Sterminio a Gaza. La censura di Meta compie un (ulteriore) salto di qualità

Spiegato semplice

Una grande azienda che si chiama Meta e che controlla cose comee Instagram ha deciso di non permettere più che la gente scriva cose cattive usando la parola “sionista”. Alcune persone pensano che questo sia sbagliato perché non potranno più dire la loro opinione su come il governo di Israele si comporta. Altre persone pensano che sia giusto perché a volte quella parola viene usata per essere cattivi con gli ebrei. La situazione è complicata perché ci sono persone che vogliono parlare di come i palestinesi vengono trattati male, ma spesso i loro messaggi vengono nascosti o cancellati da Internet. Questo fa parte di una discussione più grande su come si dovrebbe parlare delle cose su Internet senza essere cattivi con gli altri.

Fine spiegato semplice.

di Agata Iacono

Nell’accanimento della distopia cognitiva sulla manipolazione semantica, il termine STORICO “sionismo”, che rappresenta una precisa ideologia e non è affatto sinonimo di ebraismo, sarà censurato da Meta.

È proprio dall’ideologia del “sionismo” le Comunità Ebraiche in tutto  il mondo rivendicano la loro estraneità, protestando contro il Genocidio del popolo palestinese.

Il dibattito sul termine “sionista”, all’interno di Meta, non è nuovo e ha scatenato l’allarme tra gli attivisti per ie i gruppi pro-palestinesi, secondo i quali l’approccio soffocherebbe le legittime critiche politiche al governo israeliano, alle sue forze armate e a quell’orrore quotidiano,  che anche la Corte Internazionale dell’Aia e i rappresentanti ONU e dei diritti umani definiscono uno sterminio ingiustificabile.

“Il sionismo è un’ideologia. Non è una razza”, ha dichiarato Nadim Nashif, cofondatore del gruppo pro-palestinese per i diritti digitali “7amleh”, che è stato informato dasulla revisione della sua politica. “Come ho detto loro, secondo me questo è un pendio scivoloso. Può determinare la rimozione di molti contenuti che criticano Israele e il sionismo e che fanno parte di discussioni politiche legittime”.

Da 2 giorni, nel silenzio mediatico globale, l’azienda Meta, che gestisce i social Facebook e Instagram, ma anche Messanger e Whatsapp, ha deciso che rimuoverà i post che usano il termine “sionista”, “se utilizzato insieme a metafore antisemite”. 
“La mossa fa seguito, riferisce la stessa  multinazionale, “a ciò che l’azienda descrive come un’indagine durata mesi su come il termine è stato storicamente utilizzato e su come viene usato attualmente sui social media, in particolare nello sfondo della guerra a Gaza.”

“Abbiamo stabilito che le attuali linee guida non affrontano in modo sufficiente i modi in cui le persone usano il termine ‘sionista’ online e offline”, ha affermato Meta in un post sul blog. “In futuro, rimuoveremo i contenuti che attaccano i ‘sionisti’ quando non riguardano esplicitamente il movimento politico, ma utilizzano invece stereotipi antisemiti o minacciano altri tipi di danni. La parola a volte è usata come un sostituto per le parole “ebreo” o “israeliano”, in particolare in una connotazione negativa. Meta ha affermato di aver interpellato oltre 145 storici, gruppi per i diritti civili, esperti legali e di diritti umani e sostenitori della provenienti da tutto il mondo per giungere alla sua decisione.”

Tra i termini attenzionati ci sarebbe anche l’espressione “dal fiume al mare” usata dagli attivisti pro Palestina.

Ma sappiamo tutti, purtroppo, che ogni video, ogni foto, che informa sull’uccisione di bambini, donne, anziani palestinesi viene sistematicamente censurata. Sappiamo che quei bambini non hanno diritto, sui social come su tutti i media generalisti, ad avere un volto, un nome, una dignità.
Molti canali che raccontano semplicemente la realtà  in diretta streaming, senza alcun bisogno di manipolarla, sono oscurati, non possono essere visti.

Profili sospesi, post cancellati o resi invisibili: la voce dei palestinesi e di chi si esprime su Gaza e i Territori è sempre più esposta a censura. 

“Non è una novità”, spiega Mona Shtaya, esperta di diritti online. “Intanto le stesse piattaforme non fanno nulla per limitare i discorsi d’odio di politici e coloni israeliani

Il conflitto tra israeliani e palestinesi, in questi giorni più che mai, è anche digitale e social. Profili sospesi, contenuti cancellati, fino al cosiddetto shadow ban, stanno colpendo i palestinesi o chi diffonde contenuti su Gaza e Palestina, in particolare sui social media di Meta, ovvero Facebook, Instagram, Messenger e WhatsApp. Ma non solo. Tanto che sempre più spesso si vedono post con le parole Giza, G@z@, P7l3st1nA e altri termini quasi illeggibili, usati per cercare di aggirare quello che pare proprio un tentativo di censura”.

Shtaya è ricercatrice  presso il Tahrir Institute for Middle East Policy sui diritti digitali e la censura online.

“Quella con Meta è una battaglia che va avanti da diversi anni. Tuttavia dal 7 ottobre abbiamo assistito a un aumento delle violazioni nel campo dei diritti digitali, non solo nei social di Meta, anche se sono quelli che la maggior parte dei palestinesi usa. Ci sono diverse violazioni, che principalmente vengono attuate in due modi. Il primo è la soppressione delle voci palestinesi, attraverso ladei contenuti online: così facendo, si opprime la narrativa palestinese, impedendone la diffusione nel mondo. L’altro è consentire informazioni e utilizzare in modo fuorviante l’incitamento all’odio e il discorso violento da parte degli israeliani sui social media, diffondendo gli stereotipi, in particolare dei politici di Israele, contro i palestinesi. Hanno descritto i palestinesi come “animali umani” e le piattaforme non hanno preso alcuna misura contro questo contenuto, tanto che è ancora online e viene utilizzato per disumanizzare i palestinesi.”

A maggio 2024, l’amministratore Biden aveva espressamente sollecitato le grandi aziende tecnologiche “ad aumentare gli sforzi per limitare i contenuti antisemiti sulle loro piattaforme”, ha riferito Bloomberg News.

I rappresentanti di aziende come Alphabet, Meta, Microsoft, TikTok e X si sono incontrati infatti con l’inviata speciale degli Stati Uniti Deborah Lipstadt “per monitorare e combattere l’antisemitismo”.

Lipstadt ha chiesto che ogni azienda designasse un membro del team politico per organizzare una formazione per il personale chiave “al fine di identificare l’antisemitismo e segnalare pubblicamente “le tendenze dei contenuti antiebraici”.

“Abbiamo accolto con favore questa riunione e siamo stati lieti di riunirci per condividere i fatti sui passi che TikTok compie su questo tema importante e per continuare a imparare dagli esperti presenti in sala”, ha dichiarato il portavoce di TikTok.

A quanto si apprende, X non ha ancora rilasciato nessun commento, sollecitata da Routers 

Fonte: lantidiplomatico.it

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