Fine spiegato semplice.
di Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico
Qualcosa si sta muovendo nella società ucraina, nonostante le sempre più dure repressioni cui è sottoposta ogni forma di opposizione.
Nei giorni scorsi vari media ucraini, su fonte del Servizio di sicurezza, hanno scritto dell’arresto di un autore di libri di storia – scritti, tra l’altro, prima dell’inizio delle ostilità – accusato di «falsificazione, a favore della Russia, di fatti storici relativi a formazione e sviluppo dello Stato ucraino», nonché di aver usufruito di «soldi di Mosca» per la pubblicazione delle sue opere. Ufficialmente, il nome dello storico non viene menzionato, ma vari media affermano trattarsi del medievalista di fama mondiale Aleksej Tolochko, membro dell’Accademia delle Scienze ucraina, figlio dell’ex direttore dell’Istituto di Archeologia Petro Tolochko. Smentite, non del tutto convincenti, sono arrivate sia dalla famiglia di Aleksej che dai Servizi, così come nessuna conferma o smentita era seguita alla notizia degli arresti domiciliari che sarebbero stati comminati a suo padre nel 2023. È un fatto, però, che lo scorso aprile i media ucraini avevano reagito alla morte di Petro Tolochko, considerato uno dei maggiori esperti dell’antica statualità russa, con materiali a dir poco ingiuriosi.
Come che sia, quasi in contemporanea con la notizia relativa a Aleksej Tolochko, i Servizi ucraini hanno annunciato il fermo di un prete di Khark’ov e di un ferroviere, che avrebbero passato ai russi informazioni su carichi militari, servendosi di emoticon in speciali chat, poi eliminate. Qualche tempo prima, ancora i Servizi hanno parlato dell’arresto di un cittadino ucraino di 36 anni che si sarebbe preparato a consegnare alla Russia dati sui depositi di carburante di Cernovtsy: informazioni che, del resto, sono alla portata di tutti su Jandeks o Google. L’uomo sarebbe stato così “geniale” da attirare l’attenzione su di sé bruciando in chat la bandiera ucraina.
Si prosegue. Nella regione di Žitomir è stata fermata una donna che, su “Odnoklassnik” (il feisbuc russo) invitava a pregare per Vladimir Putin. Un suo concittadino è stato dichiarato «agente russo» per un scontro con gli arruolatori del Distretto militare, e un tassista per aver parlato male delle autorità con alcuni clienti: tutti casi all’ordine del giorno, in tutta l’Ucraina.
Nella regione di Cernigov, un pensionato è stato condannato a cinque anni per like su post a sostegno della Russia; stessa condanna a una sessantaquattrenne in Transcarpazia per like su foto di Jurij Gagarin nel Giorno della Cosmonautica: l’accusa è stata «giustificazione dell’aggressione russa», «disinformazione» e «incitamento a sostenere l’aggressore». E così via.
Nel solo 2023 i tribunali ucraini hanno esaminato 1.921 casi di “Tradimento della patria” e 2.724 di “Collaborazionismo” e, a giudicare dalle tendenze delle ultime settimane, il loro numero aumenterà drasticamente quest’anno. E non si tratta solo di pensionati. I media ucraini pubblicano regolarmente notizie su fermi e arresti di persone che pubblicano online informazioni sulla distribuzione delle cartoline-precetto, o di cittadini che si scontrano con gli arruolatori, o incendiano veicoli delle forze armate: l’accusa nei loro confronti è di “alto tradimento”, passibile di 15 anni di galera. Solo nelle ultime settimane e solo nella regione di Khar’kov controllata da Kiev, sono stati dati alle fiamme quasi 40 veicoli delle forze armate e casi simili si sono ripetuti nelle regioni di Odessa, Sumy, Dnepropetrovsk, Nikolaev, ecc. Di recente, si è poi parlato del caso della città di Kovel’, in Volinia, con proteste di massa contro gli arruolamenti.
Nonostante si pubblichino sempre meno sondaggi sugli umori degli ucraini nei confronti del governo, a inizio anno alcuni media parlavano del crollo di consenso di Vladimir Zelenskij dal 42 al 22% rispetto a settembre 2023.
D’altronde, la situazione interna non fa che alimentare simili umori. Se al momento, grazie alla concomitanza di diversi fattori favorevoli, l’Ucraina può trascorrere un periodo senza che venga tolta l’energia elettrica, scrive Ivan Lizan su Ukraina.ru, per il prossimo futuro le prospettive non sono così serene. Secondo il direttore dei programmi energetici del “Centro Razumkov”, Vladimir Omel’cenko, nel migliore dei casi da novembre l’energia mancherà per 4 ore al giorno; per 8 ore in caso di freddo e a gennaio, al picco del gelo, potrebbe mancare anche 12 ore al giorno. E si osserva ormai da tempo che le interruzioni di energia influenzano l’assortimento dei prodotti nei negozi, a cominciare, naturalmente, dai prodotti deperibili e, dopo il loro ritiro da alcuni negozi, in altri si ritoccano i prezzi al rialzo. Per i prodotti lattiero-caseari, su base annua i rincari vanno dal 15 al 21% a seconda dei diversi alimenti.
C’è dell’altro. Secondo le cifre della Banca nazionale ucraina, nel 2024-’25 lasceranno il paese ancora 700.000 persone e si prevede che entro ottobre il mercato del lavoro raggiungerà il picco della crisi causata dalla carenza di manodopera, complice, ovviamente, la mobilitazione per la guerra; dal febbraio 2022, infatti, le aziende ucraine hanno perso tra il 10% e il 20% del personale.
Ma non finisce qui. Il Ministero della giustizia certifica che nella prima metà del 2024 sono nati 87.600 bambini: il 9% in meno rispetto allo stesso periodo del 2023; questo, a fronte di 250.900 decessi.
Ma non sono soltanto queste le ragioni per cui – statistiche addomesticate a parte: a seconda che la junta di Kiev intenda di tanto in tanto mostrare il grado di consenso “popolare” alla propria intermittente disponibilità verbale ad accordi con Mosca – il nazigolpista-capo si vede costretto suo malgrado ad accennare via via alla necessità di un cessate il fuoco. Le forti e continue perdite al fronte e la carenza di armi e munizionamento obbligano Kiev e i padrini occidentali a parlare di “tregua”, naturalmente alle proprie condizioni, per cercare di riprender fiato dai combattimenti.
C’è tutto questo; ma c’è anche altro. Tra gli oligarchi ucraini serpeggia sempre più il malcontento per il conflitto e, in particolare, ciò riguarda i combattimenti attorno a centri e snodi viari vitali per le industrie del principale oligarca d’Ucraina: Rinat Akhmetov, colui che dieci anni fa era presentato più o meno come “fiancheggiatore” delle milizie popolari di L-DNR. È il caso, ad esempio, della città di Krasnoarmejsk (Pokrovsk) snodo ferroviario nella parte settentrionale della regione di Donetsk e su cui vanno ora concentrandosi i combattimenti più intensi.
Come osserva Mikhail Pavliv su Ukraina.ru, la perdita di Pokrovsk da parte delle forze ucraine, significherebbe per esse la fine dei rifornimenti per altri centri quali Kurakhovo o Ugledar, ma anche Konstantinovka e Dzeržinsk (Toretsk). Ma, anche dal punto di vista economico, Pokrovsk si presenta per Kiev come un vero e proprio tallone d’Achille.
Bisogna ricordare che, sin da metà anni ’90, l’orientamento all’export ha costituito per l’Ucraina una tendenza stabile. Dopo il crollo del complesso militare-industriale d’epoca sovietica e il collasso dei mercati dell’ex URSS, le esportazioni di prodotti metallurgici, chimici, cereali, semi oleosi e derivati sono diventate la bacchetta magica di salvataggio dell’economia ucraina, con un posto speciale riservato a lungo proprio alla metallurgia, pure se oggi in calo di posizioni a vantaggio dell’export di prodotti agricoli e minerali ferrosi. Nello specifico, uno dei componenti della tecnologia di produzione dei metalli è il coke metallurgico, a partire dal carbone coke, di cui si avverte da anni un forte deficit, divenuto critico dopo la perdita dell’accesso al carbone di L-DNR. Per dire: fino a febbraio 2022, la metallurgia ucraina consumava in media fino a 30 milioni di tonnellate di carbone coke all’anno, di cui una parte significativa proveniente dalla Russia. Dopo il febbraio 2022, sono praticamente cessate le forniture dalla Russia, mentre è crollata del 70% la produzione metallurgica ucraina. Anche con la ripresa del 2023, tuttora la metallurgia ucraina consuma circa 1/3 delle precedenti 30 milioni di t. di carbone coke all’anno.
Questo excursus per tornare a Pokrovsk, dove ha sede “Metinvest Pokrovskugol”, di proprietà di Rinat Akhmetov e ultima impresa carbonifera in territorio controllato da Kiev, composta dalla centrale carbonifera di Pokrovsk (miniera Krasnoarmejskaja Zapadnaja No.1) e dall’impianto di raffinamento di Svjato-Varvarinskaja, che copre dal 30 al 40% della domanda di carbone coke della metallurgia ucraina. L’unica alternativa alla perdita dell’area, sarebbe il carbone importato da Australia e USA; ma, a parte costi e tempi, grossi limiti sono dati dalle ridotte capacità dei porti e degli snodi ferroviari di Odessa.
La perdita militare di Pokrovsk costituirebbe dunque una sentenza di (quasi) morte per la metallurgia ucraina e per tutte le industrie collegate, oltre a un calo significativo delle esportazioni e delle entrate in valuta estera: si calcola un potenziale calo del 10% del PIL e una perdita di almeno il 10% delle esportazioni.
A risentirne di più sarebbe proprio la “Metinvest Pokrovskugol” di Rinat Akhmetov, che al passivo conta già la perdita di “Azovstal” e “Il’icha” e, prima ancora, degli impianti di Enakievo e Makeevka, oltre a diverse grandi aziende carbonifere in Donbass. La perdita degli impianti di Pokrovsk sarebbe per Akhmetov la “morte di Sansone” e non sorprende dunque che egli abbia posto un netto ultimatum a Zelenskij: o la junta va a colloqui di pace, oppure lui, Akhmetov, ricomincerà a sostenere l’opposizione, in Ucraina e in Occidente. A chi risponderà dunque a questo punto la junta golpista di Kiev?
Come sussurrò fra sé Marc’Antonio dopo l’orazione funebre attorno al corpo di Cesare: «E ora, che la cosa vada avanti da sé. Malanno, tu sei scatenato, prendi il corso che vuoi».
Fonte: lantidiplomatico.it