Il Parlamento Europeo ha approvato una nuova riforma del patto di stabilità

Spiegato semplice

C’è stata una grande discussione tra i paesi europei su come gestire i soldi e i debiti dei paesi. Dopo due anni, hanno deciso di cambiare alcune regole per aiutare i paesi a spendere di più quando c’era il problema del coronavirus, ma ora vogliono che i paesi facciano più attenzione a come spendono e a ridurre i loro debiti. Alcuni paesi, come l’Italia, che hanno molti debiti, dovranno seguire piani molto stretti e non potranno decidere da soli su alcune cose riguardanti i loro soldi. Alcuni politici e gruppi non sono contenti perché pensano che queste nuove regole siano troppo severe e non aiutino i paesi a crescere e a spendere per cose importanti come la tecnologia e l’ambiente.

Fine spiegato semplice.

Dopo due anni di accesi negoziati tra i Paesi membri e tra Parlamento e Consiglio europeo, martedì 23 aprile è stata definitivamente approvata la riforma del Patto di Stabilità, sospeso nel 2020 per fare fronte all’emergenza pandemica e permettere agli Stati di intervenire maggiormente a sostegno dell’economia. Se da un lato, alcuni obiettivi della politica fiscale sono stati ammorbiditi rispetto alle regole del precedente Patto in vigore fino al 2020, dall’altro il controllo dellasui bilanci nazionali e sui programmi di riduzione del debito sarà ancora più stringente, soprattutto per quei Paesi – come l’Italia – che presentano un elevato debito pubblico. Le regole per la nuova impalcatura economica europea sono state approvate con 359 voti favorevoli, 166 contrari e 61 astensioni. Degna di nota è la posizione dei partiti politici italiani: solo tre eurodeputati, infatti, hanno votato a favore della riforma, mentre il Partito democratico e i partiti di centro-destra si sono astenuti e il Movimento 5 Stelle ha votato contro. Una decisione dovuta al fatto che le nuove regole costringeranno l’Italia ad applicare un’austerità sempre più rigida, oltre a privarla degli ultimi residui di sovranità fiscale, e in vista delle prossime elezioni europee, la sensazione è che nessun partito abbia voluto prendersi le responsabilità delle conseguenze della riforma appena varata.

La riforma è piuttosto controversa e se ha ottenuto il favore dei popolari, dei socialisti e dei liberali, ha incassato la bocciatura di Verdi, Sinistra radicale e destra nazionalista, in quanto “richiederà ai paesi di ridurre il loro debito rapidamente e in un modo che è economicamente e socialmente insostenibile”, hanno scritto i sindacati belgi, francesi, italiani e spagnoli in una lettera pubblicata prima del voto. Dopo la sospensione del Patto nel 2020, lo scorso aprile la Commissione Europea aveva presentato una proposta di riforma, poi discussa e modificata dal Consiglio dell’Unione Europea, che sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2024. Tuttavia, la sua applicazione è stata ulteriormente rimandata al 2025. Il via libera definitivo del Consiglio è atteso per lunedì prossimo. Da parte sua, il commissario agli affari economici Paolo Gentiloni ha definito il nuovo Patto un «buon compromesso» ponendo l’accento sul fatto che presterebbe «maggiore attenzione agli aspetti sociali».

Entrando nel merito, la nuova normativa fiscale lascia invariati i cosiddetti parametri di Maastricht che prevedono un debito pubblico non superiore al 60 per cento del Pil e un deficit di bilancio non superiore al 3 per cento. Una tra le principali novità riguarda, invece, l’eliminazione della regola secondo cui gli Stati con un debito superiore al 60 per cento dovrebbero ridurlo di un ventesimo ogni anno, regola che in realtà non è mai stata applicata per via della sua insostenibilità. Al suo posto, dal 2025 in avanti, gli Stati con un rapporto tra debito e PIL superiore al 90 per cento dovranno ridurlo di un punto percentuale all’anno per la durata del loro piano di spesa, e di mezzo punto se il rapporto è superiore al 60 per cento ma inferiore al 90 per cento. L’altra novità importante è che gli Stati con un debito particolarmente alto dovranno concordare un piano di riduzione del debito quadriennale o settennale con la Commissione che – di fatto – permetterà a quest’ultima di stabilire e imporre un percorso cogente di risparmio, entrando a gamba tesa nelle decisioni economiche nazionali e lasciando quindi scarsi o nulli margini di autonomia ai governi. Se da un lato, quindi, la nuova normativa potrebbe essere vantaggiosa per quei Paesi con uninferiore o di poco superiore al 90%, dall’altro potrebbe comportare un commissariamento per quelli, come l’Italia, che hanno un debito più elevato. Ciò comporta una più rigida applicazione dell’austerità e un ulteriore smantellamento dello Stato sociale proprio in un momento in cui l’economia europea è in crisi a causa delle congiunture internazionali e della scelta di Bruxelles di interrompere tutte le relazioni energetiche e commerciali con la Russia.

Il nuovo Patto di Stabilità rende più complicato sostenere gli ingenti investimenti richiesti nei settori del digitale, del clima e dell’energia a causa dei vincoli di spesa, tanto che, secondo il Sole 24 ore, la Commissione stima un buco pari a 450 miliardi di euro l’anno. L’idea allora è quella di trasformare la riforma in un incentivo per gli Stati membri per perseguire una più rapida integrazione dei mercati dei capitali e sfruttare così il risparmio privato. Un elemento sottolineato anche da Mario Draghi nella sua anticipazione alla “Relazione sul futuro della competitività europea” attesa dopo le elezioni europee di giugno, inerente al “cambiamento radicale” che dovrebbe intraprendere l’Ue.

L’obiettivo sembra quindi quello di limitare il più possibile l’intervento statale nell’economia per promuovere, invece, il ruolo dei privati secondo uno dei pilastri del modello economico liberista. Il nuovo Patto di Stabilità, oltre ad essere d’ostacolo per la ripresa economica del Vecchio continente che necessita di ingenti investimenti, comporterà la totale perdita di sovranità per quelle nazioni altamente indebitate che saranno sottoposte a un controllo stringente della Commissione. Si tratta, dunque, di una riforma in cui vi è ben poca traccia di quel “cambiamento radicale” dell’Europa auspicato a parole da Draghi, in quanto conferma integralmente le politiche e la struttura economica fatta di vincoli esterni in vigore nel periodo pre-Covid e pre-guerra in Ucraina. Una struttura che difficilmente potrà rilanciare l’Unione europea sullo scenario internazionale permettendole di competere con le potenze in rapida ascesa.

[di Giorgia Audiello]

Fonte: lindipendente.online

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