Francesco Erspamer: “Come italiano mi avrebbero preoccupato molto di più altri 4 anni di bidenismo”

Spiegato semplice

Alcuni italiani sono molto preoccupati per la vittoria di Trump, ma l’autore del testo dice che durante il suo primo mandato non è successo nulla di grave, né in America né in Italia. Pensa che sarebbe stato peggio avere Biden per altri quattro anni, perché le sue decisioni hanno portato a problemi come lae l’aumento dei prezzi. L’autore critica anche chi accusa Trump di avere idee vecchie, dicendo che non è giusto correre sempre senza fermarsi a pensare se si sta facendo la cosa giusta. Infine, suggerisce che chi ha paura di Trump dovrebbe opporsi alleamericane in Italia.

Fine spiegato semplice.

Chissà perché tanti italiani si stracciano le vesti per la vittoria di Trump. Potrebbero ricordarmi che cosa della sua precedente presidenza li avrebbe danneggiati?

Covid a parte, in quei quattro anni non successe niente di rilevante, né negli Stati Uniti né tanto meno in Italia: di sicuro non le catastrofi che i liberal avevano annunciato.

Gli stessi che adesso si arrampicano sugli specchi per poter ancora una volta gridare al lupo, a coprire la loro incompetenza e il loro integralismo: «Il secondo mandato dinon assomiglierà affatto al primo», minacciano (cito da CNN), ammettendo in sostanza che otto anni fa si erano sbagliati e lo stesso pretendendo di essere creduti.

A me invece avrebbero preoccupato altri quattro anni di bidenismo.

Soprattutto come italiano, visto che i risultati delle dissennate politiche imperialiste die Harris hanno portato alla guerra in Ucraina e alla conseguente inflazione, che suppongo abbiate notato anche se piddini. Per non dire dell’iper-turismo, in buona parte determinato dal mito della mobilità che caratterizza la finta sinistra consumista e individualista.
Uno degli insulti più frequentemente rivolti a Trump durante la campagna elettorale (per esempio da Harris durante il dibattito presidenziale e più recentemente da Michelle Obama) è che avrebbe «una visione retrograda, focalizzata sul passato»; peccato che io non ci creda, se no lo avrei votato. Ma la finta sinistra non capisce e non tollera la semplice ipotesi di rallentare, fermarsi o addirittura tornare indietro; per essa non ci sono alternative al continuare a correre nella medesima direzione, senza domandarsi se sia la strada giusta. È la retorica della crescita perpetua e a qualsiasi costo, il ridicolo «progressismo» che trasformò i socialisti e i comunisti in banali consumisti (di prodotti e tecnologie ma anche di idee): insomma l’ideologia del nuovo fine a sé stesso, condizione necessaria e sufficiente del neocapitalismo liberista e liberal, fondato sull’obsolescenza programmata, sullo spreco, sulla cancellazione delle culture e delle diversità reali, innumerevoli e locali, non globali, e pertanto escluse dal ristretto e restrittivo canone «woke».
Non credo affatto che Trump salverà il mondo, di cui peraltro sembra poco interessato, e neppure l’America. Non è un conservatore, non è un moralista, non è un tradizionalista, non è uno statalista: è un liberista anche lui, come Meloni, come Le Pen. Per questo non l’ho votato. Ma da qui a disperarmi per la mancata elezione di una peraltro insignificante paladina di presunti diritti «universali» se non «naturali» (tutti originati negli Stati Uniti ma da imporre ovunque) e della libertà individuale e individualistica di sentirsi e fare quello che si vuole senza alcuna responsabilità sociale, ce ne passa. 
Chi comunque sia davvero terrorizzato da Trump, una cosa può farla: rifiuti le sue basi militari e le sue bombe nucleari, lotti per far uscire l’Italia dalla NATO, primo passo per emanciparsi dal servilismo nei confronti di un paese che elegge personaggi come lui.

*Post Facebook del 6 novembre 2024

Francesco Erspamer

Francesco Erspamer


Professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill

Fonte: lantidiplomatico.it

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