Fine spiegato semplice.
È da giorni che il web, diverse testate italiane ed internazionali, i social e persino diversi siti di fact checking trattano di uno studio che riporterebbe un «aumento del 91% di rischio di morte» per eventi cardiovascolari associato al digiuno intermittente: la pratica alimentare che prevede un’alternanza tra il consumo di cibo e il digiuno completo. Tuttavia, un numero significativo di articoli ha riportato la notizia con titoli fuorvianti e senza il contesto necessario alla corretta comprensione da parte dei lettori: la ricerca non ha riscontrato un aumento di rischio di morte per tutte le cause, è un abstract che non è ancora stato accettato per la pubblicazione da nessuna rivista scientifica e infine si basa sulle abitudini alimentari di due giorni, riportate oltretutto basandosi esclusivamente sul ricordo dei partecipanti. Lo studio è stato presentato ad un congresso dell’American Hearth Association ed ha inoltre alimentato gli attriti tra l’infettivologo Matteo Bassetti – che ha affermato di «aver fatto bene» a non praticare il digiuno ad intermittenza – e l’immunologa Antonella Viola, che ha definito «assurdo» il clamore suscitato dalla ricerca che, attualmente, non sarebbe altro che «una semplice comunicazione».
Gli autori hanno confrontato i decessi avvenuti negli Usa con le informazioni sui modelli alimentari dei partecipanti al National Health and Nutrition Examination Surveys, un programma annuale di studi progettato per valutare lo stato di salute negli Stati Uniti. Sono stati inclusi 20.078 adulti con età media di 49 anni, i quali sono stati seguiti per una durata media di 8 anni ed una durata massima di 17 anni. Tuttavia, come illustrato nel comunicato stampa della presentazione della ricerca, i dati si sono basati su due dichiarazioni dei partecipanti basate sulle 24 ore precedenti all’intervista, le quali rappresentano un limite tutt’altro che indifferente: «I limiti dello studio includevano la dipendenza dalle informazioni dietetiche auto-riferite, che potrebbero essere influenzate dalla memoria o dal richiamo del partecipante e potrebbero non valutare accuratamente i modelli alimentari tipici», sottolinea infatti il documento.
Il dott. Victor Wenze Zhong, epidemiologo presso la scuola di Medicina dell’Università Jiao Tong di Shangai, ha spiegato che nel gruppo che avrebbe praticato il digiuno ad intermittenza c’erano solo 414 persone, di cui la maggior parte caratterizzata da un reddito più basso, un minore accesso al cibo e da una maggiore propensione a fumare, sottolineando inoltre che “correlazione” non implica “causalità”: «I ricercatori hanno tenuto conto di questi fattori nella loro analisi, ma lo studio non ha dimostrato che questo stile alimentare causasse morti per malattie cardiovascolari, ma solo che i due erano collegati», ha aggiunto. Secondo la professoressa di nutrizione Krista Varady ed il cardiologo Dariush Mozaffarian poi, altre limitazioni consistono nel fatto che lo studio non sembrerebbe valutare quali tipi di alimenti mangiassero i partecipanti e nel fatto che il gruppo che consumava tutti i pasti giornalieri nell’arco delle otto ore potrebbe aver incluso persone che «erano molto impegnate o che hanno affrontato altre sfide che le hanno costrette a saltare i pasti o a mangiare in modo irregolare», o addirittura che potevano essere già in cattive condizioni di salute o con disturbi alimentari che riducono l’appetito.
La vicenda ha inoltre alimentato il già acceso dibattito tra l’infettivologo Matteo Bassetti e l’immunologa Antonella Viola. Il professore ha scritto che il digiuno intermittente «che va tanto di moda in Italia anche perché promosso da autoproclamatisi esperti di nutrizione, aumenta il rischio di mortalità cardiovascolare», citando l’abstract e aggiungendo: «Credo di aver fatto bene a non praticarlo. Pensare che c’è chi, oltre che dal vino, è ossessionato anche da questo digiuno intermittente…le consiglio di continuare a fare l’immunologa». D’altra parte, la professoressa Viola ha commentato così: «Nella ricerca scientifica c’è una bella differenza tra un articolo pubblicato su una rivista scientifica seria, generalmente dopo molti mesi di controlli e revisioni da parte di esperti, e una comunicazione senza dati presentata a un congresso. Ecco perché è assurdo il clamore che ha suscitato una semplice comunicazione di un gruppo di ricercatori in cui si afferma che il digiuno intermittente (digiunando però più di 16 ore al giorno) sarebbe associato ad un aumento significativo della mortalità».
In conclusione, la ricerca presenta delle limitazioni tutt’altro che indifferenti che dovrebbero essere considerate accuratamente sia nel processo di revisione tra pari che in quello di divulgazione ai lettori. Aspettando la fine dei controlli e l’eventuale pubblicazione in una rivista scientifica, potrebbe risultare utile riflettere sulle affermazioni del dott. Zhong, il quale ha commentato che “se il digiuno intermittente è davvero dannoso – e non è chiaro il motivo per cui dovrebbe esserlo – lo studio non è comunque stato progettato per rispondere a questa domanda”.
[di Roberto Demaio]
Fonte: lindipendente.online