Fine spiegato semplice.
di Giulia Bertotto per l’Antidiplomatico
L’architetto palestinese Antoine Raffoul vive a Londra, dove da 40 anni svolge una prestigiosa carriera. Raffoul è nato a Nazareth nel 1941 ed è stato espulso con i dieci membri della sua famiglia da Haifa nell’aprile del 1948, durante la “Nakba”. La sua famiglia si stabilì a Tripoli e in Libano, e da allora non gli è mai stato permesso di tornare. Dal 2007 è fondatore e coordinatore del 1948.Lest.We.Forget (per non dimenticare), un sito che cerca di far conoscere le radici del dolore palestinese e della sua causa. Tra i suoi obiettivi non c’è solo la costruzione di coscienza civile ed etica sulla causa palestinese, ma anche la riedificazione di quei villaggi originari distrutti dagli insediamenti coloniali di Israele. Tra le più recenti iniziative di Raffoul ricordiamo una campagna del 2013 per preservare la città di Akkah, in Palestina, patrimonio mondiale dell’UNESCO, colpita da pulizia etnica e gentrificazione. Diamo la parola al dottor Antoine Raffoul.
L’INTERVISTA
Dottor Raffoul, per favore ci dica qualcosa sul suo sito e piattaforma 1948.Lest.We.Forget. (Accesso: www.1948.org.uk)
Ho creato questo sito intorno al 2007 perché mi sono reso conto che molte persone non conoscono la storia dell’occupazione palestinese. Il sito web non contiene le mie opinioni o interpretazioni, ma è il risultato di una ricerca supportata da dati e documenti, sviluppata da storici rispettati come Ilan Pappé, Avi Shlaim e Nur Masalha, solo per citarne alcuni. Sfortunatamente, se non si conosce la storia è facile cadere preda della manipolazione mediatica e della propaganda politica. Il mio sito, che spiega i complessi e brutali eventi accaduti dal 1948 in poi, non è esaustivo, ma tenta di innescare la ricerca personale dei lettori nella ricerca della verità e della giustizia.
In Italia la causa palestinese è molto sentita, ma ci sono alcune persone che purtroppo ancora associano la resistenza palestinese al terrorismo. Alcuni ragazzi italiani sono stati picchiati a sangue durante diverse manifestazioni per chiedere il Cessate il fuoco. A Londra c’è maggiore comprensione del fenomeno?
La Londra del 1917 di Balfour era al centro del problema, ma ha mantenuto fino ad oggi il suo carattere cosmopolita. Una città relativamente aperta nella quale ho avuto l’opportunità di parlare e discutere della causa palestinese in varie sedi e conferenze europee. Questo è molto importante perché non dobbiamo distogliere la nostra attenzione dall’occupazione che oggi è diventata un genocidio commesso attraverso le bombe e la fame contro i civili: entrambi gli atti sono considerati crimini di guerra contro l’umanità. Possiamo affermare che il potere della lobby sionista, con la distruzione di ospedali, scuole, edifici religiosi ha “finalmente” rivelato all’insieme il suo vero volto di Stato razzista e genocida.
75 anni di occupazione e pulizia etnica, quasi sei mesi di genocidio (in corso) hanno fatto un numero incalcolabile di vittime, innumerevoli vessazioni, sequestri, torture, incarcerazioni arbitrarie, sulla popolazione ma hanno anche distrutto il patrimonio architettonico, artistico e culturale palestinese. Per sfregio i coloni hanno costruito parcheggi sui cimiteri e hanno ebraicizzato i nomi delle strade. La valenza simbolica e psicologica di queste violenze è gravissima. In quanto architetto cosa può dirci su questo?
Sto cercando di fare qualcosa di concreto contro questi orrori, ad esempio con il progetto chiamato “Architecture Of Resistance”.
Proprio come l’UNESCO preserva il patrimonio materiale e immateriale, storico e artistico dell’umanità, l’ICOMOS, di cui sono membro, è l’organo consultivo dell’UNESCO e mira a conservare i monumenti storici e i siti del patrimonio mondiale. Un’altra importante organizzazione a questo scopo ha sede a New York, il World Monuments Fund, ed è un’organizzazione senza scopo di lucro per la conservazione dei siti storici architettonici di eccellenza storico-culturale. La differenza tra questo organismo e l’UNESCO è che quest’ultima attribuisce titoli ma non contribuisce finanziariamente alla conservazione dei siti. Attualmente sono in attesa della decisione finale dell’UNESCO in merito all’inserimento nell’elenco definitivo (in contrasto con l’elenco provvisorio) dell’antico e caratteristico villaggio palestinese di Lifta, situato a ovest di Gerusalemme, dove è in atto un vero e proprio “Urbicidio”.
Due mesi fa io, con due colleghi e amici, il dottor Nasser Golzari e sua moglie, la dottoressa Yara Sharif (professori di Architettura alla Westminster University, Londra), abbiamo fondato AFG, “Architettura per Gaza”, con l’obiettivo di ricostruire Gaza. La città non sarà ricostruita come parco giochi per turisti, da architetti che non conoscono questa antica patria. Questa iniziativa di ricostruzione mira a utilizzare materiali riciclati e manodopera locale nel tentativo di rivendicare questo importante centro. Si tratta di un progetto ambizioso che mi sta profondamente a cuore.
Ha fatto il giro dei giornali lo scorso dicembre la pubblicità delle ville israeliane sul mare a Gaza, case di lusso progettate dall’azienda Harey Zahav con vetrate tra le macerie e sui cadaveri. Si tratterebbe di una dozzina di villette “di lusso”.
Ciò è mostruoso e dimostra i veri obiettivi di pulizia etnica del colonialismo sionista: distruggere tutta la vita fisica palestinese e cancellare tutte le memorie architettoniche, storiche, culturali, artistiche, culinarie e spirituali. Questo è tipico della mentalità colonialista classica in cui un popolo prende il controllo di una terra e non di una nazione, come avviene nel colonialismo storico. Israele vuole cancellare i palestinesi non solo dalla Palestina, ma anche dalla storia. Vuole saccheggiare le sue risorse materiali e fare proprie le tradizioni palestinesi.
La strada n. 230 della città di Ariha è stata intitolata ad Aaron Bushnell il soldato americano che si è immolato nel fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington. L’architettura è simbolo, riflesso del sentimento di un popolo, specchio del suo carattere, estrinsecazione della sua forma interiore, gusto della sua estetica. Non è un caso che l’architettura sionista abbia rinominato strade palestinesi ebraicizzandole o che abbia edificato parcheggi per automobili sui cimiteri. Si tratta di sfregi e gesti di conquista violenti.
L’ipocrisia di Israele non ha vergogna e non ha limiti nemmeno nell’architettura; il proposto “Museo della Tolleranza”, progettato da Frank Gehry a Gerusalemme, afferma di promuovere la tolleranza e la comprensione mentre sorge in cima allo storico cimitero musulmano di Mamilla. La nostra campagna, attraverso APJP (Architetti per la Giustizia in Palestina) per fermare questo progetto ha portato alle dimissioni dell’architetto. Continuiamo a denunciare gli sforzi sionisti di cancellazione e distruzione architettonica e ad aumentare la consapevolezza delle loro violazioni della sovranità palestinese a Gerusalemme.
Ha ancora valore oggi la soluzione che si trova sintetizzata nella formula “Due popoli per due stati”?
Francamente non ho mai creduto a questa soluzione “artificiale”. Il motivo è che dall’avvento del sionismo in terra di Palestina, l’obiettivo è stato quello di creare un unico Stato in tutta la Palestina per il popolo ebraico. Ciò che abbiamo visto dal 1948 e che vediamo oggi è il risultato di quel progetto: spargimenti di sangue, pulizia etnica, apartheid e genocidio. I compromessi fatti dall’OLP a Oslo (riconoscere Israele e accettare la soluzione dei due Stati) sono falliti e hanno prodotto altre tragedie per il popolo palestinese. Nonostante la firma degli accordi di Oslo, i sionisti non li accettarono mai veramente. Lo vediamo nella costruzione dell’insediamento illegale che ha aumentato il numero dei coloni illegali da 200.000 nel 1993 (Oslo) a 730.000 oggi. La Palestina è sempre stata un crocevia di culture, di tolleranza etnica e religiosa, ma l’occupazione violenta e l’apartheid sionista hanno distrutto questo ecosistema. Quando fui espulso nel 1948, persi tutto. Non mi è mai stato permesso di tornare nonostante le risoluzioni delle Nazioni Unite e le leggi umanitarie internazionali. Personalmente ho perso la mia terra e le mie proprietà ad Haifa da bambino, ma oggi non ha più importanza, non mi interessa una rivendicazione di possesso ma la possibilità di vivere in una Palestina libera e democratica per tutto il suo popolo.
La violenza sionista raggiunge il suo culmine mentre l’Europa minaccia la Terza Guerra Mondiale. Non deve essere un caso…
Questa supremazia colonizzatrice e imperialista è parte in crisi di un cambiamento epocale nel mondo, il quale sta passando da un ordine unipolare sotto la guida americana, a multipolare, che vede diversi continenti e stati alla guida del mondo. Coloro che ora sono al vertice desiderano continuare lo status quo, ma la trasformazione geopolitica globale è già in atto e sarà irreversibile. Di conseguenza, la Palestina sarà libera e il mondo vivrà una nuova alba.
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L’Associazione “Gazzella” (www.gazzella-onlus.com) è da anni impegnata nel portare assistenza e cure ai bambini palestinesi feriti da armi di fuoco (soprattutto a Gaza). Con lo sterminio in atto e la popolazione allo stremo sono molti i progetti in corso con 4 associazioni affiliate presenti nella Striscia.
LAD EDIZIONI sostiene le attività di “Gazzella” e acquistando QUI “Il racconto di Suaad” – prigioniera palestinese – (Edizioni Q con la nostra collaborazione) sosterrete i prossimi progetti di “Gazzella” per la popolazione di Gaza
La recensione di Giulia Bertotto: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-suaad_prigioniera_palestinese/46096_53689/
Fonte: lantidiplomatico.it
Al contrario di Antoine Raffoul mi auguro che una nuova Lepanto cancelli ogni traccia araba dal mondo, e non si limiti solo a metterli in fuga come nel 7 ottobre 1571.