Fine spiegato semplice.
Consapevole in anticipo circa l’esito delle elezioni americane – il Mossad sa fare il suo lavoro – Netanyahu ha preventivamente licenziato il ministro della Difesa Yoav Gallant, eliminando dal tavolo l’unico vero oppositore politico all’interno del suo governo.
Non una mossa da poco, perché Gallant finora era intoccabile in quanto godeva del supporto dell’esercito e di quello dell’amministrazione Biden, che lo aveva scelto come suo interlocutore privilegiato (aveva un filo diretto con il Segretario di Stato Anthony Blinken).
Le sfide di Netanyahu
Venendo meno il supporto americano, come sapeva in anticipo Netanyahu, poteva essere liquidato, eliminando così un pericoloso competitor. Certo, la mossa era un’aperta sfida all’esercito, che in Israele ha un carattere sacro, sia per i laici, per i quali ha la missione di preservare l’esistenza di Israele, sia e ancor più per gli ultra-religiosi, per i quali Tsahal è partecipe della missione salvifica del Dio degli eserciti (banalizziamo concetti che in ambito ebraico sono più complessi, ma è per intendersi).
Sfida ad alto rischio, ma che Netanyahu si sentiva di poter azzardare con successo, come sembra sia avvenuto, almeno a stare alle reazioni iniziali. Durissime le opposizioni, ma non ancora in grado di portare veri pericoli al suo potere: le solite manifestazioni di piazza, che finora non hanno portato a nulla.
La disfida con l’esercito non riguarda solo il potere personale del premier, ma anche e soprattutto la gestione della guerra multi-fronte, che Netanyahu vuole proseguire ad libitum, mentre militari, che sanno cos’è la guerra, sono concordi sulla necessità di porvi fine.
Sanno bene, infatti, che continuare le ostilità mette a rischio quella vittoria che oggi possono ostentare al mondo, ma forse non domani. Inoltre, sanno perfettamente che una guerra di logoramento arrecherà danni ancor più seri al loro Paese, fino al punto di porre rischi alla sua futura sussistenza.
Una prospettiva ineludibile, della quale è cosciente lo stesso Netanyahu, il quale spera di superare l’ostacolo innescando una grande guerra mediorientale che trascini nella pugna anche gli Stati Uniti. D’altronde, lo scopo dichiarato di questa guerra non è Gaza o il Libano, ma rimodellare l’intero Medio oriente. E ciò può avvenire solo e soltanto con l’aiuto americano.
Israele, potenza globale
Netanyahu lo aveva dichiarato a chiare lettere in passato, come quando, nel marzo 2019, ebbe a dichiarare: “Stiamo trasformando Israele in una potenza globale” (Jerusalem Post). Per realizzare tale sogno Israele doveva avere l’atomica, ma soprattutto deve diventare il Paese egemone del Medio oriente.
In tale prospettiva vanno visti gli Accordi di Abramo con i Paesi del Golfo, che Netanyahu ha redatto personalmente e fatto passare come americani grazie al fidato Jared Kushner (Jerusalem Post), e la marginalizzazione/distruzione dell’Iran, l’unico vero competitor della regione per via della Forza che gli garantisce il suo arsenale bellico.
Non è una prospettiva nuova, che Netanyahu ha inventato dal nulla, ma è una aspirazione/pretesa coltivata da tempo di una parte della leadership israeliana e da taluni circoli dell’ebraismo internazionale (cosa che spiega il mancato isolamento internazionale del premier israeliano).
Ne scriveva il 13 agosto del lontano 1982 Augusto del Noce, in un appunto riportato nel libro “Cristianità e Laicità” (Giuffrè, 1998) che mi è stato segnalato e che appare profetico. Colpito dal “martirio dei palestinesi” nell’ambito della cosiddetta guerra civile libanese, il filosofo scriveva: “Pensiero della mia passeggiata: l’idea della terza superpotenza, lo Stato d’Israele, con diritto di giustizia diretto contro tutti gli altri elementi di altri Stati che giudicherà anti israeliani o antisemiti (la distinzione non è valida per gli israeliani). Questo muta il panorama della politica internazionale, vanificando i termini di guerra fredda e di distensione […]”.
Il 15 agosto aggiungeva: “Ho l’impressione che due giorni di tregua del bombardamento di Beirut siano stati sufficienti per addormentare il sentimento di orrore per quello che gli israeliani hanno fatto. Anche l’uso della parola genocidio sarà sfuggito, nei prossimi giorni, come banale. Gli israeliani avranno liquidato i palestinesi, con la gratitudine degli occidentali; anche se per ora dovranno mettere da parte il sogno della superpotenza”.
Quel sogno è tornato a ruggire, insieme ai suoi orrori, e Netanyahu e i suoi sostenitori più o meno occulti, in Israele e altrove, credono di poterlo realizzare usando del Golem americano. Sogno per essi, incubo per altri, sia nella regione che all’interno dello stesso Israele, dove le menti più lucide sanno che la materia dei sogni è evanescente quanto dura e a volte spietata può essere la realtà.
Fonte: lantidiplomatico.it