Egemonia (14). Il fine ultimo del sionismo e il “nuovo antisemitismo” – Diana Carminati

Spiegato semplice

C’è una situazione molto triste e difficile in un posto chiamato Striscia di Gaza, dove le persone che vivono lì, i palestinesi, stanno avendo molti problemi perché un altro gruppo di persone, gli israeliani, vogliono prendere il loro territorio. Questo sta succedendo da molto tempo e ha causato molte sofferenze, come la distruzione delle case e la difficoltà di trovare cibo e medicine. Alcuni studiosi dicono che non è giusto chiamare questa situazione solo “Apartheid” perché è più complicata e non è ancora finita. Dicono che è simile a quando altre persone in passato hanno preso la terra e fatto del male agli abitanti originari, come è successo agli indiani d’America o agli aborigeni in Australia.

Un tempo, un gruppo di persone ebrei ha deciso di creare un posto solo per loro in Palestina, che è la terra dove vivono i palestinesi. Hanno iniziato a comprare o a prendere la terra e a costruire case e città, e non hanno permesso aidi lavorare lì. Questo piano è andato avanti per molti anni e ha causato molte lotte e problemi.

Anche se ci sono stati tentativi di fermare questa situazione, è difficile perché ci sono paesi molto potenti, come gli Stati Uniti e l’Europa, che sostengono quello che sta succedendo. Inoltre, ci sono grandi aziende che guadagnano dalla guerra e dai problemi che ci sono lì.

Infine, quando le persone cercano di dire che non è giusto quello che succede ai palestinesi, a volte vengono chiamate “antisemite”, che è una parola usata per descrivere l’odio verso gli ebrei. Ma alcuni dicono che questa parola viene usata in modo sbagliato e che in realtà la situazione è molto più complicata.

Fine spiegato semplice.

di Alessandro Bianchi

“Oggi quello che succede in modo tragico nella striscia di Gaza, sembra essere semplicemente la logica continuazione del progetto di eliminazione dei palestinesi da quel territorio, insieme allo sterminio della popolazione, sia con il metodo delle armi e dei bombardamenti a tappeto, la distruzione di case, ospedali, moschee, università, scuole, gli edifici dell’assistenza dell’UNRWA, la distruzione del territorio coltivato. Terreni che rimarranno sterili e avvelenati e contamineranno l’acqua per decenni. Sia facendo morire di fame o di malattie la popolazione restante. Questo continuerà ancora per mesi e anni. Molti fra i più abbienti fra i palestinesi, o che hanno parenti in altri paesi se ne andranno o se ne sono già andati.”

Diana Carminati con Alfredo Tradardi (scomparso nell’aprile del 2018) ha spiegato meglio di chiunque altro in Italia le origini del progetto sionista e come, nei decenni successivi, esso abbia depredato le terre palestinesi attraverso il cosiddetto colonialismo di insediamento. Memorabili sono i libri scritti insieme con Tradardi e Enrico Bartolomei,  Gaza e l’industria israeliana della violenza, DeriveApprodi (2015) – Esclusi. La globalizzazione neoliberista del colonialismo di insediamento (DeriveApprodi 2017) e da ultimo il suo “Come si liquida un popolo. La «normalizzazione» della questione palestinese” (DeriveApprodi2023).

Non è corretto parlare solo di Apartheid, come ci spiega per “Egemonia” Carminati, ma come hanno affermato alcuni accademici palestinesi (Honaida Ghanem), semmai di un regime ibrido, perché il progetto di colonialismo d’insediamento non è ancora terminato, i palestinesi non sono ancora stati del tutto eliminati, restano ancora milioni di nativi.

Ci sono casi nella storia da cui partire per fare dei paragoni, certo, in particolare i genocidi dei nativi del nord America e del sud America, degli aborigeni dell’Australia, la tratta degli schiavi africani per almeno 3 secoli – “tutti genocidi commessi dagli europei” – ma, per comprendere quello perpetrato contro il popolo palestinese, dobbiamo partire dalle origini. E questo è fondamentale per non cadere nelle trappole della propaganda che vuole relegare tutto al fatidico 7 ottobre. Dobbiamo andare alle origini per capire e Carminati ci fissa la data dove partire: 29 agosto 1897, Congresso di Basilea. “Sin dalle sue origini, il progetto sionista (con Theodor Herzl) ha avuto l’obiettivo di conquistare il territorio di Palestina per sé, perché quel territorio era sempre stato definito, nella narrazione ufficiale sionista ed ebraica, la terra promessa da Dio ad Abramo per gli ebrei (in particolare gli ebrei europei).”

Il progetto del sionismo è continuato nei decenni successivi con le prime emigrazioni dall’Europa ai primi del ‘900 attraverso due direttive che Carminati ci sintetizza così: a) la conquista di più terra possibile, anche acquistandola dai proprietari palestinesi più abbienti che abitavano in Libano o in Siria, o derubandola ai meno abbienti, una terra considerata “res nullius”, che venne poi data da lavorare agli ebrei più giovani e forti per costituire generazioni di ebrei “nuovi”; b) Estromettendo i lavoratori palestinesi dal lavoro su quelle terre. “Questo progetto d’insediamento costruito con “torri e palizzate”, anche a scopo difensivo, è continuato negli anni ’30 durante la dominazione inglese, e poi successivamente con tutti i governi israeliani che si sono susseguiti dopo la dichiarazione dello Stato ebraico, dal 1948 in poi, occupando i villaggi palestinesi, distruggendo spesso i vecchi villaggi e costruendo piccole città a imitazione europea, cioè con le case dai tetti rossi invece delle bianche case arabe con i terrazzi dove raccogliere l’acqua.” E’ continuato, prosegue nella sua esaustiva ricostruzione la studiosa, con la guerra del 1967 tra Israele, Giordania, ed Egitto, con l’inizio dell’occupazione israeliana della Cisgiordania quando vengono organizzati da subito gli insediamenti dei coloni ebrei (ora i coloni sono oltre 700.000, comprendendo anche i coloni della zona di Gerusalemme est). “Il progetto non solo intendeva estromettere la popolazione nativa palestinese ma intendeva cacciarla oltre i confini propri, se non eliminarla fisicamente. Si parla comunque ancora di progetto non concluso, poiché ci sono ancora milioni di nativi palestinesi, e anche di un sistema ibrido di Settler colonialism e Apartheid. Ma molti in occidente  preferiscono soltanto parlare di apartheid, come in Italia, sia perché non lo hanno mai studiato o non vogliono capire la logica dele il suo fine ultimo.”

Oggi quello che succede in modo tragico nella striscia di Gaza è la logica continuazione di tutto questo, ma la stampa italiana continua a inondare il dibattito di informazioni volte a creare lo spauracchio del nemico islamico. “Invece di insediamenti si parla di villaggi! E questo dopo anni di aggressioni dell’IDF contro i palestinesi, uccisioni in Cisgiordania, di attacchi contro la popolazione della striscia di Gaza.” Tutta la propaganda filosionista dominante nei media corporativi italiani, del resto, può essere sintetizzata così: non è un massacro contro il popolo palestinese, ma un’azione di ritorsione contro i “terroristi” diche tengono loro in ostaggio la popolazione. La risposta che riceviamo da Diana Carminati ci aiuta, come mai in passato, a trovare le giuste direttive e coordinate. “Come ha spiegato bene la studiosa Paola Caridi nel suo libro Hamas, ma anche la studiosa americana Sara Roy (Hamas and Civil Society in Gaza. Engaging the Islamic Social Sector, Princeton UP 2011), il movimento islamico Hamas, è una filiazione del Movimento islamico dei Fratelli musulmani, originario dall’Egitto, che ha iniziato a lavorare in Cisgiordania nei primi anni ’80, come gruppo che inizialmente ha lavorato molto nel settore sociale, nei villaggi con opere di assistenza alimentare alla popolazione più povera e negli ospedali e nelle scuole primarie. Certo ha anche fatto opera di proselitismo religioso per il proprio gruppo di ispirazione sunnita. Dopo gli accordi di Oslo del 1993 si è formato al suo interno anche un gruppo militare che ha operato in territorio israeliano, in particolare nei primi anni 2000, dopo le provocazione di Sharon sulla spianata della moschea di Al Aqsa, con attacchi militari e attacchi suicidi contro la popolazione israeliana. Si deve anche aggiungere che insieme al gruppo di Hamas, hanno operato e operano come movimenti di liberazione per la Palestina anche il gruppo del Jihad islamico, il Fronte popolare di Liberazione della Palestina, il Fronte democratico di Liberazione della Palestina e altri piccoli gruppi dei Comitati popolari. Non so se per l’ONU tutti questi gruppi siano ‘leciti’ o no, si dovrebbero vedere i documenti dell’ONU su questo. Credo che in ogni caso essi siano movimenti di liberazione come lo sono stati molti altri movimenti di liberazione dall’occupazione coloniale, come in Vietnam, in Algeria, in Irlanda, in Sud Africa.”

Il diritto di resistenza del popolo palestinese e delle sue organizzazioni si scontra inevitabilmente con la disparità delle forze in campo, il sostegno diretto al massacro da parte di Stati Uniti e Unione Europea (l’export di armi italiani ad Israele è prolifico anche dopo il 7 ottobre) e l’ignavia del mondo arabo. E quindi quali strumenti ci sono oggi per impedire che il piano finale deldi insediamento abbia successo? Cosa fare materialmente? “Non saprei poiché si sono superati tutti i limiti delle possibilità di ingerenza degli organismi predisposti e non è successo nulla. Anche per il veto non solo degli USA ma anche di altri veti più invisibili, quelli dei maggiori gruppi finanziari del mondo globalizzato, che hanno i loro maggiori interessi in una economia di guerra continua e che si prolunga ormai da di più di 30 anni (v. Il gruppo finanziario (The Hudson Institute) che nel 2000 decise per una economia di guerra di lungo periodo, in questi decenni (PNAC. Project for a New American Century). Quello che è diventato il maggior complesso economico-industriale. Ed è oggi la maggiore risorsa della globalizzazione. Oggi i maggiori gruppi sono Black Rock e Vanguard. Proprio perché ormai siamo immersi in una economia di guerra, di rapina e sfruttamento delle risorse a livello mondiale, di distruzione di interi territori e della popolazione ivi residente  e oppressa e spesso in via di eliminazione, in un mondo globalizzato, non riesco a vedere possibilità di comparazione con le situazioni del passato.”

Avevamo chiesto a Carminati un commento a conclusione dell’intervista su un tema che consideriamo decisivo: l’utilizzo da parte dei media dell’etichetta di “antisemitismo” per annullare ogni forma di dissenso contro i crimini dello stato di Israele. E lo avevamo fatto partendo da un articolo pubblicato sul Time dal Prof. Feldman che allargava a dismisura il raggio di azione. La risposta che abbiamo ricevuto è un’autentica gemma rivelatrice, che è andata oltre ogni nostra aspettativa. Ve la proponiamo nella sua interezza in calce. Buona lettura.

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Commento sull’articolo di Noah Feldman, su Time Magazine, riguardo alla definizione di Nuovo Antisemitismo, February 27, 2024

Diana Carminati, marzo 2024

L’articolo di Feldman sul mensile Time Magazine del 27 febbraio 2024, sul tema del nuovoha riproposto alcune riflessioni. Nel testo di riferimento sul Time l’autore esprime il consueto vittimismo congeniale nella loro auto-descrizione, cioè che gli Ebrei sono stati sempre considerati come esempio di un dato gruppo con le peggiori caratteristiche dell’ordine sociale nel quale essi vivono [in particolare e forse solo in Europa], in Occidente, molto meno nel mondo arabo. Certo erano la più importante minoranza del mondo cristiano. In Europa, venivano considerati come l’Altro da negare (v. Orientalismo di E. Said). Ma anche da temere, sia perché visti come ‘intrappolati’in vecchi ruoli religiosi. Sia perché temuti, già dal XIX secolo come gruppo fra i maggiori finanziatori ed “esattori” di tributi in Europa. Secondo lo stesso Feldman, il “nuovo antisemitismo riflette le preoccupazioni del momento. Esso è  proteiforme, capace di cambiare forma. Capace di reinventare sé stesso in molteplici forme, ma recuperando talora alcuni dei tropi ricorrenti antichi e creandone di nuovi, secondo le circostanze del tempo attuale“.

In Europa in particolare a partire dagli anni ‘80 dello scorso secolo era emerso quanto fosse entrata in profondità la consapevolezza degli europei e il loro senso di colpa sul tema dell’Olocausto, certo immerso in una narrazione riflesso di nuovi studi sulle atrocità dei campi di concentramento nazifascisti. L’Olocausto venne definito in un secondo tempo (anni’90-2000)) come la  Shoah ebraica, come se soltanto il popolo ebraico ne fosse stato vittima.  Mentre ne furono vittime popolazioni rom, prigionieri russi, antifascisti e persone mentalmente fragili perciò ritenute inutili. Soltanto negli anni ’90 con l’emergere prepotente della questione palestinese emerse anche, almeno in quella generazione, l’esigenza di riconoscere la questione ebraica e quindi di capire il tema dell’antisemitismo in termini più precisi. Sebbene poi nella narrazione ufficiale il termine antisemitismo rimase ed è ancora legato a una narrazione impropria. La classica ma erronea definizione e narrazione di antisemitismo  che attraversa  un secolo e mezzo e che non è mai stata smentita appare soltanto come odio verso il popolo ebraico.

L’odio verso l’Altro, o la paura dell’Altro, in questo caso l’ebreo, appare nell’Europa nei secoli fin dal medioevo, almeno dal 1400, esso appare in Europa dove l’ebreo è definito con uno stigma negativo, come l’Altro, da guardare con diffidenza e con disprezzo. Dapprima in Spagna con la cacciata degli ebrei e con gli Statuti per la limpieza de sangre. Ma il percorso storico è lungo e molto complesso, variegato nelle sue differenze sociali, dai grandi banchieri del 1500 sino ai poveri contadini negli shtetl polacchi.

Emerge un problema di definizione esatta per il termine di antisemitismo. Che pochi conoscono. Come riferisce lo studioso Joseph Massad, palestinese di Giordania  (in La persistence de la question palestinienne, La fabrique, Paris, 2009), la categoria di popoli semitici e in linguistica di lingue semitiche, lingue parlate dagli abitanti dei territori mediorientali,  è un’invenzione operata dai filologi europei a fine XVIII secolo;  in seguito a metà ‘800 essa viene riproposta in termini razziali con studiosi europei come lo storico e orientalista francese Ernest Renan, che ponevano in primo  piano il discorso della nazione e del nazionalismo, come categoria razziale: e dal giornalista Wilhelm Marr, che coniò il termine antisemitismo, nel 1879. Il termine semita in quella definizione diventò una categoria subordinata alla categoria di ariano. Con la invenzione del semita ne deriva l’atto di nascita dell’antisemita, si inventa l’altro. Esiste una cronologia concettuale? Cioè viene prima il semitismo prima dell’antisemitismo? ma non sono tutte e due operazioni d’invenzione e per di più invenzioni che si trasformano in una distinzione razziale? Ebrei (e Arabi) e dall’altra parte l’Ariano?

Ma lasciamo ora la questione storica e politica e seguiamo il percorso che propone il sociologo/antropologo Joseph Massad che a sua volta ripensa alle riflessioni di Edward Said nei suoi studi sull’Orientalismo [inteso come razzismo occidentale contro il mondo e i popoli orientali, v. E. W. Said, Orientalism. Western Representations of the Orient, Pantheon Books, New York 1978; trad. it. di S. Gallo, Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino 1991, poi Feltrinelli, Milano 1999)].

Scrive Said: “mi sono trovato a scrivere di un “compagno segreto” e misterioso dell’antisemitismo occidentale. Che l’antisemitismo […] e ‘orientalismo’ si assomiglino strettamente è una verità storica, culturale e politica”.  Aggiunge Massad: “L’evocazione da parte di Said dell’antisemitismo come un “compagno segreto” dell’Orientalismo è molto significativa (l’espressione ripresa da Joseph Conrad, nel suo celebre racconto [Conrad, The Secret Sharer, editions of Harper’s Magazine, 1910; trad. ital. ll compagno segreto, trad. di Marilia Ciampi Righetti, Einaudi Scuola, 1995.

Conrad identifica questo “compagno segreto” come un altro “sé stesso”, “il mio altro me, o come dice Said, uno specchio di me stesso. L’Orientale e il Semita, l’orientalista e l’antisemita, orientalismo e antisemitismo sono uno per l’altro, un altro sé stesso, un doppio un riflesso in uno specchio” (Massad, p. 48-49).  Massad si addentra nella profondità delle riflessioni di altri studiosi: ma l’arabo e l’ebreo sono sempre esistiti ancora prima del semita e dell’antisemita. Ma il sionismo aveva l’esigenza che gli ebrei del XX secolo fossero ebrei moderni, fossero più simili ai “bianchi” e fosse loro tolto il marchio dell’alterità. Andando in Palestina, la terra degli antichi ebrei i nuovi ebrei, apprendono nuovi mestieri, ad essere forti, diventano agricoltori, una nuova elite sociale; perdono le caratteristiche ‘semite’, tendono ad assimilare (oppure anche) mantenere alcune caratteristiche europee, ripudiando il semita (al loro interno) ma anche nel loro esterno, l’orientale arabo “elaborato dall’Orientalismo” (M. 61).  Diventano sempre più assimilabili alla cultura occidentale, diventano così anche loro antisemiti? (cfr. Freud, Mosé e il monoteismo, scritto tra 1934-38, (ed. it. 2017).  Dopo il 1948 e dopo il 1967 è l’Arabo che acquisisce per l’Orientalista, divenuto Antisemita,  le caratteristiche più razzialmente semite.

Ma torniamo al problema dell’antisemitismo oggi visto dagli ebrei europei ma anche dagli ebrei americani, in ogni caso divenuti occidentali.

 “Antisemitism has managed to reinvent itself multiple times throughout history, each time keeping some of the old tropes around, while simultaneously creating new ones adapted to present circumstances”.  

La denuncia dell’antisemitismo ha sempre un suo focus dominante: esso viene adottato contro un gruppo, e rivela un odio particolare nei confronti del gruppo rappresentato dagli ebrei che vivono in Europa. Ma c’è un particolare importante da sottolineare: chi sostiene maggiormente questa critica è rappresentato solo da una parte del mondo ebraico (e solo in parte dal gruppo religioso ortodosso) ma da chi in particolare appartiene al movimento sionista, che da oltre 150 anni ha organizzato a livello politico e laico la sua battaglia per uno Stato degli ebrei nel mondo,  che ne trascrive la storia e una sua narrazione ufficiale e che poi presenta,  ne fa partecipe il mondo europeo occidentale, i suoi governi e le principali istituzioni, chiedendo in particolare dopo il 1945,  il riconoscimento di una loro superiorità morale (dovuta alla Shoah) e quindi uno Stato proprio per il popolo ebraico.

Il movimento sionista ha cercato di modellarsi, “metamorfizzarsi” come europei, per un intero secolo per divenire parte, ma comunque parte separata, seppure integrante dell’Europa. “Quando i popoli d’Europa divennero nazioni a sé stanti – scrive Massad –  gli ebrei europei divennero “uno Stato dentro lo Stato”. Continua Massad: “Gli ebrei europei nel ‘900 hanno sempre cercato di avere un’immagine di europei moderni  per eliminare il marchio dell’alterità.  Ma i cristiani non hanno mai loro permesso di farlo in Europa,… per divenire europei essi dovevano abbandonare l’Europa e andare in Palestina … e alterizzare l’altro: per ciò si doveva produrre la metamorfosi  della Palestina  in terra degli antichi israeliti per ricostruirla infine in terra degli ebrei moderni, la soluzione più evidente per il sionismo fu che la Palestina divenisse lo Stato degli ebrei,  come prima barriera difensiva “la sentinella avanzata” contro il mondo arabo.

Scrive Massad: nella prima metà del secolo XX l’antisemitismo si focalizza sulla figura dell’Ebreo mentre sul doppio, l’orientalismo coloniale è centrato  sull’Arabo e il musulmano, spesso amalgamato per formare il semita. Dopo la guerra e la fine del colonialismo entrambi scompaiono per breve tempo ma Antisemitismo e Orientalismo risorgono e hanno come oggetto principale semitico e razzializzato l’Arabo e il musulmano che diventano un insieme in questa economia razziale. Si rafforzano poi dopo il 1967 e il 1973, dopo l’embargo del petrolio. I musulmani vengono rappresentati con i tratti “semitici”  caratteristici. Viene citato Said: “l’animosità antisemita popolare è passata senza incontrare ostacoli dall’ebreo all’arabo”. L’arabo diventa il perturbatore dell’esistenza d’Israele e dell’ Occidente. “ L’arabo è in tal modo concepito da quel momento come un’ombra che segue l’ebreo” un ombra che viene sempre vista con diffidenza dall’Orientalista occidentale nei confronti dell’Oriente. Mentre l’ebreo odierno diviene un eroe, ricostruito come orientalista-avventuriere-pioniere.”

Massad aggiunge infine: ”il sionismo si è accanito durante un secolo per trasformare l’ebreo in ‘orientalista’ cioè antisemita e integrarsi in questo modo in Europa. La sua persistenza a opprimere i palestinesi è precisamente la persistenza di reprimere l’ebreo interiore”.

Come capire il mondo ebraico oggi con i suoi legami tra religiosità e laicismo sionista, cioè capire perché essi siano sempre stati ritenuti, ma anche temuti, come gruppo estraneo al mondo europeo in cui vivevano e con il quale convivevano e ancora convivono? Temuti anche da istituzioni laiche e semplici cittadini nel mondo occidentale poiché la loro élite fa parte di quel capitalismo neoliberista che domina il mondo.

Come possono convivere sia l’orientalista, cioè l’antisemita odierno e insieme con il suo compagno segreto, la sua parte intima, l’ebreo del loro vissuto ancestrale? Come ne scrive lo studioso Israel Shahak in Jewish History, Jewish Religion, The Weight of Three Thousand Years, Pluto Press 2008;  ma  v. anche gli studi di Amnon  Raz Krakotzin, docente all’Università di Bersheba,  (Exil et souveraineté,  La fabrique ed., 2007. ).

Aggiunge Massad: “L’impegno antisemita americano ed europeo [contro una parte del mondo orientale]  a sostenere gli ebrei in Israele sono al centro della questione palestinese,  la persistenza della questione palestinese è dunque la persistenza della questione ebraica. L’una e l’altra possono essere risolte soltanto con il rifiuto dell’antisemitismo [nel suo significato di orientalismo, cioè razzismo] che affligge una grande dell’Europa e dell’America e mobilita il proprio odio, sia riguardo agli Ebrei ebrei [cioè non ancora assimilati]  sia riguardo ai palestinesi.

 E ancora:”Oggi in quanto arabi e musulmani, i palestinesi sono diventati la quintessenza del Semita. Dimenticando semitismo, orientalismo, sionismo e avendo un desiderio urgente di ricordarci che l’antisemitismo, l’abramitico [che comprende le sue tre componenti religiose monoteiste] serve nuovamente come argomentazione secondo la quale il Semita deve confrontarsi con l’antisemitismo,  non con il semitismo. Che l’arianesimo e il semitismo non possano esistere che come elementi dello stesso discorso di supremazia razziale europea, ciò che l’abramitico dimentica a proprio rischio e pericolo, è proprio quello che dimostra che la questione ebraica e palestinese non sono mai state distinte dalla questione ariana e semitica.

Per questo la lezione che Said voleva trasmettere alla memoria palestinese è semplice: “per dimenticare il semitismo, per dimenticare i Semiti, dobbiamo sempre ricordarcene.”

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COLLABORAZIONE LAD EDIZIONI – EDIZIONI Q: Il racconto di Suaad – Prigioniera palestinese

Acquistando il libro dal sito di LAD Edizioni al prezzo di 20 euro sosterrete l’Associazione Gazzella (www.gazzella-onlus.com) impegnata nell’assistenza e nella cura di bambini palestinesi feriti da armi di guerra, principalmente a Gaza.

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EGEMONIA: INDICE

Nasce “Egemonia” di Alessandro Bianchi

“Egemonia” (1). I responsabili del massacro a Gaza: quale ruolo per la diplomazia e il diritto internazionale? – Alberto Bradanini

“Egemonia” (2). “L’Afghanistan dei talebani: quello che non vi raccontano” – Pino Arlacchi

“Egemonia” (3). Gaza e non solo: “L’Italia della Meloni ultima pedina del carro” – Elena Basile

Egemonia (4). Dove è finita la classe dirigente europea? – Alberto Bradanini

Egemonia (5). Linea rossa Taiwan – Laura Ruggeri

Egemonia (6). Hamas e le menzogne su Gaza – Patrizia Cecconi (PRIMA PARTE)

Egemonia (7). Hamas, il 7 ottobre e la profezia dello sceicco Yassin – Patrizia Cecconi (SECONDA PARTE)

Egemonia (8). Come il neoliberismo si è impossessato delle nostre menti – Ernesto Limia DíazE

Egemonia (9). Il genocidio a Gaza e il collasso della propaganda occidentale – Patrick Lawrence

Egemonia (10). Denazificazione e Memoria storica – Vito Petrocelli

Egemonia (11). “Politici ai domiciliari” e subalternità ad Israele – Alberto Negri

Egemonia (12). L’inquietante accordo militare con Kiev: rischi e scenari – Generale Fabio Mini

Egemonia (13). Saccheggio dell’Africa: destra e sinistra al servizio della NATO – Michelangelo Severgnini

 

Fonte: lantidiplomatico.it

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