Fine spiegato semplice.
A Barcellona, in Spagna, migliaia di persone hanno manifestato contro il sovraffollamento di turisti in città e contro la crescente dipendenza dell’economia locale dal turismo di massa, in una città che conta 1,6 milioni di abitanti e 30 milioni di turisti annuali. La manifestazione è stata organizzata da oltre cento associazioni e guidata dall’Assemblea de Barris pel Decreixement Turístic (Assemblea dei quartieri per la decrescita turistica), che da anni chiede un ripensamento del modello turistico in favore di una maggiore attenzione alla sostenibilità. L’evento segue una lunga scia di proteste che si susseguono da settimane. I manifestanti, questa volta, hanno simbolicamente bloccato le uscite di hotel e locali affollati dai turisti con nastro adesivo e nastro rosso e bianco, fino all’intervento della polizia.
La manifestazione – partecipata da diverse associazioni, sia di coinquilini che collettivi studenteschi di sinistra – è partita dalla Rambla, viale di Barcellona che collega Plaça de Catalunya con il Port Vell, confluendo nei quartieri del centro e terminando il suo percorso sulla spiaggia della Barceloneta. All’insegna dello slogan “Basta! Mettiamo limiti al turismo”, i dimostranti si sono a più riprese fermati di fronte alle entrate degli alberghi e nei punti di ritrovo turistici più affollati, mostrando cartelli recanti scritte come “Barcellona non è in vendita” e “Turisti a casa”. Sebbene il corteo si sia svolto in maniera totalmente pacifica, sono emersi anche momenti di tensione, specie quando i manifestanti hanno spruzzato acqua contro i turisti seduti nei dehors dei punti di ristoro con pistole ad acqua. A scatenare la protesta è stata, in particolare, la riflessione sul vertiginoso incremento del costo degli alloggi in città, salito addirittura – come spiegato dal sindaco Jaume Collboni – del 68% nell’ultimo decennio e di circa il 18% soltanto nell’ultimo anno. I cittadini attribuiscono questo aumento dei prezzi proprio al turismo di massa, che ha ridisegnato l’economia cittadina e portato alla chiusura di molte botteghe tradizionali di Barcellona, che stanno progressivamente lasciando il campo a sempre più numerosi negozi di souvenir. I cittadini protestano, inoltre, per l’incessante passaggio degli autobus turistici ai danni dei bus di quartiere.
Barcellona vede arrivare ogni anno in città circa 30 milioni di turisti. Una situazione che, con il passare del tempo, risulta sempre più critica. Nei quartieri della città catalana, infatti, le licenze, facilmente accessibili per le attività commerciali, sono destinate a ristoranti finalizzati al turismo; gli orari di attività si dilatano, le cucine rimangono aperte tutto il giorno e fino a tarda notte e dove prima figuravano insegne di parrucchieri, macellai o calzolai, adesso campeggiano quelle dei noleggi di monopattini, elaborati tapas bar e ristoranti da brunch. Le misure di gestione turistica non sono riuscite a limitare un altro fenomeno che in egual misura ha influito sulla condizione dei quartieri storici, ovvero l’aumento degli expat e del nomadismo digitale. Persone con un potere d’acquisto elevato, che avendo la possibilità di vivere ovunque, grazie allo smartworking offerto da ingombranti aziende straniere, si stabiliscono, spesso per brevi periodi, in luoghi dove la qualità della vita è maggiore. Accedendo così a contratti d’affitto brevi, questa nuova comunità dà vita ad un processo che genera attività in linea con il consumismo globalizzato e che altera l’equilibrio cittadino.
A ogni modo, la cronaca ci racconta che le proteste di Barcellona non sono un caso isolato in Spagna. La scorsa settimana, per esempio, la città di Malaga ha vissuto una intensa giornata di mobilitazione con migliaia di persone che sono scese in strada per chiedere che siano intraprese misure per contrastare i danni del turismo di massa. In particolare, i cittadini hanno chiesto misure concrete per frenare il fenomeno degli affitti brevi e contrastare l’aumento dei prezzi degli affitti per i residenti sul mercato immobiliare, giunto a livelli considerati insostenibili. Poche settimane prima un’analoga mobilitazione aveva interessato le isole Canarie. Ad aprile, decine di migliaia di persone erano invece scese in piazza a Tenerife per protestare contro l’impatto del turismo di massa sull’ambiente e sull’economia locale. Il mese successivo era toccato a Palma di Maiorca, dove migliaia di persone hanno protestato contro l’overtourism al grido di “Maiorca non è in vendita!”.
[di Stefano Baudino]
Fonte: lindipendente.online