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Testo e ricerca, Mario Brusamolin: https://www.noncicredo.org/
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Editing, Simone Guida
Fonti utilizzate:
· Danilo Dolci: Banditi a Partinico, Laterza, 1955
· Danilo Dolci: Chissà se i pesci piangono. Documentazione di un’esperienza educativa, ed. Mesogea. 2018
· Danilo Dolci: Processo all’articolo 4 (La memoria Vol. 866)
– Il Foro italiano 1968, pp. 342 e seguenti, per quanto riguarda il processo DolcI-Mattarella
· Guido Orlando, Salvi Vitale (a cura di): La radio dei poveri cristi, Navarra editore, 2017
· Sito web del “Borgo di dio”: https://borgodidio.it/
· Sito web nonviolenti: https://www.nonviolenti.org/cms/rubriche/i-volti-della-nonviolenza/danilo-dolci/
· Sito web Centro Sviluppo Creativo: https://danilodolci.org/
· Labirinto Visivo: Il dio delle zecche, 2014
· Intervista Antimafia special a Amico Dolci: https://www.youtube.com/watch?v=e56nafa4ByA
– Documentario Dio delle Zecche: https://www.youtube.com/watch?v=dKWSHRpR_SI&t=2287s&ab_channel=DDolci1924
Danilo Dolci è una delle figure più importanti dell’Italia della Prima Repubblica. Da molti considerato il “Gandhi italiano”, Dolci non è soltanto un rivoluzionario non violento. Parliamo di un uomo che ha voluto toccare con mano il disagio e la povertà, che ha abitato nelle zone più depresse della Sicilia soltanto per aiutare le comunità locali, che ha scritto libri, condotto scioperi, stimolato le persone ad agire per risollevare la propria terra e a contrastare la Mafia. Inventore di un nuovo metodo didattico, attivista il cui valore è riconosciuto a livello internazionale, Danilo Dolci è un eroe moderno di cui pochissimo si sente parlare.
0:00 Danilo Dolci, storia di un rivoluzionario pacifico
1:18 Dolci sbarca in Sicilia. L’ascesa del Gandhi italiano, tra Trappeto e Partinico
5:45 La nascita del Borgo di Dio, lo “sciopero al contrario” e le frizioni con lo Stato
9:52 Il Premio Lenin, la diga sullo Jato e lo scontro con la Mafia
14:44 Il metodo maieutico, il terremoto del Belice e Radio Libera
18:27 L’eredità di Danilo Dolci: essere ribelli quando serve
Trascrizione del video
Questo video è in collaborazione con NordVPN, avrete più informazioni a fine episodio. Se vivete in Sicilia o avete parenti siciliani, specialmente nella provincia di Palermo, è molto probabile che conosciate anche molto bene il protagonista del video di oggi, dato che a lui sono intitolate sia via che scuole. Per quanto riguarda il resto d’Italia, nella maggior parte dei casi, il nome Danilo Dolci potrebbe invece non dire granché. Del resto parliamo di un uomo umile, del classico italiano qualsiasi la cui esistenza potrebbe tranquillamente passare inosservata. Eppure Danilo Dolci ha fatto delle cose che al tempo, così come anche oggi, del resto possono essere considerate rivoluzionarie. La prima è migrato dall’Italia settentrionale verso il profondo sud, facendo invece il percorso inverso rispetto a quello intrapreso da altri milioni di italiani. La seconda, una volta arrivato in Sicilia, ha provocato una rivoluzione non violenta, dando grande valore all’educazione, sfidando le ingiustizie sociali e soprattutto la mafia. Nel tempo, Dolci è stato elogiato e stimato da personaggi del calibro di Aldous Huxley, Jean-Paul Sartre, Bertrand Russell e premiato persino dall’Unione Sovietica. Altri invece lo hanno definito un sovversivo, uno che in silenzio non ci sa stare e non si fa gli affari suoi, il classico rompicoglioni. E forse a cento anni esatti dalla sua nascita e a ventisette dalla sua morte, di persone come Danilo Dolci ce ne vorrebbero e come. Danilo è un uomo che silenziosamente ha fatto la storia, non solo per le sue azioni e per il suo attivismo, ma anche perché attraverso la sua vita possiamo ripercorrere gli ultimi cento anni del nostro paese, l’Italia, e del sud delle sue aree dimenticate. Danilo Dolci nasce il 28 giugno 24 a Sesana, comune che oggi rientra in territorio sloveno ma che all’epoca era considerato provincia di Trieste. Gran parte delle scuole Danilo le frequenta però in Lombardia, a Milano, dove la famiglia si è dovuta trasferire per via del lavoro del padre, che è ferroviere. Avido lettore di Tolstoi, Voltaire e Seneca, appassionato di musica classica, Dolci sviluppa fin da giovane un’avversione alla dittatura fascista. Nel 43, al momento dell’instaurazione della Repubblica di Salò, Dolci prova a disertare, viene arrestato dai nazifascisti, ma riesce comunque a fuggire verso l’Appennino abruzzese. Nello specifico, Dolci viene accolto dalla comunità di Pastori di Poggio Cancelli, una frazione nei pressi del lago di Campotosto, in provincia dell’Aquila, ma ai confini con il Lazio. Si tratta di un piccolo borgo dove c’è la povertà, e in qualche modo questa povertà il borgo riesce a insegnarla al giovane Danilo, segnandolo per tutta la vita. Terminato il secondo conflitto mondiale, Dolci riprende a vagare per l’Italia, come ha sempre fatto fin dall’infanzia, studia architettura, prima a Roma, poi a Milano, e riesce a trovare un lavoro come insegnante in una scuola serale di Sesto San Giovanni. Qui Danilo conosce Franco Alavia, un operaio che diventerà il suo compagno di mille battaglie. Nel frattempo non manca di partecipare a concorsi di poesia lungo tutto lo stivale, finendo per gareggiare con gente come per Paolo Posolini. Alla fine, comunque, Dolci non arriva alla laurea. Non per mancanza di spirito, quanto piuttosto per chi è attratto da esperienze che gli sembrano ben più costruttive. In una prima fase Danilo viene attirato da Nomadelfia, una frazione del comune di Grosseto, in Toscana, dove il presbitero Don Zeno Saltini ha fondato una comunità di cattolici praticanti che vivono in una sorta di anarchismo pacifico. A Nomadelfia, che esiste ancora oggi e conta circa 300 abitanti, il denaro è bandito, e tutti si prodigano all’accoglienza, all’aiuto dell’altro, sostenendosi autonomamente. Pur condividendo i valori del posto, Danilo lo percepisce come un’utopia, vuole toccare con mano il disagio, quello vero. Così Danilo, nel 52, parte per la Sicilia, e si stabilisce tra Partinico e Trappeto, due comuni molto poveri, situati tra Palermo e Trapani. Trappeto è un piccolo paese sulla costa, mentre Partinico è una cittadina di circa 30.000 abitanti, che si estende in una piana circondata da alte colline verdi. Tuttavia, entrambi i centri abitati sono caduti in una voragine, lasciata proprio dal regime fascista e dalla guerra, dove la violenza è diventata la regola, dove la mafia detiene un potere ben superiore a quello dello Stato, e dove la resistenza, dunque, deve continuare. La situazione non è critica, ma drammatica, catastrofica. La vita di contadini, pastori e pescatori è grama. È assurdo sperare nell’arrivo di una qualche amministrazione. L’analfabetismo, così come la sporcizia, è la norma, e si muore letteralmente di fame. Nel 52 a Trappeto muoiono 14 bambini. Per attirare l’attenzione, quindi, Dolci dà inizio a un prolungato sciopero della fame, che miracolosamente trova l’interesse della stampa e anche delle autorità, che così decidono di costruire un impianto fognario per il Comune. Da questo momento in poi, tra la gente, Dolci sarà conosciuto come il Gandhi italiano, appellativo che tra gli altri viene attribuito anche ad Aldo Capitini, filosofo perugino che fu uno dei primi a teorizzare e tradurre in Italia la logica della non-violenza, esercitata proprio da Gandhi durante il periodo coloniale britannico in India. Secondo Dolci, alla base della non-violenza c’è la sensibilità umana, che ognuno di noi dovrebbe possedere. Come si fa a non agire, quando le persone muoiono distenti sotto i nostri occhi? D’altra parte, uno come lui non può fare nient’altro che protestare con la sua sola voce. Dolci non ha ganci politici, può soltanto contare sulla gente, su contadini, pastori, operai, pescatori, tutte persone prive di una cultura nel senso classico del termine, che spesso non parlano e neanche capiscono l’italiano. E’ così che nel 54 Dolci pubblica un libro, dal titolo oltremodo significativo, Fate Presto, e Bene, perché si muore. Nel corso della sua vita, Dolci scriverà decine di altre opere, tutte accomunate da un elemento ricorrente, l’estrema semplicità e chiarezza delle parole. I testi spesso non sono altro che resoconti di eventi, di storie, di famiglie, di riunioni con la gente del posto, in siciliano. I concetti si fanno palesi non con complicati ragionamenti, ma attraverso esempi di vita vissuta, dal contatto con il vecchio, che raccoglie fiori di gelsomino per adornare le foto della moglie, fino al pescatore che racconta delle reti che ritira vuote. Certo, le idee vanno bene, ma Trappeto è ancora una landa disastrata, in qualche modo bisogna intervenire. Conscio che lo Stato non interverrà, Dolci acquista un pezzo di terra su un altopiano appena fuori Trappeto. Li fa costruire una casa che può ospitare una quarantina di bambini, e poi un asilo. Gli operai sono volontari, tutti della zona. È così che nasce Borgo di Dio, un centro dove le persone si riuniscono per promuovere iniziative, organizzare convegni, discutere dei problemi locali, ma anche di questioni di più ampio respiro, come l’arte, l’economia, l’urbanistica, il rispetto del territorio e di chi ci vive. Il fine ultimo è quello di proporre uno sviluppo della società che includa anche i poveri, i disoccupati. Un luogo del genere, visionario negli intenti, attira intellettuali da tutto il mondo, ma attira anche l’attenzione di una piovra a cui, quando si nomina la Sicilia, è difficile non pensare. La mafia. Cosa Nostra è intrinsecamente legata all’amministrazione locale, Dolci lo racconta bene in relazione all’episodio del 1963. Una mattina Dolci visita un paese vicino a Trappeto, e si trova di fronte a uno scenario allucinante. La gente abita in case fatte di paglia, ed è per questo che vuole che tutti sappiano, e comincia a documentare la situazione. Esattamente il giorno dopo, Dolci viene convocato dal suo avvocato, che gli racconta di aver ricevuto la visita di un mafioso di turno, il quale intima che «visite di questo tipo devono finire». Non curante, Dolci torna sul posto con assistenti sociali e giornalisti. A fermarlo però non trova la mafia, bensì i carabinieri, che gli intimano di andarsene perché stanno camminando su una fantasiosa zona militare off-limits. Dolci non si fa intimidare, e nei suoi anni in Sicilia diventa un simbolo popolare. E’ degno di nota anche lo sciopero della fame del 1956, quando Dolci protesta contro la pesca di frodo tramite le reti a strascico, che chiaramente impedisce ai pesci di proliferare e quindi di sfamare le famiglie della zona. Stavolta con Dolci ci sono circa un migliaio di persone, che manifestano il loro dissenso sulla spiaggia di San Cataldo, a nord di Trappeto. Le autorità intervengono all’istante, perché, dicono, un simile sciopero pubblico è illegale. Un anno prima, Dolci ha completato una delle sue opere più importanti, Banditi a Partinico. Banditi nel senso stretto del termine, certo, come coloro che rubano per vivere, ma anche banditi come gli abitanti di Partinico, banditi dallo Stato, privati dei diritti che in teoria la costituzione italiana prevede anche per loro. Banditi a Partinico è un manifesto della povertà della gente, del menefreghismo delle istituzioni, dell’arroganza impunita dei potenti. Un libro che ti colpisce al cuore, come un macigno, che parla di uomini senza arti, donne vicino al suicidio e bambini che muoiono distenti. Se è vero che il lavoro può rappresentare un motore, uno slancio sociale, Dolci inventa un nuovo tipo di manifestazione, lo sciopero al contrario. Con questo invita centinaia di disoccupati ad andare a sistemare una strada di campagna. Se gli operai protestano non lavorando, allora i disoccupati possono protestare facendo il contrario. La polizia non trova di meglio da fare che caricare i manifestanti e imprigionare gli organizzatori. Dolci stesso viene arrestato per occupazione di suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale. Accaduto non viene affatto ignorato. Dolci acquisisce fama internazionale e, sia in senato che alla camera, si tengono diverse interrogazioni parlamentari al fine di sanzionare i funzionari di polizia responsabili della repressione. Nel mentre, Dolci risponde all’accuse citando l’articolo 4 della costituzione, che garantisce il diritto al lavoro a tutti i cittadini e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Perciò il suo arresto non sarebbe nient’altro che un attacco alla costituzione stessa. Dolci spiega meglio questo concetto in processo all’articolo 4, libro pubblicato nel 1956, in cui riporta le storie e le richieste degli abitanti di parte Nico. Soltanto qui recita una petizione con più di 700 firme, redatta da un abitante in un’ospezione dello scritto. Su 25.000 abitanti, siamo più di 7.000 con le mani in mano per 6 mesi all’anno, e 7.000 bambini e giovanetti non sono in grado di apprendere quanto assolutamente dovrebbero. Non vogliamo essere lazzaroni, non vogliamo arrangiarci da banditi, vogliamo collaborare esattamente alla vita, vogliamo il bene di tutti, e nessuno ci dica che questo è un reato. Purtroppo gli accorati appelli non bastano, e Dolci viene messo sotto processo. Il clamore giudiziario è amplificato dalla presenza in aula di testimoni come Carlo Levi e Dario Vittorini. La ringa per la difesa la tiene un padre della Costituzione, Piero Calamandrei. Il suo intervento è un inno alla giustizia, quella vera, all’uguaglianza dei cittadini, alla difesa della Costituzione. Perché nessun crimine, sostiene, è stato commesso. È questa vicenda a richiamare l’interesse di personaggi come Russell e Sartre, e a portare a parte Nico e Trappeto centinaia di giovani attratti dall’idea di redenzione di una terra maltrattata e offesa, soltanto per dare una mano. Infine, Dolci viene condannato a 50 giorni di carcere, e viene liberato perché gli vengono riconosciuti inmoventi di particolare valore morale. La fortuna, o se volete la ricompensa per la perseveranza, arriva quello stesso anno. In Unione Sovietica si attribuisce un premio per la pace, il premio Lenin, una sorta di contraltare al Nobel. Ebbene, nel 1956 questo premio viene assegnato, tra gli altri, anche a Danilo Dolci. Con il riconoscimento arriva anche un assegno sostanzioso. Dolci non si definisce comunista, ma chiaramente accetta il denaro perché, per le sue attività, rappresenta una mano dal cielo. Qualche tempo dopo viene retto il Centro Studi e Iniziative per la piena occupazione, uno straordinario strumento di sviluppo per l’intera Sicilia occidentale, dove si svolgono convegni ai quali partecipano importanti esperti di varie discipline, oltre che intellettuali e politici. Al ministro dell’interno, Fernando Tambroni, questa iniziativa non piace affatto, tanto che ritira il passaporto di Dolci perché, a suo dire, avrebbe parlato male dell’Italia nei suoi viaggi all’estero. Una mossa politica, certo, che nulla può contro le idee di Dolci, secondo lui i cambiamenti non avvengono senza forze nuove. Tuttavia queste forze non nascono, non crescono, se la gente non riconosce i propri interessi e i propri bisogni. Insomma, è inutile calare dall’alto progetti e proposte se questi non sono condivisi dalla gente. Dolci, che non è un guru, ripete questo pensiero nella quasi totalità delle sue opere, dove a parlare sono infatti molto spesso quelli che lui stesso definisce i poveri cristi. Contadini, pescatori, mamme, ragazzini. Si ha la dimostrazione dell’efficacia di questi concetti quando contadini e pescatori della Sicilia occidentale propongono di costruire una diga sul fiume Iliato. Con una maggiore disponibilità d’acqua e con la creazione di un bacino idrico permanente, infatti, si potranno irrigare i terreni e quindi far proliferare aziende agricole cooperative. Al fine di ottenere i finanziamenti, nel settembre del 62, Dolci dà inizio a un nuovo sciopero della fame. Il nemico più pericoloso, come sempre, è la mafia, che controlla i pochi impianti idrici esistenti nella zona. La diga sul fiume Iliato sarebbe un disastro. Gli introiti di Cosa Nostra e la sua possibilità di ricattare gli abitanti locali diminuirebbero a dismisura. Ciò nonostante, dopo che Dolci riesce a ottenere il supporto di migliaia di cittadini che richiedono quest’opera, la mafia si arrende. E cede anche lo Stato. I lavori hanno inizio nel 63, e l’irrigazione dei campi comincerà nell’estate del 71. Lo spirito della condivisione e del controllo dal basso diventa addirittura un mantra per i sindacati. Nel cantiere lavorano circa 500 operai, e sono loro a stabilire ogni cosa. Se lavorare o scioperare, se mandare via gente sospetta che vuole infilarsi nei meandri dei subappalti. La gestione del progetto è affidata a un consorzio di contadini. Pagando una quota modesta, ognuno di loro può ottenere d’estate e d’inverno tutta l’acqua che vuole. L’opera finale, che raccoglierà 72 milioni di metri cubi d’acqua, non irrigherà soltanto 9.000 ettari di colture, ma sarà anche un monumento alla democrazia, alla gestione condivisa, e ovviamente sarà un forte segnale di opposizione a Cosa Nostra. Lo scontro con la mafia è inevitabile. Infatti nel 65, dopo aver raccolto centinaia di testimonianze firme da parte degli abitanti di Partinico e dopo aver parlato con la commissione antimafia del senato italiano, Dolci fa i nomi di coloro che ritiene essere rappresentanti di Cosa Nostra in terra siciliana. Si tratta di figure di spicco della democrazia cristiana, del deputato e sottosegretario alla sanità Calogero Volpe e del più volte ministro Bernardo Mattarella, padre di Sergio, l’attuale presidente della Repubblica. I due politici denunciano Dolci e Alassia, il suo collaboratore, per calunnia, e li portano in tribunale. Il processo durerà sette anni e riconoscerà la colpevolezza degli accusatori, tacciati di essere millantatori, bugiardi e di aver agito per interessate strumentalizzazioni. Se da un lato Mattarella si è dimostrato estraneo alle accuse, dall’altro invece Calogero Volpe, ammise in quanto medico, di aver conosciuto e frequentato noti boss mafiosi siciliani come Calogero Vizzini. E mentre la costruzione della diga sullo Iato procede incessantemente, le culture cominciano a diversificarsi. Nascono numerose cooperative agricole e quindi nascono numerosi posti di lavoro, mentre le famiglie possono permettersi un frigorifero e persino un’automobile, come se il boom economico fosse arrivato con dieci anni di ritardo. Questo indotto economico porta all’apertura di negozi e industrie collaterali, che spesso producono conserve. La domanda però sorge spontanea, perlomeno per Dolci. E questo? Lo sviluppo? Cosa si può fare per evitare che questo sviluppo possa infine rovinare ciò che di buono è stato creato? Dolci punta forte sull’educazione, sul valore attivo, sul fare, ritiene che la didattica non debba trasmettere, ma comunicare, ovvero condividere il sapere piuttosto che calarlo dall’alto. Solo in questo modo, pensa Dolci, la popolazione potrà portare avanti delle rivendicazioni sociali e politiche e dunque modellare una vera democrazia. Avete presente il circle time, cioè quel momento in cui ci si riunisce in cerchio per parlare assieme, per condividere esperienze e esprimere sensazioni? Ecco, Dolci è uno dei primi a utilizzare questa forma di dibattito, che in pedagogia rientra nella definizione di metodo maieutico, socratico. Se ne parla approfonditamente in Dio delle zecche, un documentario del 2014, disponibile su YouTube. Dolci coinvolge poi le famiglie, progetta un nuovo centro scolastico a Mirto, in periferia di Partenico, in mezzo alla campagna. Il centro è funzionale allo sviluppo dei bambini, è dotato di una grande sala dove possono esprimere la loro creatività attraverso il gioco e il dibattito, ci sono un laghetto, un campo da palacanestro e un anfiteatro, dove sono organizzate attività teatrali, proiettati film, organizzati concerti. Arrivano alla fine anche i sussidi governativi, perché del metodo maieutico si comincia a parlare in tutta Italia, e nell’83 il centro educativo di Mirto diventa una scuola statale sperimentale. Ogni modo l’impegno scolastico e didattico di Dolci non lo distraggono da altre questioni decisamente impellenti. Nel 68, la valle del fiume Belice viene colpita da un violento sisma di magnitudo 6.4, interi paesi vengono rasi al suolo, muoiono 300 persone, i soccorsi arrivano in ritardo, e i soldi stanziati per la ricostruzione e gli aiuti alla popolazione finiscono chissà dove. Dolci si mobilita ed elabora un piano per la ricostruzione delle zone terremotate, elabora un plastico, delle cartine, e arriva a presentare la documentazione necessaria allo Stato, documentazione che è stata discussa con i cittadini. Ma purtroppo non se ne farà nulla. Si marcisce di chiacchiere e di ingiustizie. La Sicilia muore, commenta così Danilo. Passano due anni, ma Dolci non ne vuol sapere di lasciar perdere. Nel marzo del 70 Danilo e i suoi collaboratori hanno l’idea di diffondere un appello per il Belice, una specie di SOS utilizzando una radio. Il problema però è che lo Stato, tramite la RAI, ha il monopolio sulle radiotrasmissioni. Cianonostante, all’interno del Centro Studi e Iniziative per la piena occupazione di Partinico, Dolci, suo figlio amico, Alassia e altri collaboratori creano la prima radio libera d’Italia. E la chiamano proprio così, Radiolibera. La prima trasmissione viene mandata in onda alle 19 del 25 marzo 1970. La trasmissione continua ininterrottamente per tutta la notte, con poesie, racconti, accuse. Tutto questo lo Stato non può tollerarlo. Sono le 22 e 30 del 26 marzo, quando polizia, carabinieri e vigili del fuoco fanno irruzione nel centro di Partinico, sequestrano il materiale radiofonico e stroncano Radiolibera. Due anni per raggiungere i terremotate del Belice, appena 27 ore per schierare un esercito contro una piccola radio locale. Una contraddizione bella e buona. Dolci e compagni vengono denunciati per aver violato la legge sulle trasmissioni. Poi, fortunatamente, ricevono un’amnistia. Ignazio Silone, commentando l’accaduto, dirà che avvegliare a Partinico stanotte è la coscienza dell’Italia. Una coscienza che è per così poca parte rappresentata dalla classe dirigente e che è amaro privilegio dei poveri. Radiolibera riprenderà le sue trasmissioni nel 1975, sotto il nome di Ondalibera, quando l’Italia darà il consenso alla radiofonia privata sul territorio nazionale. Due anni più tardi, Acinisi, peppino impastato, di cui abbiamo parlato in questo video e che ha già conosciuto e apprezzato Dolci, creerà Radio Out, proprio allo scopo di sbeffeggiare la mafia. Dolci viene accostato per anni al premio Nobel per la pace, non lo otterrà mai, tuttavia su di lui cadrà una pioggia di altri riconoscimenti internazionali. Parliamo della laurea honoris causa dell’Università di Berna, dei premi Socrates di Stoccolma e Sonning dell’Università di Copenhagen per il suo contributo alla civilizzazione europea. L’India, nel 1989, gli attribuirà il premio Gandhi per la pace. Motivazioni forti che fanno riflettere sul fatto che l’unico riconoscimento ufficiale italiano ha premiato le sue poesie, a Pisa, all’università nel 78. Inoltre Dolci avrà rapporti con l’UNESCO, con Rita Levi Montalcini e persino con colleghi esperti di educazione come Paolo Freire e Gianni Rodari. Il metodo maieutico, oggi rielaborato dal pedagogista Daniele Novara, che fu collaboratore di Dolci, balica i confini nazionali, tanto che nel 1982 la Boston University Library comincia a raccogliere in modo sistematico tutti i documenti riguardanti Danilo Dolci. Libri, volantini, manoscritti, corrispondenze, fotografie. Saranno questi gli ultimi ricordi di un uomo che al giorno d’oggi è totalmente assente dal dibattito pubblico. Un uomo comune, certo, ma che è diventato grande proprio perché tale. Il 26 dicembre 1997, mentre ricoverato in ospedale, Danilo Dolci raccoglie a pranzo le persone che gli sono più care per parlare di futuro, di progetti. Per lui, del resto, stare fermi è una sconfitta. Quei progetti vengono stroncati quattro giorni più tardi. Il 30 dicembre, infatti, un infarto pone fine all’avventura terrena di Danilo Dolci. Cos’è che resta di lui, ora? Non certo le strutture, anche se è nato un progetto per ricostruire il Borgo di Dio. Nemmeno la diga sullo Iato, non più gestita da un consorzio di contadini. Ma rimangono i suoi insegnamenti, la necessità di essere ribelle quando serve, l’essenzialità del clamore che deve sempre mirare un obiettivo più grande, la voglia di fare, la curiosità, il dialogo, il coraggio, la capacità di ascoltare, la non-violenza. Forse la definizione di Gandhi italiano non gli rende giustizia. Danilo Dolci è, ed è sempre stato, Danilo Dolci, e magari, oggi come oggi, c’è bisogno di tante, nuove persone come lui. Scriveva il filosofo tedesco Erich Fromm, se la maggioranza degli individui non fosse così cieca davanti alla vera saggezza, Dolci sarebbe ancora più noto di quello che è. È incoraggiante, tuttavia, il fatto che sono già molti coloro che lo capiscono. Sono le persone per le quali la sua esistenza e il successo della sua opera alimentano la speranza nella sopravvivenza dell’uomo. Un grazie a Danilo per questa bella storia, un grazie a voi per l’ascolto, e un grazie allo sponsor e promotore di questo nostro nuovo capitolo della storia dell’Italia della Prima Repubblica. NordVPN. NordVPN, lo sapete, ha un obiettivo chiaro. Sicurezza e privacy online dagli utenti che navigano sul web. L’app di NordVPN, scaricabile per telefono e PC, vi terrà alla larga la malware, cookie di tracciamento e profilazione dei dati sensibili, scansionando qualsiasi documento che vi accingerete a scaricare e proteggendovi di conseguenza da intrusioni e fuga di dati. Mascherando il vostro indirizzo IP, NordVPN vi permette di navigare in tutta sicurezza sulle reti pubbliche, specialmente quando viaggiate, e vi agganciate a wifi di dubbia affidabilità. 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