Fine spiegato semplice.
Di Alberto Conti per ComeDonChisciotte.org
La cultura ebraica ha voluto imporre alle coscienze del mondo occidentale il monopolio di un valore universale, quello della memoria storica, incentrandola esclusivamente sulla loro persecuzione operata dal nazifascismo.
Tale vittimismo annualmente rinverdito nel “giorno della memoria” è stato ampiamente sfruttato per trarne vantaggi ideologici e pseudoculturali, con tutti i riflessi pratici che ne conseguono, come ad es. la condanna universale di ogni posizione critica nei confronti delle politiche sioniste, bollando tali opinioni come forme di “antisemitismo”, ovvero la forma più bieca di razzismo nei confronti dei poveri ebrei che lo hanno ferocemente subito e patito nel XX secolo, e che ancora serpeggia minaccioso nello stesso occidente, sia pure sottotraccia. Insomma un crimine assoluto da perseguire preventivamente senza se e senza ma, ope legis.
Poi però negli anni dell’espansionismo territoriale dello Stato d’Israele i suoi vari governi, con la scusa di doversi difendere esistenzialmente dall’odio e dalle minacce di un vicinato ostile, hanno dimostrato nei fatti di far uso di metodi assimilabili a quelli dei loro persecutori nella II guerra mondiale, fino all’attuale intento genocida nei confronti della inerme popolazione palestinese che ancora occupa lembi di terra residui, ambiti dal progetto della “grande Israele”. E in tale circostanza la paura esistenziale della maggioranza degli ebrei, residenti e non in Israele, li ha spinti a giustificare l’operato criminale del governo Netanyahu, di fatto sostenendolo, contro il giudizio di condanna della maggioranza del resto del mondo, ribadito anche in sede ONU.
Questo è un danno irreparabile per lo Stato d’Israele e per l’immagine stessa di tutta la sua popolazione, per quanto esista anche una forte opposizione critica, interna allo stesso mondo ebraico, di quanto sta accadendo sotto gli occhi di tutti. L’attuale tragedia palestinese diventa così la premessa di una tragedia israeliana futura, in un contesto geopolitico in rapida evoluzione dopo un lungo e incontrastato dominio unipolare del dopo II guerra mondiale. Solo un profondo e radicale ravvedimento delle coscienze potrebbe forse contrastare questo processo di colpevolizzazione degli israeliani da parte del mondo intero. Solo riconoscendo le proprie colpe infatti si può sperare nel perdono, e questo non è solo l’insegnamemto cristiano, ma anche un dato oggettivo della natura umana. Chi ancora lo ignora e lo misconosce si autocondanna a rimanere intrappolato nelle logiche di un lontano passato che non è più compatibile con una moderna e civile convivenza tra i popoli, cioè con le fondamenta stesse di una base culturale condivisibile e condivisa nei fatti, all’altezza delle sfide storiche del XXI secolo.
Il caso israeliano è qui preso ad esempio e stereotipo estremizzato della necessità di una reale evoluzione coscienziale, che in varia misura urge un po’ in tutto l’occidente, in tutto l’ex-miliardo d’oro che ha prosperato per secoli sulla pelle degli altri popoli. Il sionismo in particolare ha indotto, fomentato e strumentalizzato il concetto stesso di colpa altrui, a copertura di ogni propria nefandezza da compiersi impunemente. E’ però giunta l’ora di una assunzione di responsabilità, nel momento in cui i ruoli si sono talvolta capovolti, e comunque mescolati al punto di non esimere più nessuno dal dover riconoscere anche le proprie colpe, prima di accusare gli altri seminando odio e discordie.
Si rende ora necessario inventare una nuova trovata, altrettanto potente del giorno della memoria, ma in senso opposto e complementare: il giorno della colpa e del ravvedimento, altrimenti non c’è scampo, la storia percorrerà la sua strada obbligata dagli eventi.
E’ sempre difficile e doloroso riconoscere le proprie colpe, ma è del tutto impossibile per chi rimane ancorato a concezioni razziste a giustificazione di privilegi altrimenti ingiustificabili. Il tempo storico per costoro sta per concludersi definitivamente, assieme ai limiti della cultura primitiva di cui sono portatori. L’unico modo per non farci trascinare nel baratro che li attende è di abbandonarli al loro destino suicidario, del quale sono comunque pienamente responsabili. Tuttavia per chiunque esiste sempre la libertà interiore di pensiero e di giudizio, e con essa la possibilità di salvezza che non abbandona alcuno, anche quando il necessario salto evolutivo sembra realisticamente loro precluso.
Celebrare la “giornata della colpa”, sponsorizzata dalla residua potenza finanziaria dell’elite ebraica, sarebbe un atto rivoluzionario e salvifico di portata epocale e universale, tanto radicale e necessario quanto, purtroppo, del tutto improbabile allo stato dell’arte, una pura utopia senza speranza. Eppure rappresenterebbe la conclusione logica di una stucchevole propaganda che del senso di colpa ha fatto il suo cavallo di battaglia, proiettandolo però sugli altri in modo strumentale al conseguimento dei propri scopi inconfessabili. Riconoscere le proprie colpe sarebbe una presa di coscienza della realtà, necessaria a quella stessa loro sopravvivenza, tanto invocata invano da una posizione di fatto predatoria, che andrebbe ripudiata da loro stessi proprio per ragioni di sopravvivenza.
Le colpe esistono, dal momento che esistono le responsabilità personali di scelte libere. Proprio per questo il giudizio morale spetta alle forze del bene, per sottrarlo alla strumentalizzazione dei prevaricatori di turno.
Ma senza un buon esame di realtà informato e consapevole questo principio salvifico non è praticabile ne difendibile, lasciando campo libero alle forze del male che se ne infischiano della indifendibilità dei loro comportamenti.
Le mani dei sionisti più fanatici ed estremisti, sporche di sangue di migliaia di bambini innocenti, sono lì a ricordarci che fanno anch’esse parte dell’umanità, ne rappresentano il lato oscuro del quale non possiamo liberarci estraniandoci, essendo parte possibile dell’essere umano. Ma possiamo riconoscerne moralmente la colpa, e condannarla senza appello, relegando questi atti concreti nel museo degli orrori del possibile, di ciò che è potenzialmente presente in ognuno di noi, esseri capaci di rappresentare i valori più elevati e sublimi come di compiere i crimini più efferati. E’ il prezzo della libertà, che va pagato solo elevando la coscienza al limite superiore delle sue capacità di comprensione del mondo, interno ed esterno a noi stessi. Il sacrificio dei palestinesi oggi si somma a infiniti altri nel presente e nel passato, ebrei compresi, e andrà per sempre ricordato e onorato pagandone positivamente il senso di colpa che implica per l’umanità intera, della quale siamo parte indivisibile.
L’attribuzione delle responsabilità e quindi anche delle colpe è sempre personale, il che induce all’eterno gioco furbastro dello scaricabarile. Ma non è così che si esorcizza il male, per allontanarlo dalla nostra personale coscienza “liberata”. Al contrario occorre farsene carico, pur odiando gli esseri umani che questo male interpretano senza pietà. Siamo fatti di un’unica pasta, e solo riconoscendolo possiamo evolverci verso il bene, come stiamo facendo faticosamente da migliaia di anni, senza mai riuscirci pienamente, ma vedendone sempre più chiaramente il percorso, la meta e la direzione a cui tendere per raggiungerla.
Che il sangue versato e il dolore delle vittime non sia vano, ovunque nel mondo. E l’unico modo di onorare tanta sofferenza è quello di elevare il nostro spirito e agire di conseguenza, per quanto è nelle nostre capacità, per dare senso e corpo al significato universale di pace e di bene.
Senza amare il nostro prossimo come noi stessi non si va da nessuna parte, ci si perde. Occorre quindi volerlo con tutto il cuore, anche se a volte sembra una missione impossibile e l’unica strada è l’abbandono degli irredimibili, dei posseduti dal demonio. O noi o loro, anche questa è una scelta obbligata, ne va del destino dell’umanità.
Di Alberto Conti per ComeDonChisciotte.org
03.07.2024
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Alberto Conti. Laureato in Fisica all’Università Statale di Milano, docente matematica e fisica, sviluppatore software gestionale, istruttore SAP, libero pensatore, collaboratore di Giulietto Chiesa, padre di famiglia, appassionato di filosofia, psicologia, economia politica, montagna, fotografia, fai da te creativo, sempre col gusto alla risoluzione dei problemi.
Fonte: comedonchisciotte.org