Pepe Escobar – Lo stoicismo: l’antidoto definitivo alla follia attuale

Spiegato semplice

C’era una volta un gruppo di persone molto sagge chiamate Stoici che vivevano molto tempo fa. Queste persone pensavano molto su come vivere bene e su come l’anima e il corpo funzionano insieme. Credevano che l’anima fosse eterna e che cambiasse corpo nel tempo. Pensavano anche che l’anima fosse come un soffio vitale che ci aiuta a vivere e a sentire le cose.

Gli Stoici avevano idee simili a quelle di alcune persone sagge in India e in altri posti lontani. Tutti questi pensatori hanno contribuito a creare le basi di ciò che sappiamo oggi sulla scienza, la matematica e la filosofia.

Uno degli Stoici più famosi era un imperatore che si chiamava Marco Aurelio. Lui scriveva molto su come essere una persona buona e forte, anche quando era impegnato a guidare il suo esercito.

Gli Stoici ci insegnano che non dobbiamo preoccuparci troppo delle cose come il denaro o il potere, ma dobbiamo concentrarci su ciò che è davvero importante nella vita, come essere buoni e vivere in modo semplice.

In conclusione, gli Stoici ci dicono che dobbiamo essere come i marinai che navigano sul mare, usando il vento per andare avanti. Dobbiamo essere forti e saggi per affrontare le cose pazze che succedono nel mondo.

Fine spiegato semplice.

di Pepe Escobar – Strategic Culture

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

“Se da un olivo nascessero dei flauti che suonano armoniosamente, dubiteresti forse che nell’olivo sia insita l’arte di suonare i flauti?

– Zenone di Cizio

“Lo scopo della vita non è essere dalla parte della maggioranza, ma evitare di trovarsi nelle file dei pazzi.”

– Marco Aurelio

Si salpa nel Golfo di Morbihan (“Piccolo Mare”, in lingua bretone), in Bretagna, Francia, NATOstan, e di tanto in tanto si trova a gestire la seconda corrente marina più potente d’Europa. L’acqua circola in un gigantesco labirinto di insenature, scogli e isole. Qui i pescatori e le beccaccie di mare sono in paradiso.

E poi ci sono i venti potenti. E si comincia a pensare a Platone. Si potrebbe pure immaginarlo, in riva al mare, mentre osserva il vento che gonfia le vele di una barca. E lui pensa al pneuma: “il soffio vitale”.

Platone aveva già intuito che l’anima è eterna – e nella trasmigrazione incorpora diversi corpi. Perciò l’anima può essere definita come l’idea del soffio vitale (pneumatos) diffuso in ogni direzione. L’anima, per Platone, è composta da tre parti: razionale (logistikon), con il suo quartier generale nella testa; passionale, con il suo quartier generale nel cuore; e appetitiva, nell’ombelico e nel fegato.

Eppure questo soffio vitale non è condotto dai corpi. E questo ci porta agli Stoici.

E la questione si fa molto più complicata.

Seneca, nelle sue Epistole, scrive che lo stoico Cleante e il suo discepolo Crisippo non riuscivano a mettersi d’accordo sul camminare. Cleante diceva che l’Arte del camminare era lo pneuma (spiritum) che si estendeva dal principale (hegemonikon) fino ai nostri piedi. Crisippo diceva che era il principale da solo.

In un commento a un frammento di Cleante, il classicista britannico A.C. Pearson – autore di The Fragments of Zeno and Cleanthes, pubblicato nel 1891 – afferma che Cleante fu il primo a spiegare la nozione di pyr di Eraclito come pneuma.

Pearson ci dice che “l’introduzione del pneuma [da parte di Cleante] è la descrizione più vera dell’essenza divina permeante, che Zenone aveva caratterizzato come etere“.

E ci dice anche che il termine latino spiritum – usato da Tertulliano di Cartagine – è la traduzione del termine greco pneuma.

Tertulliano di Cartagine – che raggiunse il suo apice intorno all’anno 200 – è un pezzo grosso. È considerato il primo autore cristiano occidentale a scrivere in latino.

Il termine “spirito”, quindi, quando viene introdotto nella teologia cristiana medievale ancora agli albori, porta con sé essenzialmente la nozione persistente del paganesimo stoico – e non più l’immagine del soffio di Dio proveniente dall’antica religione mesopotamica.

Quindi, in un certo senso, l’intera civiltà occidentale è in realtà debitrice dellastoica.

Quando uno stoico incontra un indù

Tutto ciò ci porta allo stupefacente studio comparativo dellagreca e indù di Thomas McEvilley, The Shape of Ancient Thought.

Siamo immersi in un vasto panorama di diversi secoli – in cui le correlazioni tra i saggi e i filosofi greci e indù sono mostrate in uno scenario naturale – con la Mesopotamia come fonte originale.

McEvilley scrive che “non solo le strutture degli universi stoici e puranici e i loro atteggiamenti religiosi ed etici” sono “molto simili”, ma la forza che si trova alla base di entrambe le sfere, “fisica ed(pneuma per gli stoici, prana per gli indù)”, è descritta in un parallelismo sorprendentemente stretto.

Così McEvilley, specialista in storia dell’arte, filologia classica e sanscrito, ha scritto uno studio di 700 pagine sulla costituzione quasi omogenea della saggezza in India, Mesopotamia e Grecia, senza escludere Egitto e Fenicia.

Concludeva che l’antica civiltà dell’Akkad – il primo impero multietnico della Storia, in Mesopotamia – avrebbe dato il via “all’intera meta-narrazione di un universo matematicamente e astronomicamente ordinato”, che ha portato alla rivoluzione logica e scientifica promossa dai Greci.

Quindi abbiamo un debito nei confronti degli Stoici tanto quanto ne abbiamo nei confronti dell’Akkad perduta. E che dire dell’estrapolazione fino alla Cina? Pensiamo allo stoico Epitteto, così vicino al Tao nella sua laconica saggezza.

Per Zenone di Cizio, l’etica dipende da un esercizio naturale dell’hegemonikon sui desideri o sulle emozioni: un esercizio che non è né banale né privo di sforzo.

Laddove il platonico-aristotelico trova le categorie, ragione e passioni, come differenze inconciliabili che devono essere simultaneamente equiparate, per lo stoico empirico la ragione/emozione dipende da come l’hegemonikon è in grado di condurre le passioni – come condurre le gambe. E questo richiede una pratica continua.

“Il Destino conduce quelli di buona volontà”

Il grande dilemma dell’Occidente moderno che oppone la libera volontà – tanto decantato dalla rivoluzione borghese – alla Legge di un Dio onnisciente, onnipotente, mesopotamico, sembrerebbe piuttosto patetico agli Stoici.

Direbbero che non c’è alcun problema nel risolvere gli esercizi della volontà umana all’interno di un quadro di possibilità creato da un Dio Superiore originario; e lo stesso vale per gli dei minori, locali, regionali. Il risultato è l’incatenamento del Destino. E su questo incatenamento, il Dio Superiore esercita la sua volontà.

Seneca, nelle sue Epistole, ci presenta come Cleante affronti questa tensione tra volontà umana e volontà divina con un notevole senso dell’umorismo:

Il Destino (o Zeus) conduce quelli di buona volontà;

quelli di cattiva volontà li trascina.

(Epistole 107.11)

Così abbiamo iniziato con il suono del vento nel Golfo di Morbihan che evoca il pneuma di Platone; ma la sincronicità era in realtà iniziata giorni prima a Rio, quando prima di una delle mie recenti conferenze in Brasile mi è stato presentato un prezioso saggio di Ciro Moroni che essenzialmente ha fatto rivivere la gemma quasi dimenticata di Pearson del 1891.

Ho letto il saggio di Moroni su un volo per Salvador, l’Africa brasiliana, e in un fortino bianco di fronte al blu profondo del mare Atlantico meridionale, ho elogiato in silenzio il suo ruolo di parte del “popolo istruito che la civiltà occidentale ha coltivato fino alla metà del XX secolo”. Questa rubrica deve tanto a un uomo colto di Rio quanto al classicista Pearson e al gruppo degli stoici.

Fino a poco tempo fa, in tutto l’Occidente collettivo, gli stoici venivano raggruppati in un pacchetto insieme agli epicurei e agli scettici, come se fossero semplici varianti di un periodo piuttosto eclettico, l’ellenismo.

Questi tre filoni filosofici sembrerebbero l’equivalente di una risposta culturale ai platonici e agli aristotelici, che nella letteratura filosofica greca del VI, V e IV secolo a.C. sarebbero accreditati come le correnti fondanti dell’ellenismo.

In un saggio sugli Stoici incluso nel mio precedente libro, Raging Twenties [“I ruggenti anni venti”], ho notato come il grande asceta Antistene fosse un compagno di Socrate – e un precursore degli Stoici.

I primi stoici presero il nome dal portico – stoa – del mercato ateniese dove Zenone di Cizio era solito frequentare.

La specificità stoica è d’obbligo. La raccolta di tesi stoiche stabilita dai suoi fondatori fu replicata per almeno 5 secoli, senza sosta, da autori di Atene e Alessandria, Rodi e Roma – fino al principe dei Romani, Marco Aurelio, che scrisse in greco una dissertazione dedicata alla condotta stoica.

La tradizione stoica fu stroncata da Plutarco perché non partecipava attivamente alle questioni pubbliche e alla guerra.

Ma poi Marco Aurelio ruppe gli schemi – in modo epico. Fu uno dei cinque imperatori “illuminati” e di successo della dinastia degli Antonini. Marco Aurelio fu un principe attivo; guidò le sue truppe in diverse operazioni sul Danubio e, mentre era in campeggio, trovò il tempo di scrivere le leggendarie Meditazioni.

Poi abbiamo Paneceo da Rodi – che era al vertice intorno al 145 a.C. Paneceo fu piuttosto influente a Roma, ed è considerato un sintetizzatore stoico-platonico peripatetico, anticipando il ben più famoso Antioco, che portò la stoa nell’Accademia, cercando di dimostrare che le credenze stoiche erano fortemente presenti in Platone.

A proposito, la traduzione di stoa in porticus in latino ci ha dato “porch” in inglese e “portico” in portoghese e spagnolo.

L’antidoto alla follia attuale

Oggi sappiamo che dal 200 a.C. all’anno 200 c’è stato un importante movimento di espansione scientifica, geografica e storica di una nuova sintesi greco-romana. Questo periodo può essere facilmente paragonato al Rinascimento (circa 1450-1600).

I temi stoici sono assolutamente determinanti nel rinascimento greco-romano – anche se tradizionalmente oscurati dalla teologia platonica o dalla scienza aristotelica. Furono anche neutralizzati nella logica e nell’epistemologia dalla retorica scettica e dal pessimismo filosofico, e sottovalutati nell’etica dalla propaganda religiosa cristiana.

Bene, non bisogna mai sottovalutare il potere di Eraclito. Zenone e Cleante si servirono direttamente di Eraclito per formulare le loro tesi. Più tardi, Plotino avrebbe proposto una citazione leggendaria: “Il fuoco eterico si adagia, trasformandosi.”

Jean-Joel Duhot, scrivendo su Epitteto e la saggezza stoica, ha notato che lonon è materialismo: ciò avrebbe senso solo nella prospettiva platonica del rifiuto della materia.

Anthony Long, esperto di filosofia ellenistica, si è avvicinato:  Gli stoici non sono materialisti. Sarebbero meglio descritti come vitalisti.

La Via, come ci dicono gli stoici, è possedere solo l’essenziale e viaggiare leggeri. Lao Tzu lo approverebbe. Ricchezza, status e potere sono in definitiva irrilevanti. Ancora una volta, Lao Tzu lo approverebbe.

Quindi finiamo, inevitabilmente, dove abbiamo iniziato: in riva al mare, con il vento – pneuma – sulle nostre vele. E ricordiamoci dei siriani, per molti aspetti la quintessenza dei Pellegrini del mare. Attraverso le colonie siriane, il papiro, le spezie, l’avorio e i vini di lusso si diffusero fino, ad esempio, alla Bretagna.

A Napoli, Palermo, Cartagine, Roma e persino nel Mar d’Azov, siriani e greci sono stati i primi pellegrini storici di una rinnovata Via della Seta Marittima.

Si salpa! Sia stoico! L’antidoto definitivo alla follia attuale.

Fonte: lantidiplomatico.it

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