Fine spiegato semplice.
di Agata Iacono
Con coccarda tricolore e Costituzione in mano, hanno girato le spalle ai discorsi del ministro Nordio e delle altre autorità istituzionali, uscendo dalle aule e attivando anche sit-in e flash mob fuori dai tribunali. Hanno anche indetto uno sciopero della magistratura, contro la “controriforma” della giustizia, in corso di approvazione delle Camere, per lunedì 27 gennaio.
Troppo spazio mediatico, di facciata e non di sostanza, sta avendo questa questione: nel senso che se ne parla, certo, ma generando volutamente confusione nel cittadino che non è in grado di addentrarsi nei termini tecnici della giurisprudenza. Se ne parla, insomma, proprio per non affrontare il vero problema, da una parte e dall’altra, con balbettii, recriminazioni, balletti tra pro e contro che aggiungono caos alla già gravissima manipolazione semantica dei temi in gioco.
Distrattamente la compagine, che riveste attualmente il ruolo di opposizione, recita la noiosa parte che le è stata assegnata. E Conte non sale certo sui tetti di Montecitorio per difendere la Costituzione…
Così si procede spediti per l’autonomia differenziata, si tace sulla legge repressiva denominata sicurezza, passa alla Camera la separazione delle carriere…
Intanto, credo che sia doveroso sgombrare il campo dal doloso equivoco semantico: non di separazione delle carriere si tratta, ma di separazione della magistratura.
La separazione delle magistrature requirente e giudicante non è separazione delle carriere: se si trattasse solo di porre limiti al passaggio da una carriera all’altra, infatti, non ci sarebbe alcun bisogno di cambiare la Costituzione.
Chi invece chiede la separazione delle carriere, di fatto, vorrebbe imporre all’inizio della carriera una scelta radicale e definitiva tra una funzione e l’altra: un programma presente nel disegno sovversivo del piano di Rinascita di Licio Gelli. (Fonte: Famiglia Cristiana https://www.famigliacristiana.
Se fosse così, questo continuo andirivieni potrebbe creare tra il magistrato requirente e la corte giudicante una sorta di complicità, di spirito di categoria.
Nella seconda metà degli anni Novanta erano, comunque, nell’ordine rispettivamente del 6/8,5% e del 10/17% (dati ufficio statistico Csm). Sono numeri destinati a ridursi ancora da quando la riforma Cartabia (2022) ha ridotto la possibilità del passaggio da quattro a una sola volta in carriera, nei primi dieci anni.
Ma già da prima servivano cinque anni di permanenza nel ruolo e un concorso di idoneità ogni volta, ma soprattutto perché si tratta di cambiare distretto e anche Regione e a volte nemmeno basta, perché è precluso anche l’ufficio competente per legge a occuparsi di indagini che coinvolgono magistrati del distretto di provenienza.
Sotto la richiesta delle carriere separate in realtà si nasconde il sospetto che l’appartenere alla stessa carriera determini un giudice meglio disposto verso Pm che verso l’avvocato difensore. Ma le statistiche, (fonte Cassazione), smentiscono questo pregiudizio, se è vero che in primo grado le assoluzioni sono il 50%.
Chi è contrario alla separazione delle carriere motiva l’importanza di mantenere una comune cultura della giurisdizione tra giudice e Pm.
Quanti processi iniziati in pompa magna si sono poi frantumati nella incapacità di sostenere le prove davanti ad un tribunale?
Con un PM sceriffo e per di più direttamente dipendente e non più “Terzo”, quali potrebbero essere i rischi?
Grossi processi mediatici destinati a risolversi in bolle di sapone, funzionali a dimostrare la cattiva fede della magistratura?
Il problema non è tecnico, come cercano di dirci con tante indecifrabili parole vuote.
Il problema è squisitamente politico e si inserisce in quella serie di riforme, che stanno passando in sordina nel caos internazionale, che sono la base consolidata, i mattoni portanti, di un regime che non ha più bisogno di fingersi democratico.
Quindi non parliamo di separazione delle carriere, ma di smembramento del potere terzo dello Stato, di un atto eversivo e sovversivo contro lo stato di diritto e la democrazia costituzionale.
In definitiva, tutte le motivazioni ufficiali, le scusanti che dovrebbero giustificare la necessità di scindere la magistratura sono contraddette dai dati e non c’è alcun bisogno di essere giuristi per comprenderlo, se si decifrano in modo semplice e comprensibile i termini tecnici e si presentano i fatti per quello che sono.
La situazione attualmente è la seguente:
La riforma vuole modificare il Titolo IV della Costituzione.
Nicola Gratteri, procuratore capo a Napoli, non è andato neppure all’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Le sue dichiarazioni in un’intervista a La Stampa:
”È stata la prima volta da quando ricopro un ruolo istituzionale che non partecipo ad una inaugurazione dell’anno giudiziario, ma ritengo troppo gravi le accuse che sono state fatte contro la magistratura. Non me la sono sentita di rispettare il protocollo”. E ancora: ”Credo che dobbiamo tutti ringraziare il ministro Nordio perché è riuscito a fare quello che nessuno era riuscito a fare: rendere unita e compatta la magistratura. Non ci speravo più, era dalla epoca delle stragi che non accadeva. Grazie a lui ora tutti i magistrati, iscritti a correnti e non, penalisti, civilisti sono uniti e compatti come mai prima” aggiunge Gratteri. E sulla separazione delle carriere sottolinea: ”Serve per indebolire il pubblico ministero. Spesso si grida allo scandalo e si invoca la separazione delle carriere dopo un’assoluzione eccellente. Ma scusate: se il giudice ha assolto che senso ha la separazione delle carriere? Lo avrebbe solo se condannasse e si scoprisse che si è messo d’accordo con il pm, in quanto colleghi. Al contrario, l’assoluzione, eccellente o meno, è sintomatica dell’autonomia del giudice rispetto al pubblico ministero”.
Fonte: lantidiplomatico.it