Fine spiegato semplice.
Venerdì 22 marzo è uscito l’ultimo rapporto dell’ISTAT dedicato alla rete idrica italiana, da cui emerge come nel 2022 l’acqua dispersa nelle reti comunali di distribuzione del Paese avrebbe soddisfatto le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno. I dati condivisi dall’Istituto Nazionale di Statistica vanno di pari passo con quelli che emergono dal lungo Libro Bianco Valore Acqua 2024, redatto da The European House – Ambrosetti (TEHA), in cui si analizza la questione dell’emergenza idrica in Italia che, tra situazioni di siccità alimentate dai cambiamenti climatici e gestione delle risorse, rileva non poche criticità. Secondo TEHA, che prende come riferimento l’anno precedente a quello delle analisi ISTAT, l’infrastruttura idrica italiana, “inefficiente ed obsoleta”, disperderebbe nella fase di distribuzione il 41% dell’acqua prelevata pari a 8308m3/km posizionando lo Stivale in fondo alla classifica europea per perdite idriche. È per tale motivo che quest’ultimo testo, così come il Libro Blu della Fondazione Utilitatis relativo al servizio idrico integrato, incentra le proprie analisi sulle sfide che il sistema idrico italiano dovrà affrontare in futuro, delineando diversi scenari dei suoi possibili sviluppi.
Il rapporto di ISTAT è uscito in occasione della giornata mondiale dell’acqua istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e celebrata ogni anno il 22 marzo. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica, nel 2022, il volume di acqua prelevata per uso potabile in Italia è stato pari a 9,14 miliardi di metri cubi, ossia 25 milioni al giorno, che corrisponderebbero a 424 litri per abitante; di questi solo 214 sono stati erogati. Con essi l’Italia risulta il terzo Paese dell’Unione Europea per prelievo di acqua potabile per abitante. L’approvvigionamento, che ha interessato non solo la popolazione, ma anche richieste pubbliche, piccole imprese, alberghi, servizi, attività commerciali, produttive, agricole e industriali collegati direttamente alla rete urbana, è stato reso possibile da oltre 37.000 fonti di approvvigionamento di acqua attivi, “mediamente 12 ogni 100 km2”. Nel 2022 si è confermato il leggero calo nel prelievo di acqua per uso potabile in corso dal 2018, che va in parallelo a un analogo aumento della dispersione delle risorse idriche, che, secondo l’ISTAT, è passato al 42,4%.
A quanto comunica l’ISTAT, nel 2021, il 21,8% della spesa per la protezione dell’ambiente è stato destinato ai servizi di gestione delle acque reflue, e la quantità di acqua trattata negli impianti di depurazione di tipo avanzato è stata pari a 4,7 miliardi di metri cubi. Proprio la gestione delle acque reflue potrebbe rivelarsi una importante “fonte di approvvigionamento di acqua ‘non convenzionale’ utile per integrare i volumi utilizzati per diverse finalità, escluso l’uso potabile”, come per esempio l’irrigazione dei campi. L’implementazione del sistema di depurazione delle acque reflue è uno dei punti centrali del Libro Blu, secondo cui si dovrebbe investire sull’impiego di tecnologie avanzate per migliorare il processo depurativo dell’acqua nell’ottica di una economia e una gestione della risorsa di tipo circolare. Esso stima una spesa complessiva di circa 5 miliardi di euro per l’implementazione degli attuali impianti mediante processi di eliminazione dell’azoto e del fosforo, e di una cifra che arriva a massimo 6 miliardi per migliorare i sistemi di eliminazione dei micro-inquinanti.
Il miglioramento della gestione delle acque reflue del Paese servirebbe anche a limitare gli sprechi e a rendere più efficiente il sistema idrico italiano. Cionondimeno a cambiare dovrebbe essere l’intero modello di sfruttamento e consumo della risorsa idrica, che in Italia risulta ancora strutturalmente poco sostenibile. A quanto emerge dal Libro Bianco, redatto dalla stessa fondazione del noto forum di Cernobbio, infatti, l’Italia è in cima alla classifica dei Paesi più idrovori d’Europa, tanto che coi suoi 249 litri pro capite al giorno – 159 litri in più della media UE-UK – figura al primo posto per consumo di acqua minerale in bottiglia, e al terzo posto per consumo domestico pro capite. A far risultare l’Italia ancora indietro nelle sue politiche di gestione dell’acqua, oltre agli sprechi nell’erogazione, contribuisce anche il ridotto numero di investimenti nel settore idrico, che coi suoi 59 euro pro capite appare ben al di sotto della media di 82 euro pro capite che si conta nell’area UE-UK. Altro elemento a far risaltare problemi è la maggiore esposizione e vulnerabilità ai rischi relativi al cambiamento climatico contro cui tuttavia l’Italia non può fare niente se non provare a investire in sistemi più innovativi, come fatto per esempio dalla Catalogna.
In generale l’Italia, tra problemi di natura geografica, limitati investimenti, e infrastrutture obsolete, è ancora lungi dal far fronte alla sempre più pressante crisi idrica che la investe. A dover cambiare secondo molti è la stessa cultura dell’acqua, cui ripensamento tuttavia necessita di venire accompagnato da interventi precisi e ben mirati, da avanzare prima di arrivare a una situazione irrimediabile.
[di Dario Lucisano]
Fonte: lindipendente.online