Fine spiegato semplice.
di Alessandro Bianchi
Come l’AntiDiplomatico siamo impegnati in prima persona, in collaborazione con Edizioni Q, nella raccolta fondi per le attività di Gazzella Onlus a Gaza. Acquistando il libro il racconto di Suaad da questo link devolverete i proventi ai loro atti di eroismo quotidiano che potete osservare dalla loro pagina Facebook.
Abbiamo raggiunto telefonicamente un volontario, M. A., e gli abbiamo rivolto alcune domande per far comprendere, qui in Italia, in che modo portano avanti le loro iniziative. Come vive la gente a Gaza? Come si sopravvive con il blocco medioevale imposto dal carnefice israeliano? Perché in occidente non siamo in grado di dare risposte concrete contro i governi, compreso quello italiano, che finanzia e arma lo sterminatore?
Alle immagini di Gaza che vi arriveranno oggi, almeno per un giorno, fate questo esperimento: non le scorrete in modo distratto come se il tutto facesse parte di una macabra serie TV, ricordatevi di queste parole di M.A. e prendetevi cinque minuti della vostra giornata per riflettere. Perché – ed è questo il potente monito che ci lancia alla fine questo eroe dei nostri tempi – una volta sdognato il genocidio può essere ripetuto. E il luogo non è dato saperlo….
L’INTERVISTA
Può spiegarci come avviene la vostra distribuzione di pasti? In quali zone di Gaza si concentra? E quanti pasti riuscite a distribuire settimanalmente?
Noi volontari di Gazzella a Khan Younes distribuiamo sia pasti caldi che beni di prima necessità. La scelta dipende da molti fattori, soprattutto due: a) di quanti soldi disponiamo; b) che cosa conviene comprare. Inoltre bisogna vedere di volta in volta se si trova o meno legna per poter cucinare. La prima cosa che verifichiamo infatti è che ci sia legna e quanto costa. Nella nostra città, a volte, è possibile trovare una bombola di gas, ma non usiamo mai il gas. I costi sono esorbitanti. Preferiamo distribuire beni di prima necessità, ad esempio facciamo pacchi per famiglie numerose con una saponetta, un litro di olio, un kilo di riso, un kilo di pasta e così via, a seconda della disponibilità delle merci e della somma necessaria per comprarle. Giusto per darvi un’idea: un chilo di zucchero costava 2-2,50 shekel (50-75 centesimi di euro) prima del 7 ottobre 2023, oggi può costare 68-75 shekel (17,00-18,00 euro); la farina era arrivata a 70 shekel al chilo e per fare il pane ci vuole un forno e ci vuole la legna, il lievito e il sale e tutto costa caro. I prezzi variano moltissimo a seconda dell’offerta, sempre scarsa. In media riusciamo a fare una distribuzione a settimana per coprire il fabbisogno di un migliaio sfollati circa. Distribuiamo agli sfollati a Khan Younes e qualche volte in aree limitrofe, ma spostarsi comporta dei rischi che cerchiamo di evitare, soprattutto se dobbiamo usare la macchia. In questo caso bisogna avere la benzina che non è facile da reperire e pagare. Per questo di norma carichiamo e distribuiamo tutto a piedi…
Come si riesce ad ottenere cibo e beni di prima necessità oggi a Gaza?
Le famiglie, anche quelle residenti e non sfollate, non riescono a comprare praticamente niente perché i prezzi di quel che si trova in un determinato giorno – e non è detto che l’indomani ci sarà ancora – è così alto da non permettere a persone normali di nutrirsi nemmeno col minimo necessario. Le derrate alimentari arrivano col contagocce e si vendono al mercato che possiamo definire ‘nero’. Ovviamente parlo di Khan Younes e dintorni. So che a Gaza città e in tutto il nord della Striscia, la situazione è ancora più difficile. La maggioranza delle famiglie e la totalità degli sfollati che sono quasi un milione e trecentomila, vivono di assistenza internazionale, cioè grazie a quello che riusciamo a procurare noi volontari. Ma, va detto, che anche qui a Khan Younes stiamo sperimentando la fame.
Come sopravvive oggi la gente a Gaza?
Molti riescono a organizzarsi in modo incredibile. Le faccio un esempio: le poche scuole ancora in piedi sono occupate da migliaia e migliaia di sfollati. I bambini hanno già perso un anno scolastico, ma alcuni insegnanti organizzano nelle loro tende classi apposite e continuano nella loro missione di insegnamento. Queste scuole improvvisate sono dappertutto. Ne vedo continuamente quando andiamo nelle diverse tendopoli a distribuire viveri. Così anche gli ospedali che sono tutti distrutti e quelli che resistono non hanno posti e non hanno gli strumenti e i farmaci per curare i feriti e i malati, ma vediamo normalmente per strada infermieri e personale sanitario che svolgono il loro lavoro da ambulanti e recandosi di persona in ogni emergenza. Ogni volta che c’è un bombardamento – cioè varie volte al giorno e di più di notte – arrivano immediatamente decine di persone a scavare il terreno nel tentativo di salvare qualcuno. Accorrono infermiei e medici. Tutto questo salva molte vite umane ogni giorno.
Ci può descrivere una giornata tipo di un abitante di Gaza oggi?
Bisogna distinguere fra sfollati e non sfollati. Oggi gli sfollati rappresentano la maggioranza della popolazione. Una persona sfollata può essere ospite di qualche parente o conoscente, oppure vive in una scuola occupata – i più ‘fortunati’ – ma la maggior parte della popolazione oggi vive nelle tendopoli che spesso non sono fatte di tende, ma di ripari improvvisati, cioè fatti con coperte, stuoie, plastiche o qualsiasi altra cosa si trovi. Molti degli sfollati adulti cercano di dare una mano dove capita, altri invece si sono adagiati al non fare niente e aspettano chissà cosa. Altri ancora vanno in giro in ricerca di cibo, non potendo lavorare e non è possibile nella situazione attuale lavorare. Quelli che non sono sfollati, come me, cercano di portare avanti il proprio lavoro e molti fanno lavoro volontario per assistere gli sfollati, i feriti, i bambini soli, ecc.
Quale è il messaggio che vuole mandare ad un cittadino italiano che vede scorrere distrattamente le immagini di questo massacro quasi pensando di assistere ad un film?
Dico a chi si è assuefatto al genocidio – e sono convinto di quel che dico- che potrebbe toccare anche a loro. Se si accettano le atrocità che subiscono i palestinesi, quelle atrocità si possono ripetere in qualsiasi altra parte del mondo.
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Fonte: lantidiplomatico.it