Virtualizzazione, de-responsabilizzazione, attivisti da like… la dittatura della pigrizia è servita!


Cosa ha generato i mali del nostro tempo e perché ne siamo tutti un po' (comodamente) responsabili.


La virtualizzazione globale, che è alla base della de-responsabilizzazione delle società, è forse il male-archetipo, la causa principale di tutto quello che stiamo vivendo oggi.

Tenere l’umanità intera sotto scacco per due anni (lo siamo tutti: chi più, noi italiani, chi meno, il resto del mondo), qualunque ne possa essere il motivo (una malattia che rappresenti un reale e concreto pericolo di estinzione, o un’ondata di ipocondria e di allarmismo esagerati), è una cosa troppo grossa perché possa nascere dal nulla, di colpo, ex abrupto, per dirla alla latina (che fa sempre fico).

Per potersi instaurare nel modo in cui si sta instaurando (e, ahimè, di questo passo, presto dovremo passare dal gerundio al participio passato), una tale “dittatura ecumenica” ha bisogno di molti presupposti, senza i quali gli anticorpi della società post-bellica avrebbero dovuto attivarsi prontamente. Se non lo hanno fatto, questa volta, è perché quegli anticorpi, ormai, si sono totalmente dissolti, volatilizzati, non esistono più.

È stato un procedimento lungo e lento, durato circa 40 anni, ma costante e inesorabile, e ha avuto come fulcro la virtualizzazione di massa, che ha innescato un’infinità di fenomeni.

Vi ricordate cosa succedeva negli anni ’70, negli anni ’80, quando qualcosa non funzionava?

Si chiamava un tecnico, si andava a un negozio, si parlava con qualcuno, si aggiustava, si riparava, si correggeva. Via via è sparito tutto. Sono spariti i tecnici, sono sparite le sostituzioni, sono spariti i negozi, è sparito, prima di tutto, il “contatto fisico” e, di pari passo, si è passati dal riparare al ricomprare (è giusto così, è fisiologico così, in una società che vive solo grazie al consumismo). Sulla questione del consumismo si potrà tornare: è uno dei fattori in campo, ma non il principale in questo caso. Quello che interessa maggiormente il fenomeno che stiamo vivendo, è invece l’aspetto della virtualizzazione.

La virtualizzazione ha portato dapprima alla sparizione degli “sportelli”, dove andare fisicamente e dove trovare qualcuno con cui parlare fisicamente.

Dapprima è diventato tutto telefonico. Poi anche gli impiegati telefonici si sono ridotti di numero fin quasi a sparire, sostituiti da un’infinità di menu (se le serve questo, digiti 1, se le serve quest’altro, digiti 2), da cui solo con un’infinita dose di fortuna si può sperare di uscire, o di arrivare ad ascoltare un inutile messaggio automatico che dà istruzioni inutili e inapplicabili su questioni che sono solamente simili alla lontana al problema che abbiamo e che nessuno ci può risolvere. Quando, per fortuna e dopo una serie di tasti premuti impossibile da ricordare e da ripetere, si riesce ad arrivare all’operatore, dopo 10 minuti di attesa generalmente cade la linea.

Per un attimo, Internet ci ha aiutato con l’istituzione delle chat. Poi anche lì le persone che digitavano sono state sostituite da dei robottini che sono ancora peggio dei menu del telefono, perché non riescono mai a capire la domanda che gli fai e quindi non rispondono mai nel merito.

Scrivi una email (in genere è l’unico canale che rimane percorribile), ma anche lì non hai grande successo. L’ultima della serie mi è capitata con l’assicurazione medica da dipendente. Ho scritto (dopo un’infinità di tentativi tra telefono e chat) dicendo: “Dal documento <<condizioni denti>> non è chiaro se l’intervento sia rimborsabile o no”. E la risposta, dopo una settimana, è stata: “Sul documento <<condizioni denti>> sono indicate tutte le informazioni”. Loop! E non ne esci, non puoi uscirne perché non hai nessuno a cui rivolgerti.

La virtualizzazione estrema ha – di fatto – reso impossibile arrivare mai a parlare con qualcuno che possa risolvere il problema e, più in generale – ecco il vero centro della questione – con qualcuno “che sia responsabile”.

Ormai, grazie alla virtualizzazione, che ha dato “il La”, è impossibile avere un contatto con qualcuno “che sia responsabile”. E questo si verifica a qualsiasi livello. E il passo più grave, il passo determinante, è che questa impossibilità ha raggiunto, molto presto, la cosiddetta “pubblica amministrazione”, in tutte le sue forme, essenzialmente nel rapporto Stato-cittadino, che ormai si svolge a senso unico: lo Stato dice e il cittadino non può dire. Quando è lo Stato a parlare il cittadino deve ascoltare. Quando a parlare è il cittadino lo Stato non c’è, si volatilizza, si nebulizza, diventa impalpabile.

Quando si è deciso che le liste di parlamentari fossero decise dalle segreterie di partito, è stato fatto un ulteriore passo verso questo fenomeno. È stato il momento chiave della de-responsabilizzazione della politica, tutta la politica, nei confronti dei cittadini. Il venire meno di quel rapporto stretto tra eletto ed elettore ha fatto sì che la politica potesse sentirsi completamente sollevata, senza riserve né eccezioni, dal temutissimo e noiosissimo meccanismo del “dover rendere conto”. Quel meccanismo non esiste più. Ed è – per arrivare di colpo ai giorni nostri – quello che consente al M5S di andare al governo con Renzi; è quello che consente a Salvini di dire: “Draghi sta ridando credibilità all’Italia”.

Il “dover rendere conto” non esiste più. E questo si manifesta a ogni livello.

Le strade sono piene di buche, nessuno più le sistema. Anni fa, sotto elezioni, magari qualche lavoro veniva fatto… oggi neanche più quello. Perché? Perché non c’è nessuno chiamato a renderne conto. La sporcizia dilaga ovunque… perché? I mezzi pubblici sono da quarto mondo… perché? I servizi, ossia quel complesso di attività che lo Stato è “moralmente” tenuto a fornire in cambio del pagamento delle tasse da parte dei cittadini, di fatto non esistono più. Non ci sono più. Non vengono più forniti. E, quando non si arriva a questioni criminali come la mancanza di manutenzione di ponti e ferrovie, resta comunque il fatto che le nostre città vengono completamente abbandonate a loro stesse, grazie a questa ormai totale de-responsabilizzazione.

E attenzione perché questo non riguarda solo lo Stato, non riguarda solo il pubblico. Riguarda anche il privato. Perché call center fantasma, impossibilità di raggiungere qualcuno, de-responsabilizzazione totale, sono diffuse anche nei rapporti tra privati. Non c’è più nessuno, di fatto, che faccia il suo dovere.

E i motivi sono due.

Non c’è più nessuno che faccia il suo dovere perché – salvo rare eccezioni – la massa è totalmente ignorante di quelle che sono le responsabilità civili che si hanno. E non c’è più nessuno che faccia il suo dovere perché – come detto – non c’è più nessuno che possa raggiungere qualcuno “che sia responsabile”.

In questo processo, due fenomeni hanno avuto un’importanza fondamentale, oltre a quanto già scritto.

Il primo è strettamente italiano, ed è legato a quanto successo dopo “Mani pulite”. “Mani pulite” spazzò via un’intera classe politica, tanto che si parlò di “Seconda Repubblica”. Ma quanti andarono in galera, per “Mani pulite”? Vogliamo contarli? Quante dita di quante mani credete che servano per contare gli arrestati per lo scandalo che spazzò via un’intera classe politica da questo paese? “Mani pulite” è stata la dimostrazione lampante e incontrovertibile che il potere, in questo paese, può fare tutto quello che vuole senza che nessuno possa opporsi, nessuno possa dire o fare niente. “Mani pulite” ha anzitutto istituzionalizzato la corruzione e la concussione ma, ancora peggio, ha segnato un passo gigantesco verso la de-responsabilizzazione della politica nei confronti dei cittadini.

Vi è mai capitato di assistere a una qualsiasi puntata di Report? E di pensare, vedendo l’inchiesta di turno, al terremoto che sarebbe successo il giorno dopo nel paese? E vedere, il mattino dopo, che non succedeva assolutamente nulla?

Il secondo fenomeno è quello – più internazionale – della nascita dei social e si riallaccia, in modo strettissimo, è evidente, al fenomeno della virtualizzazione che abbiamo discusso prima. Tra le innumerevoli conseguenze negative che hanno avuto i social – che di per sé sarebbero strumenti utilissimi, ma che diventano deleteri una volta messi in mano… all’essere umano – quella più negativa di tutte è stata la “virtualizzazione del dissenso”. Oggi le persone “condividono” post di vibrante indignazione, mettono vibranti “like” a post indignati scritti da amici e conoscenti (rischiando spesso di schiantare il mouse sotto la violenza del dito indice che clicca per il “like”) e sono felici perché hanno manifestato il loro dissenso, reso evidente al mondo la loro protesta, quel loro like sarà in grado di cambiare il mondo, ora, finalmente. Non l’inchiesta di Report, no. Il loro “like”.

Questo fenomeno ha completamente disinnescato quella che era la protesta di massa, laattiva, di piazza, massiccia, e questo ha reso le cose infinitamente più semplici, facili in modo imbarazzante a quel potere che, già completamente de-responsabilizzato, non ha più bisogno di confrontarsi con nulla che non sia un “like” su un social gestito, tra l’altro, da quel potere trasversale che tutto vigila e controlla.

Il modo di combattere tutto questo è semplice in modo disarmante, ma al tempo stesso drammaticamente difficile. È “sufficiente” una presa di coscienza, generale e diffusa quanto possibile, che porti i cittadini a ricordare quali siano i loro diritti e soprattutto quale sia il modo giusto per pretenderne il rispetto. È una cosa quasi banale. Ma il mondo che ci è stato costruito… no… eh no… il mondo che ci siamo lasciati costruire intorno è talmente semplice… è così bello essere completamente de-responsabilizzati (perché è evidente che di quella de-responsabilizzazione siamo anche parte attiva), è così comodo protestare a colpi di “like” su un social, che è poi davvero difficile risvegliarsi, rimboccarsi le maniche, e rimettersi in movimento attivamente!

Basta guardare quante sono le persone che oggi sono assopite nel comodo giaciglio che gli è stato allestito, e fino a ieri… no, fino all’altro ieri, va… protestavano e si ribellavano quando le cose non funzionavano e chi di dovere, chi era “responsabile”, si rifiutava di ascoltare.

Sì, perché, fino a l’altro ieri, c’era ancora chi era “responsabile”.


Autore: Massimo Calisti

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