Dall’11 settembre al 7 ottobre: la falsa “Guerra al Terrore” va in pezzi

Spiegato semplice

Il testo parla di come gli Stati Uniti hanno reagito agli attacchi dell’11 settembre 2001, iniziando una guerra contro il terrorismo che ha portato a molte guerre in paesi musulmani. Si dice che queste guerre siano state giustificate con motivi umanitari, ma in realtà hanno causato molte sofferenze e morti, soprattutto tra i musulmani. L’autore menziona anche che ci sono stati piani segreti per combattere contro alcuni paesi, come Iraq e Siria, che erano considerati nemici di Israele. Inoltre, si parla di come la Russia sia intervenuta inper combattere il terrorismo, mentre gli Stati Uniti hanno usato gruppi terroristici per i loro scopi. Infine, si conclude che la guerra al terrorismo è fallita e che ci sono nuove sfide geopolitiche, come l’alleanza trae Cina.

Fine spiegato semplice.

Pepe Escobar
thecradle.co

La colonizzazione … è il miglior affare in cui il capitale di un Paese vecchio e ricco possa impegnarsi … le stesse regole della moralità internazionale non si applicano … tra le nazioni civilizzate e i barbari” 

John Stuart Mill, citato da Eileen Sullivan in “Liberalism and Imperialism: JS Mill’s Defense of the British Empire“, Journal of the History of Ideas, vol. 44, 1983.

Gli eventi dell’11 settembre 2001 avrebbero dovuto imporre e sancire un nuovo paradigma eccezionalista al giovane XXI secolo. La storia, però, ha decretato il contrario.

L’11 settembre 2001, interpretato come un attacco al cuore degli Stati Uniti, aveva immediatamente dato vita alla Guerra Globale al Terrore (GWOT), lanciata alle 23 dello stesso giorno. Anche se era stata inizialmente battezzata dal Pentagono la “Guerra Lunga“, il termine era stato poi sterilizzato dall’amministrazione di Barack Obama, che lo aveva modificato  in “Operazioni di contingenza d’oltremare (OCO)”.

La guerra al terrorismo fabbricata dagli Stati Uniti ha speso otto trilioni di dollari, notoriamente non tracciabili, per sconfiggere un nemico fantasma, ha ucciso oltre mezzo milione di persone – in maggioranza Musulmani – e si è ramificata in guerre illegali contro sette Stati a maggioranza musulmana. Tutto questo è stato inesorabilmente giustificato da “motivi umanitari” e, presumibilmente, sostenuto dalla “comunità internazionale” – prima che anche questo termine fosse ribattezzato in “ordine internazionale basato sulle regole”.

Cui Bono? (chi ci guadagna) rimane la domanda principale su tutte le questioni legate all’11 settembre 2001. Una fitta rete di neoconservatori ferventemente orientati verso Israele, posizionati strategicamente in tutti i settori della difesa e della sicurezza nazionale dal vicepresidente Dick Cheney – che era stato segretario alla Difesa nell’amministrazione di George W. Bush padre – era entrata in azione per imporre l‘agenda, pianificata da tempo, del Progetto per il Nuovo Secolo Americano (PNAC). Questa agenda di vasta portata aveva atteso il giusto innesco – una “nuova Pearl Harbor” – per giustificare una serie di operazioni di cambio di regime e di guerre in gran parte dell’Asia occidentale e in altri Stati musulmani, ridisegnando laglobale a vantaggio di Israele.

La famosa rivelazione del generale statunitense Wesley Clark di un piano segreto del regime di Cheney per distruggere sette grandi Paesi islamici nell’arco di cinque anni, dall’Iraq, alla Siria, alla Libia fino all’Iran, ci aveva mostrato che la pianificazione era già stata fatta in anticipo. Queste nazioni avevano una cosa in comune: erano nemici risoluti dello Stato di occupazione e fermi sostenitori dei diritti dei palestinesi.

Il bell’affare, dal punto di vista di Tel Aviv, era che laavrebbe visto gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali combattere tutte queste guerre, una dopo l’altra, a profitto israeliano, per conto della “civiltà” e contro i “barbari”. Gli israeliani non avrebbero potuto essere più felici o compiaciuti della direzione in cui stavano andando le cose.

Non c’è da stupirsi che il 7 ottobre 2023 sia un’immagine speculare dell’11 settembre 2001. Lo stesso Stato di occupazione ha pubblicizzato questo evento come l’”11 settembre” di Israele. I parallelismi abbondano, ma non certo nel modo in cui i sostenitori die la cabala di estremisti alla guida di Tel Aviv si aspettavano.

Siria: il punto di svolta

L’egemone occidentale eccelle nella costruzione di narrazioni e attualmente sguazza nelle paludi della russofobia, dell’iranofobia e della sinofobia da lui stesso create. Screditare le narrazioni ufficiali e immutabili, come quella dell’11 settembre, rimane l’ultimo tabù.

Ma un falso costrutto narrativo non può resistere per sempre. Tre anni fa, nel ventesimo anniversario del crollo delle Torri Gemelle e dell’inizio della Guerra al Terrore, avevamo assistito ad una grande rivelazione nell’intersezione dell’Asia centrale e meridionale: i Talebani erano tornati al potere, festeggiando la loro vittoria sull’Egemone in una scombussolata Guerra per Sempre.

A quel punto, l’ossessione dei “sette Paesi in cinque anni” – che mirava a forgiare un “Nuovo Medio Oriente” – stava deragliando in tutto lo spettro. La Siria era stata il punto di svolta, anche se alcuni potrebbero sostenere che i presagi erano già visibili quando lalibanese aveva sconfitto Israele nel 2000 e poi di nuovo nel 2006.

Ma distruggere una Siria indipendente avrebbe spianato la strada al Santo Graal dell’Egemone – e di Israele – il cambio di regime in Iran.

Le forze di occupazione statunitensi erano entrate in Siria alla fine del 2014 con il pretesto di combattere il “terrore”. Questo era l’OCO di Obama in azione. In realtà, Washington, per cercare di distruggere Damasco, stava usando due organizzazioni terroristiche chiave – Daesh, alias ISIL, alias ISIS, e Al Qaeda, alias Jabhat al-Nusra, alias Hayat Tahrir al-Sham .

Tutto questo era stato dimostrato in via definitiva da un documento declassificato della Defense Intelligence Agency (DIA) deglidel 2012, successivamente confermato dal generale Michael Flynn, il capo della DIA al momento della redazione della valutazione: “Penso che sia stata una decisione intenzionale [dell’amministrazione Obama]” nel senso che si trattava di aiutare, non di combattere, il terrorismo.

L’ISIS era stato concepito per combattere sia l’esercito iracheno che quello siriano. Il gruppo terroristico era figlio di Al-Qaeda in Iraq (AQI), poi rinominato Stato Islamico in Iraq (ISI), quindi ribattezzato ISIL e infine ISIS, dopo il suo passaggio del confine siriano nel 2012.

Il punto cruciale è che sia l’ISIS che il Fronte al Nusra (poi Hayat Tahrir al-Sham) erano propaggini salafite-jihadiste di Al-Qaeda.

L’ingresso della Russia nel teatro siriano, su invito di Damasco, nel settembre 2015, aveva rappresentato un reale cambio di rotta. Il presidente russo Vladimir Putin aveva deciso di intraprendere una vera e propria guerra al terrore in territorio siriano prima che questo raggiungesse i confini della Federazione Russa. Questo, all’epoca, era stato capito molto bene da Mosca: la distanza da Aleppo a Grozny è di soli 900 chilometri.

I russi, dopo tutto, erano già stati sottoposti allo stesso tipo e all’identico modus operandi terroristico in Cecenia negli anni ’90. Il grande analista libanese Anis Naqqash aveva poi confermato che era stato il leggendario comandante della Forza Quds iraniana Qassem Soleimani a convincere Putin in persona ad entrare nel teatro di guerra siriano e a contribuire alla sconfitta del terrorismo. Questo piano strategico, a quanto pare, mirava a debilitare fatalmente gli Stati Uniti in Asia occidentale.

L’establishment della sicurezza statunitense, ovviamente, non avrebbe mai perdonato a Putin, e soprattutto a Soleimani, di aver sconfitto la propria fanteria jihadista. Su ordine del Presidente Donald Trump, il generale iraniano anti-ISIS era stato assassinato a Baghdad nel gennaio 2020, insieme ad Abu Mahdi al-Mohandes, vice leader delle Unità di Mobilitazione Popolare (PMU) irachene, un ampio spettro di combattenti iracheni che si erano coalizzati per sconfiggere l’ISIS in Iraq.

Seppellire l’eredità dell’11 settembre

Il tour de force strategico di Soleimani, che aveva creato e coordinato l’Asse della Resistenza contro Israele e gli Stati Uniti, aveva impegnato anni di lavoro. In Iraq, ad esempio, le PMU erano state spinte in prima linea nella resistenza perché l’esercito iracheno – addestrato e controllato dagli Stati Uniti – semplicemente non era in grado di combattere l’ISIS.

Le PMU erano state create dopo una fatwa del Grande Ayatollah Sistani nel giugno 2014 – quando l’ISIS aveva scatenato il suo attacco all’Iraq – che aveva implorato “tutti i cittadini iracheni” di “difendere il Paese, il suo popolo, l’onore dei suoi cittadini e i suoi siti sacri”.

Diverse PMU erano sostenute dalla Forza Quds di Soleimani – che, ironia della sorte, per il resto del decennio sarebbe stato invariabilmente bollato da Washington come un capo “terrorista”. Parallelamente, il governo iracheno aveva ospitato un centro di intelligence anti-ISIS a Baghdad, guidato dalla Russia.

Il merito di aver sconfitto l’ISIS in Iraq va soprattutto alle PMU, insieme all’integrazione delle unità PMU nell’Esercito Arabo Siriano di Damasco. Questa era stata una vera guerra al terrore, non quella costruzione americana dal falso nome di “Guerra al Terrore”.

Meglio ancora, la risposta autoctona dell’Asia occidentale al terrore era e rimane non settaria. Teheran sostiene la Siria laica e pluralista e la Palestina sunnita; il Libano presenta un’alleanza Hezbollah-Cristiani; le PMU irachene presentano un’alleanza sunnita-sciita-cristiana. Il divide et impera semplicemente non si applica in una strategia antiterroristica interna.

Poi, ciò che è accaduto il 7 ottobre 2023 ha spinto l’etica delle forze di resistenza regionali a un livello completamente nuovo.

Con una mossa rapida, ha distrutto il mito dell’invincibilità militare israeliana e il suo tanto sbandierato primato di sorveglianza e intelligence. Mentre l’orribile genocidio di Gaza procede senza sosta (con un numero di morti civili che potrebbe arrivare a 200.000, secondo The Lancet), l’economia israeliana viene sventrata.

Il blocco strategico yemenita di Bab al-Mandeb e del Mar Rosso a qualsiasi nave legata o destinata a Israele è un colpo da maestro di efficienza e semplicità. Non solo ha già mandato in bancarotta lo strategico porto israeliano di Eilat, ma ha anche offerto una spettacolare umiliazione dell’Egemone talassocratico, con gli yemeniti che hanno, di fatto, sconfitto la Marina statunitense.

In meno di un anno, le strategie concertate dell’Asse della Resistenza hanno essenzialmente messo sotto un metro di terra la falsa Guerra al Terrore e la sua miniera d’oro multimiliardaria.

Per quanto Israele avesse tratto vantaggio dagli eventi successivi all’11 settembre, le azioni di Tel Aviv dopo il 7 ottobre hanno rapidamente accelerato il suo disfacimento. Oggi, in mezzo alla massiccia condanna della Maggioranza Globale del genocidio di Gaza da parte di Israele, lo Stato di occupazione è un paria – che macchia i suoi stessi alleati e mette a luce l’ipocrisia dell’Egemone ogni giorno che passa.

Per l’Egemone, la situazione è ancora più allarmante. Ricordiamo l’avvertimento del 1997 del dottor Zbigniew “Grande Scacchiere” Brzezinski: “È imperativo che non emerga alcuno sfidante eurasiatico in grado di dominare l’Eurasia e quindi di sfidare anche l’America”.

Alla fine, tutto il rumore e la furia combinati dell’11 settembre, della Guerra al Terrore, della Lunga Guerra, dell’Operazione Questo e Quello nell’arco di due decenni, si sono trasformati in una metastasi, esattamente come temeva “Zbig”. Non è emerso solo un semplice “sfidante”, ma una vera e propria partnership strategica Russia-Cina che sta dando un nuovo tono all’Eurasia.

Improvvisamente, Washington ha dimenticato il terrorismo. È questo il vero “nemico”, ora considerato la prima delle due “minacce strategiche” degli Stati Uniti. Non Al-Qaeda e le sue numerose incarnazioni, un’inconsistente figura dell’immaginazione della CIA, riabilitata e sanificata nel decennio precedente nei mitici “ribelli moderati” in Siria.

Ciò che è ancora più inquietante è che la concettualmente insensata Guerra al Terrore forgiata dai neoconservatori subito dopo l’11 settembre si sta ora trasformando in una guerra del terrore (corsivo mio), che rappresenta l’ultimo disperato tentativo della CIA e dell’MI6 per “affrontare l’aggressione russa” in Ucraina.

E questo è destinato a metastatizzarsi nella palude della sinofobia, perché le stesse agenzie di intelligence occidentali considerano l’ascesa della Cina “la più grande sfida geopolitica e di intelligence” del XXI secolo.

La Guerra al Terrore è stata sfatata, è ormai morta. Ma preparatevi a guerre del terrore in serie da parte di un Egemone non abituato a non essere il padrone della narrativa, dei mari e della terra.

Pepe Escobar

Fonte: thecradle.co
Link: https://thecradle.co/articles/from-11-september-to-7-october-the-fake-war-on-terror-collapses
13.09.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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Pepe Escobar è un analista geopolitico e autore indipendente. Il suo ultimo libro è Raging Twenties. È stato politicamente cancellato da Facebook e Twitter. È possibile seguirlo su su Telegram.

Fonte: comedonchisciotte.org

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