Fine spiegato semplice.
Di Marika Martina, Luca V., Federico Degg, Konrad Nobile e Adam Bark per ComeDonChisciotte.org
L’Italia è un paese in continua evoluzione, in cui il cambiamento si fa sempre più evidente nel corso degli anni. Ma come è cambiata davvero l’Italia negli ultimi decenni? Stiamo meglio o peggio rispetto al passato?
Per rispondere a queste domande, abbiamo intervistato persone di diverse età e con percorsi lavorativi differenti, per comprendere le varie prospettive e opinioni su come il nostro Paese si sia trasformato nel tempo.
Sfogliando le pagine di questa inchiesta, cercheremo di fare luce sull’opinione della gente vera, non quella delle spunte blu di Instagram, non quella della cronaca rosa dei quotidiani né quella che vive di retweet di X, bensì quella che lavora per vivere, quella di cui si parla solo con percentuali, quella che naviga pensando ad arrivare a fine giornata.
Chi siamo? Un gruppo di ragazzi che crede fermamente nell’importanza della parola e del dialogo. Siamo spinti dalla speranza in una società con altri valori, i valori della vita, con altri sogni rispetto a quelli di una macchina costosa, di un avanzamento di carriera, di una vacanza ai tropici.
Scriviamo per ComeDonChisciotte per conoscere, informare e scovare quanti altri vedono il mondo cadere a pezzi, ma si buttano a capofitto nella fine.
In questa prima parte delle nostre interviste (la seconda uscirà tra non molto in una prossima pubblicazione), ci troviamo a fare i conti con le risposte di un pugno di ragazzi e ragazze tra i 20 e i 35 anni (Florjan, Ester, Alessia, Raul e Ivana): quella parte di società che erroneamente viene ritenuta “i giovani del domani”.
Noi pensiamo siano più gli uomini e le donne dell’oggi, quelli che, come i nostri intervistati, lavorano, lavorano per mantenersi agli studi, lavorano seguendo le loro passioni.
Come dice Florjan (31 anni, violinista professionista) “La critica che muovo è sicuramente che il tempo investito non è proporzionato al guadagno. In altri tempi la musica classica in un Paese dell’opera lirica come l’Italia veniva molto più apprezzata, anche se si parla delle paghe dei violinisti di fila.”
Sono ragazzi che ci rispondono ma anche che si interrogano sul loro oggi e sull’oggi dei loro coetanei del passato, giudicando così le attuali prospettive lavorative e le condizioni lavorative ormai perdute.
Ci dice Alessia (studentessa e lavoratrice di 20 anni) che “ [le condizioni sono] peggiorate in tutti gli aspetti possibili, a livello sia di offerte che di condizioni sul lavoro” mentre Ivana (23 anni, studentessa) vede il mondo in una luce diametralmente differente affermando che le condizioni di vita e lavoro “Oggi sono decisamente migliori rispetto al passato”. Una risposta più articolata ce l’ha data Raul (docente di 29 anni): “Considerando che mio padre lavorando come camionista in quindici anni ha costruito una villa con giardino portando a casa più di tremila euro al mese e oggi io dovrei fare un mutuo di trent’anni per un appartamento, penso proprio che le possibilità per tutti siano diminuite. Contando anche che mia madre non lavorava ma si occupava di noi tre fratelli, mentre oggi la mia ragazza lavora. Siamo fortunati perché rispetto a molti altri almeno abbiamo entrambi uno stipendio e molto tempo libero. Tuttavia, siamo entrambi precari, quindi le banche neanche ce lo darebbero un mutuo…”.
Come si trovano i nostri intervistati sul posto di lavoro? Riescono a lavorare per vivere o si stanno domandando se forse, in questo oggi, si vive per lavorare? Le loro risposte sono variegate, come variegate appaiono le nostre città, in un mare di proposte e possibilità che, talvolta, proprio a causa del loro immenso numero, ci rendono prigionieri di un loop fatto di continue scelte, senza darci la pace necessaria per farci rendere conto che scegliere ogni dettaglio della vita è l’antitesi della vita stessa.
Florjan (31 anni), nonostante lo scarso guadagno derivato dal suo lavoro di musicista, si tiene ben stretta la sua passione per la musica classica, non rinunciando all’idea che si possa fare della propria passione il proprio lavoro:
“Io ho scelto la musica classica perché mi riempie di passione suonarla, molto di più della musica pop che va di questi tempi. Il lavoro di musicista oggi non è facile, ci vuole tanto investimento. Però dona grandi passioni. Non lavoro per vivere ma vivo per lavorare, faccio il più possibile e non mi sento appesantito.”
Anche per Ester (30 anni, libera professionista), sebbene più pragmatica, vale lo stesso e, per il momento, è in grado di dare il giusto spazio anche alle sue passioni senza perdere di vista il fatto che è sempre necessario fare un po’ di sacrificio per raggiungere i propri obiettivi: “La libera professione consente la libertà di giocarsi più carte e potersi muovere liberamente nel mondo del lavoro. Penso che il mio percorso lavorativo si stia muovendo in armonia con quello che sento di voler fare, o meglio, è una ricerca continua in viaggio verso una direzione a me sempre più affine”. E continua: “come tutti i percorsi, non sempre è facile, i sentieri per raggiungere una meta possono essere un po’ più travagliati e faticosi in certi momenti, nebbiosi in altri, e soleggiati in altri ancora.. e molto dipende dal singolo. Per quanto riguarda le scelte, cosa dire.. sicuramente si deve fare i conti con la realtà, quindi non tutto dipende da noi, d’altro canto occorre anche crearsi le occasioni e prendere le redini del proprio cammino senza lasciarle in totale balia dell’esterno”.
Anche per Ivana (23 anni) il sacrificio sul lavoro è una possibilità, ma non se diventa sfruttamento: “Sacrifici sì (ad esempio risparmiare, rinunciare a viaggi), essere sfruttata nel lavoro no (per esempio sottopagata o svolgere mansioni non previste dal contratto).” E lo stesso vale per Ester (30 anni) che ritiene fondamentale il giusto riconoscimento del lavoro svolto “Non sono mai stata una persona avara e ho avuto difficoltà a far capire, anche a me stessa, il valore del mio lavoro. Con l’esperienza si impara a riconoscere questo valore, e penso sia importante che il lavoro fatto venga riconosciuto e ripagato.”
Sul luogo di lavoro le cose si fanno più complesse e Alessia (20 anni) dice: “Fai conto che prima avevo sempre lavorato con mia mamma in un modo o nell’altro; quindi, il clima era comunque abbastanza familiare. Nell’impiego precedente si era creato un clima bellissimo, eravamo una squadra ed anche un po’ una piccola famiglia. Ora mi trovo in una nuova realtà: in questo nuovo il clima è un po’ diverso, ci sono delle persone che approfittano della loro posizione e che non sanno cosa vuol dire venirti incontro.” E le passioni? Il tempo libero? Alessia è una ragazza che si da da fare, anche rinunciando ad un’estate senza pensieri come quella di tanti giovani della sua età: “questo tipo di impieghi li scelgo nel periodo estivo proprio perché è un momento in cui posso “concedermi” di mandare tutti e tutto a quel paese per pensare solo a lavorare, a farmi un po’ di soldi. Lavorando 60/65 ore settimanali, il tempo per fare altro oltre a dormire e riposare un attimo le gambe è veramente poco, vedere gli amici è fuori discussione”.
Raul (29 anni) è più categorico e sul posto di lavoro dice di non sentirsi sereno e questo perché “c’è tanta competizione tra colleghi, soprattutto per apparire nei confronti del dirigente e della comunità del paese. Da quando faccio questo mestiere, negli istituti in cui sono stato ho sempre ritrovato lo stesso clima, pare sia una costante nel mondo della scuola, soprattutto tra colleghe donne.”
Fortunatamente il lavoro che svolge gli permette di avere molto tempo libero da dedicare a passioni, fidanzata e famiglia tanto da affermare che “Se potessi scegliere senza necessità fondamentali da tenere in considerazione, sceglierei comunque questo lavoro perchè lo faccio con passione.”
Alessia (20 anni) ci parla anche dei suoi sogni, del desiderio di avere una famiglia, mettendo in luce il fatto che ciò sia al primo posto: “ Faccio parte di quel tipo di persone che ama l’idea di avere figli, anche in età giovane, e che sarebbe pronta a sacrificare la propria carriera per averne. L’idea di creare una famiglia va al di sopra di qualunque gratificazione che mi potrebbe dare un lavoro. Per quanto possa capire che per alcune persone è veramente importante, non è la stessa cosa per me”. Ed è lo stesso per Raul (29 anni): “Penso che sia stata la mia educazione familiare e sportiva ad avermi insegnato il senso del sacrificio: sono disposto a mettere da parte le mie ambizioni di vita lavorativa per la famiglia che spero di avere.” Per Ivana (23 anni) invece è esattamente l’opposto: “Assolutamente no. Fare famiglia non è in cima alle mie priorità”.
Entriamo nel vivo del lavoro: lo stipendio medio basta per condurre una vita dignitosa? Che sia il lavoro della vita e della realizzazione delle proprie passioni o un lavoro temporaneo, i nostri intervistati riescono ad arrivare a fine mese senza farsi troppi conti in tasca? Florjan (31 anni) nel difficile campo della musica ci dice:
“Beh, bisogna sopravvivere in qualche modo. Ogni bravo musicista potrebbe vivere in uno stato economico decente bisogna dire che però agli inizi devi accontentarti. Per iniziare a guadagnare devi prima farti un’immagine grazie alla quale poi avrai il lavoro necessario per sopravvivere ma in tanti casi non è niente di eclatante.”
Per quanto riguarda la formazione universitaria, sono interessanti le parole di Ester (30 anni), secondo la quale il mondo del lavoro e dell’università sono realtà agli antipodi: “Probabilmente la situazione cambia a seconda della tipologia dell’impiego ma, per quanto ho potuto finora osservare, il mondo dello studio (in particolare mi riferisco alla sfera universitaria) e il mondo del lavoro sembrano spesso due mondi distinti. Ora non so come – e se – la formazione stia cambiando, ma potrei dire che l’istruzione manca talvolta di quella concretezza che serve per vivere nel mondo del lavoro. Certamente poi l’esperienza arricchisce, ma sarebbe utile una maggiore integrazione tra il mondo “ideale” dello studio e il mondo “reale” del lavoro”. I veri segreti del mestiere rimangono evidentemente appannaggio del lavoro vero e proprio, rimanendo fuori dalle aule accademiche anche di quelle facoltà che si presentano come tecniche e iper specializzanti: alla fine il lavoro lo impari facendo.
Alessia (20 anni) esce invece dalle competenze tanto decantate oggi per parlare di una conoscenza scolastica che esiste come valore sociale: “L’istruzione a mio avviso è la formazione pratico/teorica che la scuola dovrebbe fornire, in modo da creare persone abili non solo nel pratico quotidiano, ma anche dotate di conoscenze che vanno oltre all’uso effettivo di ogni giorno. Il fine ultimo dovrebbe essere insegnare cose utili, ma anche rendere le persone consapevoli, consapevoli del proprio essere, ma anche di ciò che li circonda.”
Chi non si è ancora scontrato con il mondo del lavoro, invece, è Ivana (23 anni) che le speranze sulla sua formazione ce le ha ancora: “avendo frequentato prima dell’università un istituto tecnico (a indirizzo turistico) ho studiato materie pratiche quali economia e diritto; dal punto di vista delle lingue straniere invece ho delle lacune in letteratura che probabilmente uno studente di liceo non possiede. Per quanto riguarda la lingua in sé credo di avere buone basi in circa tre lingue che permettono di gestire una situazione quotidiana o una conversazione all’estero”. Tanto che si aspetta di poter trovare un buon lavoro nell’arco di 4 o 5 anni dalla fine dell’università.
Raul (29 anni), insegnante precario con contratto da settembre a giugno, in modo risoluto, dopo 4 anni di lavoro afferma che non ritiene utile la sua formazione universitaria perché “pur essendo laureato in scienze motorie, insegno da 4 anni e mai nessuno mi ha nè insegnato nè valutato la preparazione ai fini didattici: sapere qualcosa e saperlo insegnare non è la stessa cosa. Non la ritengo nemmeno di grande utilità perché le cose che uso per insegnare la mia materia le ho imparate coltivando le mie passioni sportive e non traendole dai libri di testo universitari”.
Approdando alla spinosa questione delle retribuzioni Ester, da libera professionista, ci narra che si trova a fare i conti con una pressione fiscale non indifferente, che si fa sentire anche in termini burocratici, anche se attualmente rivela di essere soddisfatta delle proprie entrate: “Purtroppo devo constatare che, e così penso in tutte le attività lavorative, la burocrazia sta acquisendo sempre più terreno! E mi vien da dire che, eccezion fatta per i lavori che già di per sé sono lavori burocratici, toglie l’anima alla professione, inaridisce la bellezza delle singole realtà professionali.”
Raul (29 anni), che cominciò a lavorare a ben 15 anni come barista, fa un’analisi pensando anche a prospettive future: “la mia retribuzione è onesta ma penso anche che sia adeguata alla vita che conduco in questo momento con la mia ragazza che peraltro fa il mio stesso lavoro. Forse per comprare casa e avere una famiglia, con gli attuali costi di mutuo o affitto e spese siamo un po’ al limite”. Per ora non si sente con l’acqua alla gola e pur affermando che il costo della vita è aumentato si sente fortunato “perchè per la vita che conduco i soldi che mi trovavo e mi trovo ad avere a fine mese, mi sono sempre bastati; anche in relazione alle esigenze mutate nel corso degli anni da quando avevo 15 anni”.
Per Alessia (20 anni), che lavora d’estate da quando ha 16 anni per pagarsi il necessario negli altri mesi dell’anno (tra cui l’università), nonostante i sacrifici non vive per i soldi: “I soldi sono importanti, vitali per certi aspetti, ma non sono tutto nella vita. Come riusciresti a comprarti le cose da mangiare o a far fronte alle necessità che ognuno di noi ha? Nella mia vita i soldi servono per le spese universitarie e di vita, ma onestamente ne sto utilizzando tanti anche in maniera che alcuni potrebbero definire come poco “prudente”. Onestamente, non ho problemi a concedermi capricci ed esperienze come concerti o viaggi, anche se forse dovrei pensare un po’ a risparmiare. Attualmente non ho problemi a “rischiarmela” un po’ se c’è qualcosa che voglio sul serio, non perché possa “appoggiarmi su qualcuno”, ma più che altro sono pronta a rinunciare a qualcos’altro piuttosto che prendere la cosa che davvero voglio ora. Diciamo che, alla fine della fiera, non voglio essere la più ricca del.. cimitero. Anche se il costo della vita è aumentato moltissimo ed è sempre più evidente, di giorno in giorno, che la paga è rimasta la stessa”. Nonostante tutto “se dovessi pensare a dove vorrei vivere non mi verrebbe in mente niente di migliore. Sceglierei comunque l’Italia.”
Considerando l’età pensionistica, sempre la nostra Alessia: “Ritengo che nonostante la vita delle persone si sia allungata, il corpo risente comunque dell’età. Un uomo di 60 anni non è la stessa cosa di uno di 30 e credo sia innegabile”. Dei distinguo vengono fatti da Ivana (23 anni): “Ora siamo veramente al limite, penso che comunque ci siano lavori che permettono all’anziano di lavorare ancora. Per esempio, c’è chi a 72 anni lavora ancora come professore, ma a quell’età sarebbe impensabile fare il postino. Quindi dipende, ma sono più verso il no”; mentre sul rapporto col denaro si rivela più dura di Alessia affermando che “onestamente, senza soldi di questi tempi non vai da nessuna parte. Non fanno la felicità però risolvono parecchi problemi. Banalmente, mi piacerebbe andare a fare la spesa, pagare l’affitto e investire sulla salute senza calcolare ogni centesimo perché ho paura di non coprire la spesa successiva.”
Se le condizioni sono differenti, non mancano sogni e speranze. E la politica cosa rappresenta? Come ci dice Ivana (23 anni): “Ho smesso di interessarmi alla politica italiana dagli aumenti del carburante e dal governo Meloni. Sulle politiche dello Stato italiano in questi campi ho un’opinione molto bassa e attualmente critica”.
Alle prese con uno Stato che rema contro il benessere, che aumenta tasse e costi per una vita dignitosa, una tecnologia in rapida diffusione, la pesante assenza dei sindacati (se non la loro complicità con il potere), i nostri intervistati ci parlano del futuro, rivelandoci speranze e paure con cui si trovano a fare i conti. Come sempre, troveremo ottimisti e pessimisti, ma tutti concordi sulla necessità di doversi tirare su le maniche.
Florjan (31 anni) è ottimista e ci dice che “nonostante tutto, tante persone danno la possibilità ai propri figli di studiare musica. La musica classica piace ancora, quindi vedo un grande incentivo, non dalle istituzioni pubbliche, ma più dai privati che promuovono questo tipo di musica, che ha un significato più profondo di quella che sentiamo ogni giorno in radio”. Florjan non si dimentica di puntare il dito su chi potrebbe, se volesse, fare la differenza:
“Sicuramente c’è grandissima mancanza di istituzioni statali dove viene formato il musicista come in altri stati. Qui è tutto in mano ai privati e ciò preclude lo studio e di conseguenza il lavoro ai figli di famiglie senza disponibilità economiche. Purtroppo, resta un lavoro accessibile a pochi, un lusso si direbbe. Un maggiore investimento creerebbe sicuramente posti di lavoro, ma lo Stato spende pochissimo per la tutela della cultura musicale. Scelgono di spenderli in modi più “crudeli”: per le cose inumane come la guerra e l’esercito, ci saranno sempre fondi. Il costo di un missile balistico lanciato può pagare lo stipendio di un’orchestra di 40 persone per un anno, se non di più. Questo dice tutto su quanto poco ci vuole per alimentare il settore. I soldi si trovano ma si sceglie di dare priorità ad altre cose”.
E se Florjan parla dello Stato, Ester (30 anni) guarda anche al panorama della popolazione attiva affermando che “in base a quanto ho potuto osservare, ci sono giovani e giovani, ovvero giovani che hanno voglia di fare e giovani che non hanno fretta di iniziare a lavorare”.
Alessia (20 anni) è ancora più severa: “È brutto da dire ma tanti giovani dovrebbero fare quello che viene loro richiesto e lamentarsi di meno. La vita è fatta di sacrifici, è dura e spesso ingiusta e a volte sgobbare non è una cosa del tutto negativa (ma questa è una mia visione del mondo)”.
Ivana (23 anni) laconicamente afferma che i giovani hanno voglia di lavorare, senza dubbio. Raul (29 anni) è invece più pensieroso:
“i giovani di oggi hanno voglia di lavorare ma le possibilità lavorative offerte loro sono degradanti. Una mia amica ha appena avuto una bambina ma tra poco dovrà tornare al lavoro e lasciare la bambina al nido con un contratto da commessa che prevede di lavorare tutte le domeniche e tutte le festività”.
Preoccupazione e sospetto sorge anche sullo sviluppo tecnologico e, sempre Ester (30 anni) ci parla di questi strumenti ormai onnipresenti nelle nostre vite: “se visti come utili per l’uomo è una cosa, ma se sono volti alla sostituzione dell’uomo è un’altra. Mi chiedo cosa ne sarà di certe professioni e se l’uomo, in un’immagine pessimistica, potrà mai diventare – lui stesso – lo strumento utile per la tecnologia. Questo mi potrebbe preoccupare, ma confido nella bellezza che esiste ancora racchiusa in tante persone”.
Alessia (20 anni), sulla tecnologia non ha nessun dubbio “Attualmente l’intelligenza artificiale la vedo come la peggiore idea realizzata dall’uomo. Non sono contraria all’utilizzo di tecnologie, ma all’uso di quelle che non possiamo controllare. È pericoloso e non credo la gente abbia realmente capito il reale potenziale ed il tipo di danni seri che può fare un certo tipo di progresso”.
Le stesse preoccupazioni frullano nella mente di Ivana (23 anni): “Lo sviluppo tecnologico è una minaccia perché ci sarà la tendenza di esagerare e di conseguenza la perdita di controllo. Già ora il mondo è “sovra-stimolato” per quanto riguarda l’applicazione di queste novità tecnologiche, figuriamoci più avanti”. E anche per Raul (29 anni) la tecnologia non ha da offrire nulla di buono: “Nel mio lavoro da insegnante è come una minaccia, perché i “pacchetti italiano”, i “pacchetti geografia”, i “pacchetti musica” e via discorrendo.. sono quasi sdoganati con la pressione verso una didattica sempre più digitale.
Per quanto riguarda la società nel suo complesso, la tecnologia va a danneggiare le categorie più fragili: la verità è che sono le persone “sostituibili” che ne risentiranno, non di certo i professionisti.
Per fronteggiare le vecchie minacce e le nuove, pare non ci sia più il sindacato a combattere con i lavoratori e se un tempo le bandiere rosse della CGIL sventolavano con gli operai, oggi queste paiono comparire quasi solo nei pride, in eventi dove si rivendicano i diritti dell’ambiente, o nei rituali come il Primo Maggio, ormai privi del loro spirito originario.
Ma cosa pensano i nostri intervistati sui sindacati e sulle relative mobilitazioni?
Alessia (20 anni), non è iscritta a nessun sindacato: “non ho aderito ad alcuno sciopero. Onestamente non credo negli scioperi. Ci metterei veramente troppo a spiegare perché, ma per come stanno le cose ora il gioco non vale la candela. Penso che non ci siano molte possibilità di vittoria in una mobilitazione”. E per il prossimo futuro spera che possa accadere qualcosa che riesca a cambiare le carte in tavola, altrimenti “saremo proprio nella merda (scusa il francesismo)”.
Per Ivana (23 anni) l’aspetto rilevante rimane quello tecnologico “Quasi tutto sarà rimpiazzato dall’intelligenza artificiale e credo che i lavori più richiesti saranno, di conseguenza: ingegnere, informatico, tecnico, matematico, fisico”. Per Ivana, scendere in piazza e scioperare è fondamentale: “Sarei molto disponibile [a manifestare] perché penso che sia estremamente utile. Credo che sia necessario che i cittadini manifestino il proprio dissenso qualora vi sia qualcosa che non funziona e che li tocca direttamente; proprio di recente ho partecipato, assieme a mio zio che è dipendente pubblico, ad una manifestazione per lo sciopero: alla fine la sua categoria ha ottenuto ciò che chiedeva, per cui ho fiducia nella vittoria di simili iniziative.” Ma allo stesso tempo, Ivana ci dice che non considera i sindacati un collante utile per il dissenso, e che quindi non ha alcuna intenzione di iscriversi ad un sindacato.
Raul (29 anni), nonostante prima dichiarasse una certa stabilità economica, ci rivela la paura per la precarietà che avvolge il suo lavoro:
“Ho dei contratti che, se va bene, vanno da settembre a giugno; se va male, sono a piedi. Vedo una precarietà lavorativa sempre più diffusa e gente che cerca di arrabattarsi improvvisandosi tanto insegnante quanto imbianchino e, allo stesso tempo, ragazzi tra i 18 e i 25 anni che vivono da mantenuti anche quando hanno i genitori che fanno gli operai”.
Nonostante ciò, Raul non è iscritto a nessun sindacato ritenendoli inutili:
“Non sono iscritto a nessun sindacato e penso che ad oggi essi siano totalmente inutili perché non sono stato tutelato né dal punto di vista del no al green pass, né da quello del no al precariato. Di sindacati sento parlare solo quando c’è da esporsi sulla questione di genere e dell’ambiente”.
Insomma, abbiamo qui voluto dare la parola a questi ragazzi e ragazze che si sono gentilmente offerti alle nostre curiosità.
Chiudiamo l’articolo con le parole sul futuro di Alessia e Raul, i quali ci dicono rispettivamente:
“[vedo] Un futuro in cui non devo sentirmi con l’acqua alla gola per le bollette, ma sono anche in grado di concedermi esperienze e avventure. Un futuro in cui possa crearmi una famiglia senza aspettare il pensionamento ed in cui possa continuare ad essere felice anche delle piccole cose”;
“Vorrei un futuro tranquillo in Italia, con una famiglia, una casa ed un garage dove restaurare le moto, una delle mie passioni”.
Questi giovani possono rappresentare un piccolo campione rappresentativo della nostra Italia, così complessa da vivere, soprattutto con chi oggi si confronta con le prime esperienze di lavoro?
Oppure, voci ancora più mute potrebbero raccontare ciò che talvolta i nostri stessi occhi vedono per le strade? Riders in velocità sotto piogge scroscianti; fabbriche insicure; orologi-manette Amazon che controllano il tempo di preparazione dell’ordine nei magazzini; di giorno in camicia e di notte a fare gli inventari nei supermercati.
Intanto, nella seconda parte dell’inchiesta che uscirà a breve su ComeDonChisciotte, andremo a parlare con persone di altre età, con chi ha accumulato parecchi decenni di lavoro, sperando che i nostri intervistati possano rappresentare un piccolo ma valido campione capace di dare uno spaccato della vita e del lavoro in questa nostra società.
A chi fosse piaciuta questa nostra inchiesta chiediamo dunque di aspettare per la seconda parte, tra non molto torneremo per riportarvi le voci di quelle persone comuni che hanno accettato di raccontarci le loro storie e opinioni.
A presto!
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Di Marika Martina, Luca V., Federico Degg, Konrad Nobile e Adam Bark per ComeDonChisciotte.org
15.07.2024
Marika Martina. Mi chiamo Marika Martina e faccio l’insegnante di lettere. Mi interesso di storia e letteratura cercando di guardare il mondo come eroi e poeti l’hanno fatto in passato per provare a districare la complessa matassa dell’oggi; mi diletto con i libri illustrati per bambini per ricordarmi di guardare la realtà con gli occhi semplici di chi ha ancora tanta speranza nel domani.
Luca V.
Federico Degg. Studente e lavoratore di 23 anni. Si occupa di comunicazione, cultura ed arte in tutte le sue forme (musica, immagini, scrittura, teatro). Attivista e membro di associazioni ed iniziative locali. Giovane collaboratore di Come Don Chisciotte
Konrad Nobile. Konrad Nobile è un giovane studente lavoratore. Attivista e militante su diversi fronti, collabora con ComeDonChisciotte.org.
Adam Bark. Giovane militante e attivista.
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Fonte: comedonchisciotte.org