Fine spiegato semplice.
Hanno aspettato che rientrasse in Italia dalla Palestina, lo hanno pedinato e lo hanno massacrato di botte: è quanto successo martedì sera all’attivista italo-palestinese Karem Rohana, mentre si trovava con un’amica in zona Torrino, a Roma. Dopo che, per via del trambusto, varie persone sono sopraggiunte sulla scena, i due individui, incappucciati e con la faccia coperta da mascherine chirurgiche, sono fuggiti su due Smart. Sulla vicenda sta ora indagando la Digos che, per la natura di quanto accaduto, ha ipotizzato anche l’aggravante di crimine d’odio.
Karem è un attivista di origini italo-palestinesi che sui propri canali social (in particolare Instagram) pubblica quotidianamente aggiornamenti sull’aggressione israeliana in corso nella Striscia di Gaza e riflessioni sulla questione palestinese (lo avevamo già intervistato per parlare della censura in atto sui social, che ha coinvolto anche il suo canale, più volte sospeso da Meta senza una precisa ragione). «Ho commesso l’errore di abbassare la guardia» ci racconta Karem al telefono, riferendosi al fatto che il giorno prima di rientrare in Italia, in una delle storie pubblicate su Instagram, aveva chiesto un passaggio dall’aeroporto di Fiumicino, dove sarebbe atterrato l’indomani. «In Palestina ho fatto molta attenzione a non pubblicare la mia posizione in tempo reale e a non dare riferimenti per essere rintracciato, ma al mio rientro volevo sentire un po’ di affetto, un po’ di accoglienza. Anche perché non era previsto che atterrassi a Fiumicino, mi hanno cancellato diversi voli prima che finalmente mi facessero imbarcare per l’Italia. Per quello ho chiesto se qualcuno mi poteva dare un passaggio, io a momenti manco sapevo dove sta Fiumicino».
Una volta atterrato, un amico, anch’egli italo-palestinese, lo ha accompagnato fino alla stazione della metro B per arrivare fino a Roma. «All’uscita della metro, in zona Torrino, mi sarebbe dovuta venire a prendere una mia amica. Nei cinque minuti scarsi durante i quali l’ho aspettata ho visto arrivare due Smart, ma non è una cosa alla quale ho dato peso. Mi è sembrato solo strano il fatto che non scendesse nessuno, anche perché si tratta di un punto abbastanza isolato. Quando è arrivata la mia amica siamo saliti in macchina per andare verso un locale a bere una cosa. Abbiamo parcheggiato in via Ostiense, siamo scesi e nel giro di 10 secondi sono arrivati due soggetti incappucciati col volto coperto da una mascherina chirurgica». Questo dettaglio lo racconteranno a Karem i testimoni presenti, perché lui non avrà nemmeno il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo.
«Hanno spintonato la mia amica urlandole di spostarsi in quello che, lei mi ha detto, era chiaramente un accento romano. Poi mi hanno colpito con un pugno alla faccia, sono finito in terra e mi hanno preso ripetutamente a calci, nei denti e nella schiena». In tutto l’episodio è durato un minuto o poco più. «In mano avevo un telefono nuovo da 900 euro ma non hanno nemmeno provato a prenderlo, così come non hanno cercato di prendermi il borsello». Quando, alle grida della ragazza, hanno cominciato ad arrivare diverse persone, gli aggressori sono fuggiti a bordo di quelle che i testimoni hanno riferito essere due Smart. «La mia preoccupazione più grande era avere una lesione alla schiena, ma per fortuna non è così».
«Io a non ho una vita o una rete a Roma, non conosco nessuno, non ho legami personali, per cui penso che il motivo per il quale mi hanno aggredito sia necessariamente legato a quello che faccio» afferma Karem, riferendosi alla sua attività di informazione e sensibilizzazione nei confronti della repressione israeliana verso i palestinesi. Ad indagare sui fatti, compresa l’ipotesi di crimini d’odio, è la Digos, che ha raccolto i filmati delle videocamere presenti sulla via e ascoltato i testimoni. «Io in Palestina e Israele avevo messo in conto mi accadesse anche di peggio. In Italia no, ma comunque non mi ha sorpreso poi così tanto quello che è successo, questi soggetti sono fascisti violenti. Così facendo hanno dato ancora più credibilità alla mia narrazione, mi hanno solo fatto un favore. Non mi sento una vittima, io continuerò a parlare di Palestina e a denunciare queste violenze con ancora più convinzione di prima, non mi fermerò certo adesso. Quanto successo aiuterà solo a dare più visibilità alla causa palestinese».
[di Valeria Casolaro]
Fonte: lindipendente.online