Fine spiegato semplice.
Chris Hedges
chrishedges.substack.com
Sono circa 4.000 i reporter stranieri accreditati in Israele per documentare la guerra. Alloggiano in alberghi di lusso. Partecipano alle farse orchestrate dall’esercito israeliano. In rare occasioni, possono essere scortati da soldati israeliani in visite lampo a Gaza, qui vengono loro mostrati presunti depositi di armi o tunnel che, secondo i militari, erano utilizzati da Hamas. Partecipano doverosamente alle conferenze stampa quotidiane. Ricevono briefing ufficiosi da alti funzionari israeliani che forniscono loro informazioni che spesso si rivelano false. Sono i propagandisti di Israele, inconsapevoli e a volte anche consapevoli, stenografi per gli architetti dell’apartheid e del genocidio, guerrieri da camera d’albergo. Bertolt Brecht li aveva acidamente definiti i portavoce dei portavoce.
E quanti sono i reporter stranieri a Gaza? Nemmeno uno.
I reporter palestinesi di Gaza, quelli che riempiono il vuoto spesso pagano con la vita. Vengono presi di mira, insieme alle loro famiglie, per essere assassinati. Secondo il Committee to Protect Journalists, a Gaza, in Cisgiordania e in Libano almeno 128 giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi e 69 sono stati imprigionati, segnando il periodo più letale per i giornalisti da quando l’organizzazione aveva iniziato a raccogliere dati nel 1992.
Venerdì, nel sud del Libano, Israele ha bombardato un edificio che ospitava sette organizzazioni giornalistiche, uccidendo tre corrispondenti di Al Mayadeen e Al Manar e ferendo altre 15 persone. Dal 7 ottobre, in Libano Israele ha ucciso 11 giornalisti.
Un cameraman di Al Jazeera, Fadi al-Wahidi, colpito al collo nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, da un cecchino israeliano all’inizio del mese, è in coma. Israele gli ha negato il permesso di ricevere cure mediche al di fuori di Gaza. Come la maggior parte dei giornalisti presi di mira, tra cui Shireen Abu Akleh, la collega uccisa, indossava un elmetto e un giubbotto antiproiettile che lo identificavano come giornalista.
L’esercito israeliano ha bollato come “terroristi” sei giornalisti palestinesi di Gaza che lavorano per Al Jazeera.”
“Questi sei palestinesi sono tra gli ultimi giornalisti sopravvissuti all’assalto di Israele a Gaza“, ha dichiarato Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori palestinesi occupati. “Dichiararli ‘terroristi’ suona come una condanna a morte“.
La portata e la ferocia dell’assalto israeliano ai media non ha nulla a che spartire con quanto avevo visto durante i miei due decenni come corrispondente di guerra, anche a Sarajevo, dove i cecchini serbi prendevano regolarmente di mira i giornalisti. Ventitré giornalisti erano stati uccisi in Croazia e Bosnia-Erzegovina durante le guerre jugoslave tra il 1991 e il 1995. Ventidue erano stati uccisi quando avevo documentato la guerra in El Salvador. Sessantotto giornalisti erano rimasti uccisi nella Seconda Guerra Mondiale e 63 in Vietnam. Ma, a differenza di Gaza, della Bosnia e di El Salvador, i giornalisti di solito non venivano presi di mira.
L’assalto di Israele alla libertà di stampa è diverso da tutto quello che abbiamo vissuto da quando William Howard Russell, il padrino del moderno reportage di guerra, ci inviava dispacci dalla guerra di Crimea. Il suo attacco contro i giornalisti fa parte di una categoria a sé stante.
Il rappresentante James P. McGovern e 64 membri della Camera hanno inviato una lettera al Presidente Joseph Biden e al Segretario di Stato Antony Blinken, chiedendo che gli Stati Uniti facciano pressione affinché Israele consenta l’accesso senza ostacoli ai giornalisti statunitensi e internazionali. A luglio, oltre 70 organizzazioni dei media e della società civile avevano firmato una lettera aperta in cui si chiedeva a Israele di consentire l’ingresso a Gaza ai giornalisti stranieri.
Israele è stato irremovibile. Il divieto di accesso a Gaza per i giornalisti internazionali rimane in vigore. Il suo genocidio va avanti. Ogni giorno centinaia di civili palestinesi vengono uccisi e feriti. Nel mese di ottobre, Israele ha ucciso almeno 770 palestinesi nel nord di Gaza. Israele diffonde le sue bugie e le sue falsificazioni, da Hamas che usa i palestinesi come scudi umani, agli stupri generalizzati fino ai bambini decapitati, a una stampa addomesticata che le amplifica servilmente. Quando le menzogne vengono smascherate, spesso settimane o mesi dopo, il ciclo mediatico si è spostato e pochi se ne accorgono.
La censura e l’assassinio dei giornalisti da parte di Israele avranno conseguenze nefaste. Erodono ulteriormente le poche protezioni di cui godevamo un tempo come corrispondenti di guerra. Inviano un messaggio inequivocabile a qualsiasi governo, despota o dittatore che cerchi di mascherare i propri crimini. Preannunciano, come il genocidio stesso, un nuovo ordine mondiale, dove l’omicidio di massa è normalizzato, la censura totalitaria è permessa e i giornalisti che cercano di rivelare la verità hanno aspettative di vita molto brevi.
Israele, con il pieno sostegno del governo statunitense, sta sventrando gli ultimi brandelli della libertà di stampa.
Chi fa la guerra, qualsiasi guerra, cerca di plasmare l’opinione pubblica. Corteggia i giornalisti che si possono addomesticare, quelli che si prostrano davanti ai generali e che, anche se non lo ammettono apertamente, cercano di stare il più lontano possibile dai combattimenti. Questi sono i giornalisti “buoni”. A loro piace “giocare” a fare i soldati. Contribuiscono entusiasticamente alla diffusione della propaganda sotto forma di reportage. Vogliono fare la loro parte per lo sforzo bellico, essere parte del club. Purtroppo, nelle guerre che ho seguito, costituiscono la maggioranza dei media.
Tutti i giornalisti della CNN che riferiscono su Israele e Palestina prima della pubblicazione devono sottoporre il loro lavoro alla revisione dell’ufficio di Gerusalemme del network, ufficio che è tenuto a rispettare le regole stabilite dai censori militari israeliani.
Questi corrispondenti addomesticati e le loro organizzazioni giornalistiche sono, come ha sottolineato Robert Fisk, “prigionieri del linguaggio del potere”. Essi ripetono doverosamente a pappagallo il lessico ufficiale: “terroristi”, “processo di pace”, “soluzione dei due Stati” e “diritto di Israele a difendersi”.
Il New York Times, scrive The Intercept, “ha dato istruzioni ai giornalisti che coprono la guerra di Israele contro la Striscia di Gaza di limitare l’uso dei termini ‘genocidio’ e ‘pulizia etnica’ e di ‘evitare’ di usare l’espressione ‘territorio occupato’ quando si descrive la terra palestinese, secondo una copia di una nota interna ottenuta da The Intercept“.
La nota istruisce inoltre i giornalisti a non usare la parola Palestina “tranne in casi molto rari” e a stare alla larga dal termine “campi profughi” per descrivere le aree di Gaza storicamente abitate da palestinesi sfollati ed espulsi da altre parti della Palestina durante le precedenti guerre arabo-israeliane”, osserva The Intercept. “Le aree sono riconosciute dalle Nazioni Unite come campi profughi e ospitano centinaia di migliaia di rifugiati registrati“.
“Non c’è battaglia tra il potere e i media“, ha osservato Fisk. “Attraverso il linguaggio, siamo diventati come loro“.
Il generale in pensione David Petraeus, uno degli autori del Manuale di controinsurrezione statunitense del 2006 utilizzato dalle forze statunitensi e della NATO in Afghanistan, sostiene che persuadere l’opinione pubblica che si sta vincendo – anche se, come in Afghanistan, si è intrappolati in un pantano – è più importante della superiorità militare. I media nazionali sono fondamentali per perpetrare questo inganno.
Poi ci sono i veri giornalisti. Fanno luce sui meccanismi del potere. Dicono la verità, perché, come aveva detto il poeta Seamus Heaney, “La verità esiste e può essere raccontata“. Rendono pubbliche la crudeltà, la mendacità e la criminalità dei potenti. Smascherano la collaborazione dei media addomesticati.
Per i potenti, per i guerrafondai e per i media addomesticati, questi veri giornalisti sono il nemico. Questo è il motivo per cui Julian Assange è stato braccato e perseguitato senza pietà per 14 anni. WikiLeaks ha pubblicato un documento di 2.000 pagine del Ministero della Difesa in cui i funzionari del governo britannico equiparavano i giornalisti investigativi ai terroristi. Tutto questo astio non è nuovo. Ciò che è nuovo è la portata dell’assalto di Israele al giornalismo.
Israele non ha sconfitto Hamas. Non ha sconfitto Hezbollah. Non sconfiggerà l’Iran. Ma deve convincere il proprio pubblico e il resto del mondo che sta vincendo. La censura e la messa a tacere dei giornalisti che denunciano i crimini di guerra di Israele e le sofferenze che Israele infligge ai civili sono una priorità per Israele.
Sarebbe rassicurante definire Israele un’eccezione, una nazione che non condivide i nostri valori, una nazione che sosteniamo nonostante le sue atrocità. Ma, naturalmente, Israele è un’estensione di noi stessi.
Come aveva detto il drammaturgo Harold Pinter:
“La politica estera degli Stati Uniti potrebbe essere meglio definita come segue: o mi baci il culo o ti spacco la testa. È così semplice e crudo. L’aspetto interessante è che ha un successo incredibile. Possiede le strutture della disinformazione, dell’uso della retorica, della distorsione del linguaggio, che sono molto persuasive, ma che, in realtà, sono un insieme di bugie. È una propaganda di grande successo. Hanno i soldi, hanno la tecnologia, hanno tutti i mezzi per farla franca, e ci riescono”.
Nell’accettare il premio Nobel per la letteratura, Pinter aveva detto: “I crimini degli Stati Uniti sono sempre stati sistematici, costanti, feroci, senza rimorsi, ma pochissime persone ne hanno parlato. Bisogna riconoscerlo all’America. In tutto il mondo ha esercitato una manipolazione del potere che definirei clinica, mascherandosi da forza per il bene universale. È un brillante atto di ipnosi, persino spiritoso e di grande successo“.
L’ostacolo più importante all’ipnosi di massa di Israele sono i giornalisti palestinesi di Gaza. Ecco perché il tasso di uccisioni è così alto. È per questo che i funzionari statunitensi non dicono nulla. Anche loro odiano i veri giornalisti. Anche loro chiedono ai giornalisti di addomesticarsi e correre come topi da un evento stampa coreografato all’altro.
Il governo degli Stati Uniti non dice e non fa nulla per proteggere la stampa perché appoggia la campagna di Israele contro i media, così come appoggia il genocidio di Israele a Gaza.
I giornalisti, insieme ai palestinesi, devono essere estinti.
Chris Hedges
Fonte: chrishedges.substack.com
Link: https://chrishedges.substack.com/p/israels-war-on-journalism
25.10.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per 15 anni per il New York Times, periodo in cui è stato capo ufficio per il Medio Oriente e capo ufficio per i Balcani. In precedenza aveva lavorato all’estero per il Dallas Morning News, il Christian Science Monitor e la NPR. È il conduttore del programma “The Chris Hedges Report.”
Fonte: comedonchisciotte.org