Fine spiegato semplice.
Hugo Guilherme Castro Ferreira è nato mercoledì 16 agosto. Di lui si parla molto: è il primo bambino venuto al mondo in Portogallo tramite fecondazione post mortem. Hugo Neves Ferreira, suo padre, ha perso la vita nel 2019 per via di un cancro, ma questo non gli ha impedito di riprodursi. Prima di morire, l’uomo ha infatti deciso di congelare il suo seme, affinché – come riportato in una sua dichiarazione scritta – fosse in seguito utilizzato per avere un figlio con la moglie Ângela Ferreira. Una pratica, quella della procreazione assistita realizzata (in questo caso) con lo sperma di un defunto, che la donna ha ottenuto di poter attuare dopo una lunga battaglia legale.
Affinché il Governo acconsentisse a cambiare la legge portoghese – che non prevedeva l’inseminazione post mortem – Ferreira ha lanciato una raccolta firme (la cosiddetta iniziativa legislativa popolare, uno strumento di democrazia diretta per dare avvio ad un procedimento di legge) sottoscritta da più di 100mila persone. Un numero sufficientemente alto da permettere alla proposta di arrivare in Parlamento, che l’ha approvata nel 2020 – salvo poi bloccarsi per via del veto imposto da Marcelo Rebelo de Sousa, il Presidente della Repubblica. Quest’ultimo ha concesso il via libera circa un anno dopo, inserendo all’interno della normativa sulla Procreazione Medicalmente Assistita la possibilità dell’inseminazione post mortem.
Per via della nuova legge, quindi, le donne potranno avere un figlio dal compagno deceduto, a patto che questo, prima della morte, abbia redatto il testamento di paternità e si sia sottoposto alla crioconservazione del seme – un processo di laboratorio chiamato così per via del crioprotettore, una sostanza che si aggiunge al liquido seminale per proteggerlo dai danni che potrebbe causare il congelamento delle cellule, che raggiunge circa i 200 gradi centigradi sotto zero.
Il Portogallo non è il primo Paese a legalizzare questo tipo di inseminazione. In Europa è consentita in Belgio, Spagna, Grecia, Paesi Bassi, Regno Unito e Repubblica Ceca. Nel resto del mondo in India, Sudafrica, Israele e Australia.
In Italia, invece, la fecondazione praticata in caso di decesso di uno dei due coniugi è vietata dalla legge numero 40 del 2004. L’inseminazione in vitro, infatti, è ritenuta legale solo in presenza del consenso informato e sottoscritto da entrambi i ricorrenti, che devono essere entrambi viventi in ogni fase del ciclo terapico. «Al momento l’unico modo per ottenere una fecondazione post mortem è attraverso l’intervento di un giudice che può stabilire di caso in caso l’adeguatezza della richiesta», ha spiegato l’avvocata Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni.
Il fatto che non esista ancora, nel nostro Paese, una normativa specifica, dipende anche dal fatto che sul tema il dibattito pubblico non è incanalato in un’unica direzione. Per alcuni, tale pratica è da considerarsi da vietare, con la motivazione che rappresenterebbe una condanna per il nascituro, che sarebbe orfano di padre prima ancora di venire al mondo. Al di là dei profili etici, merita di essere citato uno studio scientifico del 2018, che sostiene come nonostante gli ampi progressi compiuti in questo campo, i meccanismi biologici e biochimici coinvolti nella crioconservazione non sono stati ancora completamente chiariti. “Vari fattori durante il processo di congelamento, inclusi improvvisi cambiamenti di temperatura, possono causare perdita di qualità dello sperma dopo lo scongelamento”, un fattore che può provocare difficoltà pratiche nel corretto sviluppo degli embrioni in seguito all’inseminazione post-mortem.
[di Gloria Ferrari]
Fonte: lindipendente.online