Le teorie cospirative più diffuse su Julian Assange, smontate una volta per tutte

Spiegato semplice

Un uomo di nome Julian Assange ha passato 14 anni in guai con la giustizia, e di questi, 5 anni in una prigione molto sicura perché ha raccontato segreti su cose brutte che alcune persone potenti stavano facendo. Alcune persone su internet stanno dicendo che Julian non è stato davvero in prigione e che fa parte di un grande piano segreto, ma queste idee non hanno molto senso. Dicono anche che Julian è stato aiutato da una famiglia ricca e che ha lavorato per loro, ma non ci sono prove di questo. Julian è molto malato perché è stato in prigione per tanto tempo e non è stato trattato bene. Alcune persone pensano che non dovremmo ascoltare Julian, ma lui ha cercato di aiutare le persone a sapere la verità su cose importanti e ha sacrificato molto della sua vita per fare questo.

Fine spiegato semplice.

Non bastano 14 anni di persecuzione giudiziaria di cui 5 trascorsi nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, per aver svelato i crimini del potere che altrimenti sarebbero rimasti nell’ombra. Evidentemente, nessuna pena è mai abbastanza per ottenere una «patente di purezza» per coloro che in questi giorni, invece di rallegrarsi per la liberazione di Julian Assange, hanno iniziato a diffamare il fondatore dicon teorie a dir poco strampalate sui social, arrivando a insinuare che l’attivista e giornalista australiano sia l’ennesimo burattino dei poteri forti e che non sia mai stato in carcere (e se c’è andato è stato un complotto). Dopotutto, per una nutrita frangia della cosiddetta area del dissenso chiunque non avalli tutte le ipotesi più bizzarre è inequivocabilmente un «gatekeeper».

Non varrebbe nemmeno la pena di consumare queste righe di inchiostro digitale, se non fosse che alcuni “influencer” e improvvisati investigatori del web hanno reso virali talisui social. Tralasciando la licenza di delirio e la loro libertà di avvelenare i pozzi che rimane sacrosanta, è bene però mostrare l’inconsistenza di tali assurdità, in modo che ognuno possa trarne la propria opinione. Per Corrado Malanga, per esempio, Assange è una «pedina del Deep State americano», fa parte di una mega cospirazione globale volta a «distruggere i rapporti tra i vari Stati europei» e, d’accordo con la CIA, si è fatto «mettere in galera dagli inglesi che comandano gli americani, in attesa di fare la parte della vittima». Non mancano le previsioni sull’imminente omicidio dell’attivista australiano da parte dei servizi segreti, in modo che non riveli questa scioccante verità. Peccato che in passato le previsioni millenaristiche dello stesso Malanga, sulla base di racconti ottenuti sotto ipnosi da presunti addotti, si fossero focalizzate con scarso successo sulla fine del mondo e sullo sbarco di massa degli alieni nel 2012. L’evento è evidentemente “fluttuato quantisticamente” e non è avvenuto.

Essendo apparso gonfio nelle immagini della sua scarcerazione, alcuni commentatori hanno invece dedotto che Assange si sarebbe ingozzato spassandosela allegramente negli ultimi anni. Chi non vorrebbe gozzovigliare e sfondarsi di apericena tre le sudice mura di Belmarsh? Si sarebbe insomma trattato di una clamorosa messinscena, in quanto il fondatore di WikiLeaks non avrebbe trascorso neppure un giorno in carcere («Voi lo avete visto in carcere?» è la domanda provocatoria, diventa mantra, che rimbalza sui social). Non è sfiorato a costoro – privi evidentemente di buonsenso – il pensiero che la detenzione, la mancanza di esercizio e di luce solare, un costante stato ansioso protratti per tutti questi anni e l’uso di farmaci possano aver minato la sua salute. Ricordiamo che Assange non era nemmeno in grado di seguire le udienze né di persona né via videoconferenza per la sua condizione fisica e mentale: nell’ottobre 2021 aveva avuto un piccolo ictus e solo qualche mese fa si era rotto una costola per una forte tosse. Ma nulla vale di fronte alla tenacia della paranoia dilagante e quantisticamente se non abbiamo assistito a un attacco ischemico o alla rottura di una costola, questi eventi non sono accaduti.

A corredo di queste fantasmagorie è stato condiviso dall’attore Sandro Torella un articolo di Jane Burgermeister del 2010 in cui con una sequenza di salti illogici e di forzature, si vorrebbe evincere che Assange sia un uomo dei Rothschild (soprassediamo sulla traduzione e sul fatto che nel titolo è persino sbagliato il nome della dinastia). L’articolo prende le mosse da un premio giornalistico che è stato effettivamente conferito nel 2008 al fondatore di WikiLeaks per la difesa della libertà di parola e la lotta contro la della censura: l’Economist New Media Award ai Freedom of Expression Awards. Burgermeister cita Kurt Nimmo, secondo cui l’Economist è di proprietà dei membri della famiglia Rothschild. Non c’era nemmeno bisogno di scomodare terzi: che la famiglia Rothschild sia azionista di minoranza della testata britannica è fatto noto a tutti, non bisogna essere dei segugi da tartufo per scoprirlo, basta andare sulla pagina di Wikipedia per averne conferma (in realtà dal 2015 la Exor, la holding della famiglia Agnelli, è diventata il primo azionista di The Economist). 

Ma l’autrice dell’articolo, dopo aver derubricato le rivelazioni di WikiLeaks a una accozzaglia di «futili pettegolezzi» (e di Collateral Murder ne vogliamo parlare?), si spinge oltre e citando come fonte il controverso sito cospirazionista Infowars (l’articolo a cui fa riferimento non è più disponibile e non possiamo godere delle sue illuminanti ricostruzioni) ci mette a conoscenza che il settimanale economico inglese è gestito «dall’Economist Group, un noto fronte della CIA». Segue una serie di affermazioni in libertà che ricostruiscono maldestramente il ruolo dell’Economist e del Financial Times con lo scandalo dell’influenza suina (e non si capisce cosa dovrebbe c’entrare Assange in tutto questo) che conducono alla seguente lapidaria affermazione: «Se Assange fosse un vero attivista, non verrebbe seguito dai media principali». Insomma, un giornalista o un attivista dovrebbe sperare di non accendere mai e poi mai i riflettori su di sé da parte del mainstream, perché altrimenti risulterebbe sospetto e automaticamente il sottobosco cospirazionista del web sarebbe legittimato a impallinarlo. Dovrebbe semmai ricevere un premio dalla bocciofila sotto casa e anche in questo caso si sarebbe spinto oltre la linea di fuoco. Peccato che Assange che è stato osannato da una parte del mainstream quando le sue inchieste facevano comodo, poi è stato di fatto scaricato dai media internazionali, come abbiamo più volte spiegato, quando la situazione si è fatta scomoda.

L’articolo inanella una sequela di assurdità (non manca neppure una false flag bancaria) e finisce per dedurre in assenza di prove che Assange è «un agente che lavora per le banche e che potrebbe addirittura essere agli ordini diretti deivisto il suo stretto legame con l’Economist». Come se non bastasse, il “crimine” di Assange sarebbe quello di aver offerto al Sistema «un’opportunità di chiudere i siti web e reindirizzare la gente ai media tradizionali». Tutto questo sulla base di due premi giornalistici. Già perché la seconda ignobile “macchia” sulla reputazione di Assange è il famigerato premio ricevuto da Amnesty International, «che lavora a stretto contatto con l’ONU, a sua volta associato al FMI» (proprio qua il triplo salto illogico dovrebbe lasciare sgomenti, Amnesty è una organizzazione non governativa e il fatto di aver collaborato con l’ONU non significa che ne sia una costola). Se nel precedente articolo avevamo osservato come a soffrire di più per la liberazione di Assange fosse una frangia nutrita (in tutti i sensi) di giornalisti, che si contorce le budella nel vedere l’affetto e la vicinanza del popolo alle sorti dell’attivista australiano, oggi dobbiamo ricrederci e ammettere con sgomento come nemmeno il cosiddetto «mondo del dissenso» sia in grado di riconoscere il valore umano e professionale di un’icona del giornalismo d’inchiesta che ha sacrificato 14 anni della sua vita a supporto della libertà di pensiero e di informazione. Ma sia per gli inquisitori digitali, sia per i settaristi, nessuno è mai abbastanza puro da non finire in odore di eresia o di qualche complotto

[di Enrica Perucchietti]

Fonte: lindipendente.online

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