Fine spiegato semplice.
di Alberto Bradanini – La Fionda
(21 settembre 2023)
Caitlin Johnstone, analista australiana[1] combattente per la giustizia e la verità in un mondo malato[2], rileva l’attenzione con la quale i media di regime hanno celebrato la grande sensibilità mostrata dal 44.mo presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, nel riportare[3] sul suo account Twitter l’elenco delle organizzazioni disponibili a soccorrere le vittime delle inondazioni che nei giorni scorsi hanno devastato la Libia, lasciando sul terreno migliaia di morti, macerie e devastazioni.
Quello di Obama viene celebrato come un gesto dettato da nobiltà d’animo, degno di una personalità che conferma in tal modo di aver ben meritato il premio Nobel per la Pace conferitogli nel 2009: a qualcuno potrà apparire inconcepibile, ma l’ex presidente ha davvero ricevuto il Nobel per la Pace, per ragioni tuttora misteriose.
Certo, alcuni potrebbero rammentare ai distratti lettori di quel catalogo che il meritato plauso (!) per un gesto di tale elevatezza morale (diffondere un elenco richiede, come noto, grande coraggio civile!) diverrebbe meno meritato se si considerasse che tale cruciale informazione di soccorso emana dalla medesima persona che ha avuto un ruolo determinante nella distruzione della nazione in questione.
Fino al 2010 la Libia, un paese guarda caso ricco di petrolio, occupava la prima posizione tra tutte le nazioni africane nella classifica dell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite[4]. Le sue infrastrutture civili (incluse quelle contro le inondazioni) erano di prim’ordine. Dopo l’intervento umanitario dell’Occidente a suon di bombe umanitarie il paese arretra di mezzo secolo, le sue condizioni sociali e infrastrutturali precipitano, la persona umana viene brutalizzata e l’efferatezza dei crimini, tra cui la schiavitù sessuale femminile, raggiunge limiti estremi.
Ma cosa sarà mai accaduto in quel martoriato paese dal 2011 ad oggi per essersi trasformato da modello di sviluppo umano (pur con i suoi limiti, dal momento che il governo Gheddafi non era per tutti un paradiso) in una terra lacerata, aggredita da violenze e degrado?
La risposta è banale ed è evidenza quotidiana dei suoi abitanti, eppure nel Regno della Libertà dell’Informazione solo di nascosto e in punta di piedi qualcuno osa accennare a quegli eventi. La guerra fu condotta dall’Occidente (francesi, britannici, italiani e altri, tutti in riga davanti ai generali americani) e ha raggiunto il suo scopo. Il paese doveva essere gettato nel caos, invaso da estremismi, fondamentalismi, instabilità e conflitti endemici, in buona sostanza destrutturato e degradato a perpetuità. Dividere amici e nemici è l’impronta ideologica di ogni impero, nulla di nuovo, dunque. In Medio Oriente, poi, tutto ciò fa salire il prezzo del petrolio e il corso del dollaro, moltiplica i conflitti, riempie le tasche già piene dei venditori di morte, frantuma i paesi e irrobustisce l’egemonia della sola nazione indispensabile al mondo (nel lessico patologico di W. Clinton, 1999). Le vittime si contano a migliaia e migliaia in Libia, Iraq, Siria, Yemen, Afghanistan e via dicendo, ma esse vengono derubricate a danni minori. La propagazione dei valori dell’Occidente – moderna riedizione del fardello dell’uomo bianco! – ha i suoi costi!
Oggi sappiamo che i paesi Nato-Usa si erano alleati a jihadisti assassini e tagliagole (Isis, al-Qaeda et similia). L’eliminazione di Gheddafi – il quale era da anni, per diverse ragioni, nel mirino delle democrazie rispettose del diritto e della civiltà giuridica moderna! – era divenuta urgente alla luce di un suo progetto folle e destabilizzante: l’istituzione di una moneta alternativa al petrodollaro d’intesa con altri paesi africani. La narrativa del momento fu tragicamente esilarante: il Regno del Bene era costretto a intervenire perché una feroce dittatura andava quanto prima trasformata in un paese democratico, da accogliere nel novero delle nazioni civili, quelle situate da questa parte del pianeta, beninteso. Gli appetiti imperiali e gli interessi delle oil corporations anglo-francesi, invece, non avevano nulla a che vedere con l’operazione. Il perseguimento di quell’obiettivo, poi, giustificava qualche sbavatura nella scelta degli alleati, terroristi, jihadisti e spietati assassini, che difatti, strada facendo, furono incaricati dell’esecuzione materiale del leader libico (torturato, prima di morire, con una baionetta nell’ano[5]).
La propaganda atlantista aveva prospettato l’intervento in Libia come una necessità morale della Comunità Internazionale (il solito Occidente), per tutelare i diritti umani di una popolazione che rischiava il massacro da parte degli sgherri di Gheddafi. Ecco come il terrorismo dell’indignazione, sbattuto in prima pagina dalla mistificazione mediatica, giustifica una guerra umanitaria[6] pianificata à la carte. La distorsione ermeneutica della no flying zone decretata dalla risoluzione[7] del CdS delle N.U. serve per destrutturare un paese ostile e destituirne il presidente a fini estrattivi (il petrolio) ed espansionisti imperiali.
A dispetto di uno scenario di tale evidenza, i paesi aggressori (e relativi organi di servizio, politici e media) si chiudono nel silenzio. Nel 2016, sorprendentemente, la Commissione Esteri dei Comuni[8] (Regno Unito) riconosce che la giustificazione a suo tempo addotta per l’intervento britannico non era sostenuta da alcuna evidenza[9], che il governo non disponeva di alcuna analisi sulla natura delle rivolte “, che “l’intervento era stato deciso sulla base di presupposti falsi e in totale assenza di prove”, confermando le conclusioni di Amnesty International e delle Nazioni Unite. Ma la condanna postuma e astratta ha solo valore accademico, un costume cui siamo assuefatti.
In analogia alla violazione del diritto e alle atrocità commesse alcuni anni prima in Iraq dai paesi invasori guidati dagli Usa – misfatti per i quali nessuno è mai stato incriminato e tantomeno punito – anche in Libia l’inganno è fabbricato a tavolino, con premeditazione in termini di diritto penale e anche qui non s’ha notizia di qualche responsabile condotto alla sbarra. Le dolorose conseguenze di quei bombardamenti etici continuano però a produrre lacerazioni e sofferenze nella vita dei fortunati sopravvissuti.
Un coraggioso giornalista americano, Branko Marcetic, in un articolo pubblicato su Responsible Statecraft[10] riguardante i recenti sviluppi politici in Niger, riporta il commento della giunta che ha cacciato il precedente governo, secondo cui il colpo di stato si è reso necessario per il grave deterioramento della sicurezza, dell’economia e del contesto umanitario del paese, la cui genesi deve collocarsi nel conflitto della Nato in Libia“.
Secondo Sidney Blumenthal, all’epoca consigliere (e fedele amico) del Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, a sua volta ascoltata suggeritrice delle pacifiche politiche di Obama[11], il modello di golpe[12] utilizzato contro Gheddafi (sostegno politico-militare occidentale e ribellioni orchestrate) doveva diventare il benchmark operativo per rovesciare i regimi ostili. In quell’occasione – ricorda Marcetic – Blumenthal aggiunge che la rimozione di Gheddafi aveva l’obiettivo collaterale di rendere più agevole quella di Bashar al-Assad, se nel 2015 la Russia non fosse intervenuta a impedirlo.
Afghanistan e Iraq sono stati i paesi su cui si è concentrato il militarismo di G.W. Bush figlio. Le cure di Barak Obama si sono invece rivolte a Libia e Siria. Le modalità d’intervento sono state diverse, i risultati analoghi: destabilizzazione, degrado, violenze e morti.
Se tutto ciò è oggi noto anche alle pietre, la Macchina della Propaganda non si rassegna. Il Washington Post afferma ad esempio che tutti sarebbero colpevoli dell’attuale degrado della Libia. Una sua penna autorevole, Ishaan Tharoor, incolpa finanche l’attuale dirigenza politica libica di non saper proteggere il proprio popolo dalle catastrofi naturali e dalle fazioni militari in lotta per il potere. Ma che bella scoperta! Curiosamente, il signor Tharoor non si chiede da dove mai siano saltate fuori questa incapacità e quelle fazioni in lotta per il potere.
Un altro articolo del medesimo giornale, dal titolo “Come un decennio di conflitto e divisione ha portato la Libia sul bordo del baratro “, si limita a osservare con qualche ombra d’amarezza che il brutale dittatore Gheddafi ha meritato di essere fatto fuori dai ribelli durante la primavera araba, aggiungendo sibillinamente che “tale primavera era sostenuta dalla Nato” (se il giornale avesse riportato anche la norma internazionale che ha giustificato l’intervento a sostegno di tale stagione di progresso, avrebbe aperto un fondamentale percorso esegetico, ma nulla, anche questa occasione è andata perduta!). Sulle responsabilità di Obama e degli altri politici della Nato, ça va sans dire, il giornale sorvola con impudente disinvoltura. È di un’evidenza imbarazzante che il silenzio critico su un ex presidente degli Stati Uniti che si offre all’ammirazione pubblica quale difensore di beni pubblici e della vita umana di una nazione che ha personalmente contribuito a distruggere, costituisce una pungente conferma del decadimento etico della civiltà occidentale (quella a guida Usa!).
[1] È possibile abbonarsi gratuitamente sul sito https://www.caitlinjohnst.one/
[2] https://soundcloud.com/going_rogue/barack-obama-belongs-in-a
[3] “Se stai cercando di aiutare le persone colpite dalle inondazioni in Libia, consulta l’elenco di tali organizzazioni che forniscono soccorso”, ha twittato Obama.
[4] https://commons.wikimedia.org/wiki/File:UN_Human_Development_Report_2010_1.PNG
[5] https://www.ibtimes.co.uk/gaddafi-killed-bayonet-stab-anus-libya-395224
[6] https://foreignpolicy.com/2016/03/22/libya-and-the-myth-of-humanitarian-intervention/
[7] https://press.un.org/en/2011/sc10200.doc.htm
[8] https://publications.parliament.uk/pa/cm201617/cmselect/cmfaff/119/119.pdf
[9] https://declassifieduk.org/nato-knew-terrorists-would-gain-from-toppling-gaddafi/
[10] https://responsiblestatecraft.org/africa-niger-coup/
[11] https://inthesetimes.com/article/hillary-clinton-emails-anne-marie-slaughter-sidney-blumenthal
[12] https://www.nytimes.com/2016/02/28/us/politics/hillary-clinton-libya.html
Fonte: lantidiplomatico.it