Fine spiegato semplice.
La Corte di Londra ha emesso la sua decisione finale: Julian Assange potrà presentare appello contro l’estradizione negli USA. I giudici hanno determinato che le accuse contro il giornalista australiano sono discutibili e gli è stata data l’opportunità di presentare appello a maggio. “La Corte ha riconosciuto che Julian è a rischio di essere sottoposto alla violazione della propria libertà di espressione, di pregiudizi per la propria nazionalità e al rischio di incorrere in una sentenza di morte” ha spiegato la moglie, Stella Assange, all’uscita dal tribunale, sottolineando come sia vergognoso che sia stato comunque concesso alle autorità statunitensi di apportare “garanzie soddisfacenti” sul fatto che possa avvalersi del primo emendamento e che non sia soggetto alla pena di morte. “Questa sentenza dimostra che se lotti per la verità puoi essere perseguitato politicamente” ha dichiarato Stella, che ha sottolineato come Assange non avrebbe dovuto passare nemmeno un giorno della propria vita in carcere.
Il giornalista australiano sembrava ormai destinato ad essere trasferito entro pochi giorni negli Stati Uniti, dove avrebbe rischiato almeno 175 anni di reclusione in un carcere statunitense. Sono infatti 18 i capi d’accusa contro di lui, numerosi dei quali per violazione dell’Espionage Act, una legge federale americana risalente al 1917 volta a prevenire qualsiasi interferenza nelle attività militari dell’esercito. Per via del deteriorarsi del suo stato di salute (Julian soffre infatti di una grave condizione depressiva che, secondo i suoi legali e la moglie, Stella Moris, lo avrebbe indotto con certezza assoluta al suicidio se estradato), Assange non ha potuto presenziare alle udienze, nemmeno in video collegamento.
Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, si trova da ormai 5 anni rinchiuso nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, nel centro di Londra (dopo 8 anni trascorsi in esilio nell’ambasciata ecuadoriana), per aver rivelato al mondo alcuni tra i più vergognosi e cruenti crimini di guerra messi in atto dagli Stati Uniti e dai governi occidentali, oltre che le ipocrisie e i doppi giochi nelle relazioni politiche internazionali. I democratici e liberali governi occidentali hanno pensato bene non di punire chi quei crimini li aveva commessi, ma chi li aveva resi noti. Assange si è trovato così a rischio di essere condannato a una fine atroce (l’ipotesi più accreditata sono 175 anni di carcere in una prigione americana, con il serio pericolo di essere sottoposto a “trattamenti assimilabili alla tortura o altre forme di maltrattamenti o punizioni“, secondo l’opinione della relatrice speciale ONU sulla tortura). Per la sua liberazione si sono mobilitati in molti, dalla società civile alle istituzioni – il Parlamento australiano aveva votato con larga maggioranza una mozione che richiedeva il rilascio del giornalista e il suo ritorno in patria. Tuttavia, il suo destino rimane ancora incerto.
[di Valeria Casolaro]
Fonte: lindipendente.online