Fine spiegato semplice.
Il giudice monocratico del Tribunale del lavoro dell’Aquila, Giulio Cruciani, ha emesso lo scorso 13 settembre una fondamentale sentenza con cui dichiara illegittima la sospensione dal lavoro per la mancata vaccinazione Covid da parte dei lavori sottoposti all’obbligo, ovvero gli over 50. La sentenza è relativa al caso di un ultracinquantenne che si era rivolto al tribunale a seguito della sua sospensione dal lavoro e, oltre a dichiarare il fatto illegittimo, impone al datore di lavoro il pagamento dei mancati stipendi e di un risarcimento per il “danno biologico causato dallo stress al lavoratore”. Non si tratta della prima sentenza di questo tipo in Italia, sebbene in questo caso si entri maggiormente nel merito delle motivazioni, con il giudice che specifica che le caratteristiche stesse dei vaccini anti-Covid disponibili non rispettano “il fondamento per imporre l’obbligo vaccinale”, in quando non conferiscono “la garanzia della prevenzione dall’infezione”. Una sentenza emessa facendo anche riferimento alle pronunce della Corte costituzionale che aveva giudicato «non irragionevole» l’introduzione del “Green Pass” per accedere al luogo di lavoro.
«Solo ad una lettura superficiale (e comunque non costituzionalmente orientata) gli artt. 4, 4-bis e 4-ter, poi 4-quater e 4-quinquies dl. 44/21, per tutelare la salute pubblica, imporrebbero (per quanto qui rileva) l’obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 a certe categorie di lavoratori e ai lavoratori dai 50 anni in su», si legge nella sentenza. «In realtà così non è», prosegue il giudice, perché il fondamento per imporre l’obbligo vaccinale è la garanzia della prevenzione dall’infezione, cosa che i vaccini in questione non garantiscono affatto. Si legge, infatti, che «Tale fondamento non è presente nel caso in esame: i vaccinati, rebus sic stantibus, ossia con i farmaci oggi a disposizione della popolazione italiana, come i non vaccinati, si infettano ed infettano gli altri. Non vi è alcuna evidenza scientifica che abbia dimostrato che il vaccinato, con i prodotti attualmente in commercio, non si contagi e non contagi a sua volta». Di conseguenza, conclude Cruciani, «è evidente che venuto meno il presupposto per il quale alcuni lavoratori possono entrare nei luoghi di lavoro ed altri no, la sospensione del ricorrente, giustificata dal fatto che non si sia vaccinato, è del tutto priva di fondamento». Inoltre, «un eventuale atto amministrativo che imponesse una siffatta discriminazione, che per quanto detto non è prevista dalla norma primaria, sarebbe contra legem e andrebbe disapplicato».
Si tratta di una sentenza potenzialmente dirompente in quanto demolisce dalle fondamenta i presupposti su cui si era basata la politica per imporre la vaccinazione alla popolazione, confermando come le istituzioni abbiano violato la Costituzione e i diritti dei cittadini, imponendo di fatto farmaci ancora in fase di sperimentazione e autorizzati in via provvisoria. La sentenza, inoltre, tocca anche il punto della violazione del diritto al lavoro spiegando che «lo Stato italiano si fonda sul lavoro (art. 1 Cost.) e su questo si fonda non solo la dignità professionale ma anche la dignità personale dell’essere umano che vuole mantenersi con le proprie forze». Sarebbe stato quindi negato il diritto al lavoro in nome di un presupposto giuridico e scientifico fallace, violando così i diritti costituzionali.
Il giudice, inoltre, ha commentato anche la pronuncia della Corte di cassazione laddove ritiene “non irragionevole” l’introduzione del green pass per accedere ai luoghi di lavoro. Dopo aver chiarito che le sentenze della Consulta “non hanno alcun effetto vincolante, a livello interpretativo, per i giudici di merito”, dichiara che intende discostarsi dalla posizione della Consulta che, prestando fede a una dichiarazione dell’ISS, ritiene che la vaccinazione anti-COVID-19 costituisca “una misura di prevenzione fondamentale per contenere la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2”. Nella sentenza, invece, viene scritto nero su bianco che tale tesi «non solo è chiaramente smentita dalla realtà dei fatti conosciuta da tutti (realtà toccata con mano, senza necessità di particolari conoscenze mediche: ad un soggetto viene somministrato il vaccino e poco dopo gli viene diagnosticata l’infezione da SARS-CoV2) ma dalle stesse case produttrici dei vaccini». La responsabile della Pfizer, infatti, aveva dichiarato in un’audizione al Parlamento europeo che nessuno studio era stato condotto sulla capacità del vaccino di impedire il contagio non essendo quello il fine del prodotto in vendita quanto piuttosto quello di contrastare gli effetti dannosi dell’infezione.
Una sentenza – non l’unica – dalla portata così eclatante è stata quasi completamente ignorata dai media generalisti che sembrano piuttosto cercare di far passare in sordina sentenze e notizie che smascherano chiaramente l’impalcatura anticostituzionale messa in piedi durante il periodo pandemico. La conseguenza non è solo la mancanza di un dibattito pubblico e politico che metta in discussione l’operato delle istituzioni italiane, ma anche la mancata divulgazione di notizie che potrebbero evidentemente comportare un’ondata di richieste di accertamento di illegittimità da parte di tutti coloro che hanno subito, a questo punto ingiustamente anche secondo la magistratura, la sospensione dal lavoro.
[di Giorgia Audiello]
Fonte: lindipendente.online