se potrà esserci umanità senza guerra. La pace infatti si fonda oggi sul deterrente atomico e non su un sedicente progresso etico, dice ancora. Il maestro Canfora afferma anche che l’etimologia di “Pace” è anche tregua quindi gli antichi greci intendevano la pace sempre come fase tra un conflitto e l’altro. Secondo lei può esserci umanità senza guerra?

Mi prenderò la libertà di rispondere a questa domanda sulla base di ciò che penso, indipendentemente da come interpreto le parole di Canfora. Se unissimo tutti i libri di storia in un solo testo ed eliminassimo le pagine in cui vengono riportate le guerre resteremmo con 15 pagine di storia in mano. Questo perché il conflitto, innanzitutto con le condizioni naturali, con lo stato di necessità, ha sempre messo l’uomo in una condizione di attrito con la realtà. Le più grandi scoperte scientifiche, come anche molte battaglie, sono state un tentativo di rispondere a questa condizione. Non è un elogio alla guerra, ma un aspetto antropologico che vorrei far notare. Abbiamo acceso il fuoco per difenderci dagli animali feroci che ci predavano, poi abbiamo scoperto che potevamo anche cuocere i cibi ottenendo vantaggi per la salute. La scoperta del fuoco è quindi al contempo un’invenzione bellica e qui per bellico intendo un conflitto tra uomo e predatore. In tempo di pace o tregua è stato poi possibile raffinare queste scoperte.


L’essere umano sembra ontologicamente in conflitto: lo è con i suoi simili e con chi opprime la maggioranza, con le altre specie viventi, con i propri limiti, con se stesso.

Nel conflitto tra governante e governato la costruzione delle piramidi serviva a rafforzare la figura del faraone-dio, a mantenere pacificamente il potere tramite uno sfoggio di magnificenza, quindi di potenza. Noi intendiamo la guerra come una forza sterminatrice, e questo aspetto è certamente reale, tuttavia credo siano stati pochi – eccetto qualche esaltato sadico – coloro i quali hanno mosso guerra con il semplice intento di sterminare l’altro. Credo che in ogni guerra ci sia sempre stato anche un elemento di emancipazione. In qualche caso puramente teorico, in altri molto più esplicito. Penso ad esempio alle lotte di liberazione nazionale e al processo di decolonizzazione. Sono guerre che vedono una grande asimmetria militare e in esse la fazione che cercava la propria emancipazione era anche dipinta come barbara e criminale, oggi diremmo terrorista. La storia è fatta di conflitti e la guerra è l’estrema ratio per cercare di risolverli.

Vediamo la voce “Sinistra”: in poche parole, secondo Canfora, l’Unione europea ha sottratto i diritti sociali alle patrie e dunque alla sinistra non restano che quelli civili. Secondo lei c’è dell’altro?

La verità è che dei diritti sociali non se ne occupa più nessuno; sono stati teoricamente avocati ma nei fatti naufragano. E questo per una serie di ragioni. Si pensi al parlamento europeo, un’istituzione che è praticamente un organo consultivo o poco più. Allo stesso modo i parlamenti nazionali, esautorati di ogni capacità concreta, non possono occuparsene. Al contrario per promuovere i diritti civili non servono grandi risorse economiche, come richiede invece il welfare. Per affermare efficacemente i diritti sociali, invece, occorrono ingenti risorse economiche, tantissimo denaro. Il grande leviatano Ue ha accentrato a sé tutte le leve funzionali a realizzare politiche sociali, ma si guarda bene dall’usarle perché il fine dell’Unione non è l’emancipazione: è il mercantilismo. E i popoli restano imbrigliati in un sistema di austerità perpetua che non offre alcuna prospettiva. All’interno di questo quadro, in cui tutto il potere è detenuto da organismi di fatto non sottoposti ad alcun controllo politico (come la Commissione Europea e la BCE), è evidente che chi, nei propri territori nazionali, vuol farsi portatore di istanze sociali non ha alcuna possibilità reale di metterle in pratica. Di far comunicare il processo di raccolta dell’istanza (la base) con chi si deve occupare di trasformarla in provvedimento concreto (governi e parlamenti). Da qui nasce l’incapacità totale della sinistra di essere oggi vera forza emancipatrice. Ma il guaio è che loro per primi faticano a capirlo.

Le propongo un esperimento. Io vorrei aggiungere la parola “Umiltà” perché Canfora ci ricorda sempre che l’Occidente si erge a egemone culturale del mondo quando esso è invece una minima parte territoriale e culturale. Lei che parola avrebbe aggiunto?

Ne avrei aggiunte altre cinquanta! Ma i limiti tempistici non lo hanno consentito. Avrei aggiunto ad esempio “Biopolitica” e “Femminismo”.

Le auguriamo allora un secondo Dizionario Politico Minimo. Soffermiamoci su “Biopolitica”, concetto diventato centrale con la speculazione di Foucault negli anni ‘70.

Credo che il potere goda in questo momento storico di un apparato medico e scientifico-tecnologico potenzialmente definitivo, quasi totale, che può determinare la vittoria assoluta sulle popolazioni. Se pensiamo ai sistemi di riconoscimento facciale e tracciamento sono strumenti inediti che non mi pare abbiano precedenti di tale rilevanza pervasiva nella storia. Questo potrebbe cristallizzare “per sempre” i rapporti di forza? Non credo, ma non credo neppure che siano domande da liquidare senza pensarci. Saggiamente il professor Canfora noterebbe che nulla nella storia è assoluto o definitivo, ma diciamo almeno che il modello biopolitico potrebbe albergare a lungo nella nostra parte di mondo.

Le sarebbe piaciuto approfondire con Canfora anche “Femminismo”, parola che sta subendo deformazioni semantiche importanti…

Sì, perché è un’altra parola che sta patendo una serie di torsioni allarmanti nella nostra società. Purtroppo, a causa di una certa sinistra, sta diventando una parola ultra-polarizzante che ci sta distanziando e aizzando conflitti deformati e deformanti. Molti non si rendono conto che se i principi femministi non vengono rivendicati all’interno di battaglie sociali più ampie risultano marginali, per non dire dannosi. Questo svilisce l’importanza delle istanze più genuine e fondamentali di quelle cause. La società del consumo ha dato alla donna un grande potere di affermarsi, ad esempio nel mondo dello spettacolo, ma è un potere “concesso”, quasi ricattatorio, perché spesso deriva da una visione della donna come mero corpo femminile, un bene mercificabile a uso e consumo del maschio. Il fenomeno Onlyfans, senza giudicare nessuno personalmente, si inserisce perfettamente in questa cornice. Sembra la quintessenza della “libertà” femminile ma in realtà è l’esatto contrario. Per questo ritengo femminismo una parola che andrebbe rideclinata criticamente, perché come per tanti altri termini ha perso il suo senso più concreto e originario. Le battaglie da portare avanti sono tante, tante quante le parole sulle quali ancora soffermarsi.

Fonte: lantidiplomatico.it

COMMENTACommenta COMMENTA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su